MARIA
PARADIGMA ANTROPOLOGICO
1. LA CONDIZIONE UMANA ALL'INIZIO DEL TERZO MILLENNIO Siamo all'inizio del terzo millennio1 , dopo la celebrazione del grande giubileo a 2000 anni dalla nascita di Cristo. Tempo di bilancio rispetto al passato, tempo di previsioni e programmazione in prospettiva del futuro. 1.1. BILANCIO DEL GIUBILEO C'è chi - come ha fatto Vittorio Messori in televisione - si rifiuta di emettere un giudizio sul giubileo, poiché si tratta di un evento spirituale, quindi sostanzialmente interiore. Per conoscerlo bisognerebbe entrare nella coscienza dei cristiani, ma questo è riservato a Dio o al massimo ai confessori. Altri - come il filosofo ateo Lucio Coletti - mostrando buona dose di superficialità e un malcelato livore anticlericale, giudica il giubileo
I protagonisti ufficiali del giubileo, innanzitutto Giovanni Paolo II e poi il Comitato centrale, sono d'altro parere: «…abbiamo toccato con mano e visto con i nostri occhi quanto è avvenuto e altri discorsi sono superflui»3 . Nessuno può negare la venuta a Roma di 25-30 milioni di persone (il 30% in più del '99), che hanno incrementato oltre 4.000 miliardi di spesa e creato 70.000 posti di lavoro aggiuntivi. Ma al di là di questo successo quantitativo, Mons. Sepe tira le somme sottolineando gli aspetti spirituali e sociali del giubileo, da lui vissuto come «grande laboratorio»:
Il pontefice, che conclude la missione profetizzata dal card. Wizcynski di condurre la Chiesa al traguardo del 2000, riconosce che «è impossibile misurare l'evento di grazia che, nel corso dell'anno, ha toccato le coscienze», ma sente il bisogno di innalzare «il canto della lode» per le meraviglie compiute da Dio5 :
Il papa offre del giubileo una lettura teologica e simbolica. Il pellegrinaggio di innumerevoli persone è una sorta di «epifania» della ricerca umana di Cristo, mentre «la porta santa non è che il simbolo di questo incontro con Cristo». Il papa tiene a precisare che questa esperienza cristologica costituisce il cuore del giubileo:
Dinanzi a questo nucleo cristologico che ha chiamato gli esseri umani a compiere l'esperienza del mistero del Dio-con-noi e insieme a domandare perdono per tutti i limiti della Chiesa nel suo cammino storico, cade l'interpretazione trionfalistica che evidenzia il successo esteriore e quantitativo. Il papa che il 12 marzo ha fatto un chiaro mea culpa, anche se non da tutti compreso, ricorda che l'anno giubilare è stato «intensamente penitenziale» e ha offerto «un'occasione provvidenziale per compiere la purificazione della memoria, chiedendo perdono a Dio per le infedeltà compiute»7 . Nella Novo millennio ineunte il papa ricorda i principali eventi del giubileo: la memoria dei martiri del secolo XX (Colosseo, 7 maggio), la giornata mondiale della gioventù (Tor Vergata, 19-20 agosto), gli incontri dei bambini, lavoratori, famiglie, carcerati, anziani, disabili, artisti, giornalisti…, il congresso eucaristico, l'atto di affidamento a Maria, il pellegrinaggio in Terra santa. Il papa è lieto
1.2. PROGRAMMAZIONE PER IL FUTURO Colpisce il fatto che dopo l'immenso lavoro cui si è sobbarcato nell'anno giubilare, il papa non conclude: «Ora riposiamoci!». È vero, egli concede una sosta, ma una sosta di contemplazione del volto di Cristo, sull'esempio dei magi: «Quando si è incontrato Cristo, occorre saper sostare e vivere profondamente la gioia dell'intimità con lui». Tuttavia non c'è spazio per l'inerzia e per le braccia conserte: «… questa immersione nella contemplazione del mistero non ci impedisce di camminare, anzi ci obbliga a ripartire per un nuovo tratto di cammino nel quale ci facciamo annunciatori e testimoni». Di fronte al nuovo millennio che si apre «come oceano vasto in cui avventurarsi» (NMI 58), la consegna del papa è perentoria: «Ora dobbiamo guardare avanti, dobbiamo prendere il largo, fiduciosi nella parola di Cristo: Duc in altum!» (NMI 15). Dobbiamo quindi di «ripartire da Cristo, e perciò stesso dalla Trinità». Si tratta cioè di «ripartire con rinnovato slancio dopo l'impegno giubilare» non nel senso d'intraprendere «iniziative di grandi proporzioni», ma di ritornare «nell'impegno ordinario» con nuova e più profonda ispirazione. Dalle parole di Giovanni Paolo II si deduce che il modello per i fedeli è proprio «il volto umano del Figlio di Maria» in cui «riconosciamo il Verbo fatto carne, nella pienezza della sua divinità e della sua umanità»8 . È questa la sostanza dell'esperienza giubilare, capace di un nuovo dinamismo:
Ne consegue che di fronte alle sfide del nostro tempo, «non una formule ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: io sono con voi!» (NMI 4). Proprio a partire da Cristo, dalla sua parola e dai suoi sacramenti, dalla preghiera e dalla carità… la Chiesa potrà divenire «la casa e la scuola della comunione» (NMI 43). L'atto di affidamento a Maria, recitato dal papa alla presenza di 600 vescovi (8 ottobre 2000), ribadisce questa impostazione cristocentrica:
L'alba del nuovo Millennio ha introdotto in un «anno di grazia» in cui le più svariate categorie di persone «hanno vissuto, e stanno vivendo, la gioia sovrabbondante della misericordia che il Padre ci ha donato in Cristo». Ma la situazione umana appare ambigua e contraddittoria in quanto possiede potenzialità di vita e di morte per l'intero cosmo. Mai essa è stata dipinta con toni più tragici e con appelli così pressanti alla responsabilità umana:
Il papa avverte il bisogno non solo di ricorrere a Maria per implorare con fiducia la sua «intercessione di fronte alle sfide che il futuro nasconde», ma anche di accoglierla nella vita per essere conformi a Cristo suo Figlio. Maria infatti non si sostituisce per nulla a Gesù, ma ci guida a lui, ci aiuta a riprodurne l'immagine in noi e ci ottiene lo Spirito, artefice di un nuovo modo di convivere ispirato alla giustizia, all'amore e alla pace:
2. TIPO DI ESSERE UMANO PER IL TERZO MILLENNIO Secondo l'indicazione del papa, dobbiamo cercare di «essere prima che di fare» (NMI 15). Più che sul piano dell'attività, ci poniamo su quello della persona. Si tratta di discernere l'antropologia adeguata e valida per i nostri tempi, quindi non ci interessano tanto le trattazioni manualistiche (che in pratica si fermano all'antropologia prima)9. A noi preme tracciare il tipo antropologico inculturato nel nostro tempo (antropologia seconda)10 e quindi dobbiamo rispondere alla domanda: «A quale tipo di uomo, di essere umano, dobbiamo mirare per vivere nel terzo millennio?». Lasciando alle spalle il secondo millennio del cristianesimo, ci chiediamo quale sia «il volto dell'uomo alle soglie del 2000»11 emergente di fronte a noi al di là delle luci deformanti della ribalta? L'ultimo ventennio del Novecento chiude la parabola della modernità illuministica, cui si dà l'addio per passare al tempo del post-moderno e della globalizzazione12. L'antropologia attuale presenta due aspetti reali che rendono l'uomo incerto e unicellulare o lo aprono alla diversità e all'altro. 2.1. L'uomo nel labirinto. A differenza delle altre epoche, l'essere umano d'oggi ha perso il contatto con la natura, diventa cittadino (uomo urbano) ed entra in relazione con il mondo semiotico artificiale. Suo habitat è lo spazio cibernetico (Cyberspace) e sua società è la comunità virtuale (The virtual Community)13 . Poiché questo universo si presenta come oceano di sensazioni e biblioteca caotica, che egli assaggia senza approfondire passando di canale in canale (zapping), l'immagine che meglio lo rivela è quella del labirinto14 : un groviglio di sentieri senza uscita che simboleggia l'assurdo culturale in cui si dibatte l'uomo, divenuto «un ricettore frammentario, un televedente sconnesso, in definitiva, un lettore disperso»15. Disintegrate le visioni del mondo (Weltanschauungen) medievale e moderna, l'essere umano del 2000 si trova in situazione di smarrimento non per mancanze di vie o di imput, ma al contrario per la sovrabbondanza di segni referenziali. Ha bisogno di figure trasmettitrici di significato, come quella di Cristo che nel suo mistero della croce e della Pasqua rappresenta un «di più» salvifico. Egli non è uno tra i tanti ispiratori di condotta saggia o religiosa, ma il Determinante assoluto16 e il Significante plenario17 . 4.4.1.2. L'uomo relazionale. Nonostante il labirinto, si osserva oggi una corrente cui difficilmente ci si può sottrarre: «la nuova cultura del pluralismo come principio o, se si vuole, della nuova cultura dell'alterità»18 . Essa si annuncia possibile almeno in una prospettiva futura:
La scoperta dell'altro come costitutivo della persona, secondo la filosofia del dialogo o il personalismo, conduce non solo all'accettazione del principio democratico e della tolleranza, ma a riconoscere la diversità «in quanto tale, in quanto diversità del bambino, della donna, ma anche della religione, della lingua, della cultura»20 . Con perenne conquista intellettuale tra il 512-513 SeverinoBoezio aveva legato la persona alla categoria di sostanza: «Rationalis naturae individua substantia»21 . Un apporto decisivo per il passaggio ad una nuova ontologia, non più ruotante attorno all'io perfetto in se stesso è offerto dal personalismo e dalla filosofia del dialogo22 . Il personalismo in senso stretto «è una filosofia che pone nella persona il suo centro teoretico», mentre in senso largo esso «indica non tanto una filosofia, quanto un universo di atteggiamenti pratici, morali, politici qualificati dal loro discendere da una concezione prioritaria della persona sulla natura e in polemica con la strumentalizzazione ideologica»23 . Esso afferma con M. Buber: «All'inizio è la relazione»24 , la quale pertanto struttura l'essere umano rendendolo per origine e costituzione relazionale. L'uomo, cioè, si realizza come persona soltanto nel movimento di apertura e di dono di sé all'altro. La forma essenziale della persona umana è quella dialogica, poiché l'io esiste nella misura in cui esiste con l'altro e per l'altro. «Tu es, ergo sum» - dice V. Ivanov25 oppure nella linea di E. Mounier: «Amo, ergo sum»26 .Quindi «l'amore è il luogo della rivelazione dell'essere. Ed è altresì il principio dell'essere, nel suo modo specifico, del soggetto in questione. L'amore fa essere quella persona così com'è»27 . È chiaro che sia l'antropologia biblica della coppia umana, creata nella reciprocità a immagine di Dio, sia la teologia trinitaria che vede le persone divine come relazioni sussistenti, conducono alla concezione della persona come essere relazionale, costituito cioè dalla relazionalità. In tale contesto non si possono trascurare le precisazioni di K. Lehmann circa l'ingresso della relazione nel concetto di Dio:
Oggi è giunto il momento di una visione equilibrata che scorga nella persona un intreccio vivo di due aspetti fondamentali, cioè la sussistenza o inseità e la relazione o rapporto con gli altri30 . L'originalità della persona consiste nel suo valore assoluto del suo essere sussistente chiamato a decidere liberamente contro ogni cattura o sistema oggettivante (esse in). Al tempo stesso questa identità interiore non deve tramutarsi in «imperialismo dell'io» o in «soggettività presuntuosa»31, perché l'uomo raggiunge la sua completezza solo attraverso il rapporto con gli altri: la relazionalità (esse ad) libera l'io dalla prigione individualistica e lo rende capace di solidarietà (esse cum) e di sussidiarietà (esse pro). Alla persona è essenziale l'apertura comunitaria tesa alla comunione interpersonale. 3. L'ESSERE UMANO RELAZIONALE ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE BIBLICA 3.1. L'uomo a immagine e somiglianza con Dio Trinità. La verità dell'uomo ci viene svelata innanzitutto dalla rivelazione biblica della Genesi, quando Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine (sélem), a nostra somiglianza (demût)» (Gen 1,26). E l'autore ribadisce: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Da notare che immagine e somiglianza non si pongono in senso ascendente; al contrario somiglianza attenua l'immagine, escludendo la parità dell'uomo collettivo con Dio. Permane però la somiglianza divina che rende l'uomo persona:
Si attua qui la prima forma di dialogo: quella di Dio creatore che pone l'uomo nell'esistenza come sua immagine. Rispondendo al Tu divino, l'uomo realizza la sua persona. Per K. Barth l'uomo è immagine di Dio perché può entrare in relazione con Dio stesso e con il proprio simile. Egli è costituito come Io in relazione al Tu, proprio come avviene in Dio, che il Nuovo Testamento presenterà non come solitario ma come comunione tra Padre, Figlio e Spirito santo33. L'antico racconto jahvista della creazione della donna (Gen 2,18-24) esplicita il significato personalistico-relazionale della coppia umana. Soltanto di fronte alla donna, al suo simile che gli sta innanzi, «l'uomo scopre se stesso come essere autonomo e libero e perciò come persona»34. Ciò significa che il compito dell'uomo e della donna35, vera effigie di Dio, consiste nel vivere come immagine di Dio Trinità e giungere ogni giorno ad una più perfetta somiglianza con lui, come interpreta la tradizione orientale36. Essere imago Trinitatis non implica analogie a sfondo sessuale, ma piuttosto assume la comunione trinitaria come «modello utopico e paradigma regolativo della struttura ternaria delle relazioni che si stabiliscono all'interno della famiglia umana: la reciprocità dei Due (Io-Tu) si apre al Terzo trascendente (Noi), lo Spirito dell'Amore, che custodisce la distinzione e la suggella nella comunione»37 . Uomo e donna sono immagine di Dio in quanto esseri personali, dotati cioè di autonomia (capacità di essere-in-sé) e di relazione (capacità di aprirsi all'altro da sé), di autopossesso o potere d'introspezione e di autodonazione o relazionalità oblativa:
3.2. L'uomo nuovo in Cristo Partiamo da una frase programmatica del concilio vaticano II a proposito dell'uomo che in Cristo scopre la propria identità e vocazione:
Ci troviamo di fronte a un principio antropologico basilare: l'uomo è rivelato compiutamente dalla persona di Cristo, di cui Adamo era un abbozzo. L'essere personale di Cristo, «archetipo» del primo Adamo, svela l'essere personale dell'uomo, creatura capace di dialogo con il Creatore e chiamato a realizzarsi nel rapporto d'amore con gli altri38. In realtà Gesù appare come un fascio di relazioni, per cui è aperto a Dio e conseguentemente agli altri uomini e al mondo:
Gesù non è solo in perenne relazione con il Padre e con lo Spirito, ma è pure l'accoglienza fatta persona degli altri, in particolare dei peccatori e degli emarginati, tra cui i bambini e le donne. Gli altri, in questo caso addirittura i peccatori, sono accolti in Gesù di Nazaret prima ancora di ogni loro decisione, per il fatto che sono stati amati mentre erano ancora peccatori (cf Rm 5,8). I peccatori sono amati per sempre in Cristo, nella sua morte per loro, con un sì irrevocabile (cf 2Cor 1,19-20. Anzi l'essere per i peccatori non è solo la finalità stessa della missione di Gesù, ma costituisce la sua personalità in quanto il Padre l'ha reso addirittura peccato (2Cor 5,17-21).
L'orizzonte cristologico ci offre la possibilità di definire la persona come realtà centripeta di varie relazioni. Come cristiani siamo chiamati a vivere in primo luogo la realtà di «filii in Filio»41, cioè come figli di Dio inseriti in Cristo unigenito del Padre. Questo dipende dalla nostra fede o accoglienza di Cristo, secondo la parola di Giovanni: «A quanti lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome» (Gv 1,11). Il verbo divenire non indica una realtà statica, ma un dinamismo orientato verso un traguardo. Similmente l'accoglienza (espresso con l'aoristo ingressivo) si riferisce a una fede iniziale che deve maturare. Attraverso l'amore concreto, dono dello Spirito, si realizzerà una reciproca inabitazione di Gesù nel credente e del credente in Gesù (Gv 17,26). È la meta mistica della pericoresi: dimorare di noi in Gesù (intrare in Iesum - dice il card. Cusano) e di Gesù in noi (1Gv 3,6.9) sull'esempio della mutua immanenza di Gesù nel Padre42. Come Gesù è stato il Figlio unigenito del Padre e il Fratello di tutti, un essere-per-il-Padre e un essere-per-gli-altri, così anche la persona cristiana deve relazionarsi a Cristo e in lui al Padre e allo Spirito, nonché ai fratelli e sorelle uniti a lui mediante la fede e il battesimo43, e allo stesso mondo, spazio concreto del resto delle creature, assimilata da Paolo a una donna che soffre i dolori del parto.Infatti
L'uomo nuovo è quindi impegnato in un processo di personalizzazione in Cristo che giungerà a compimento quando egli sarà «con Cristo». Allora comprenderà pienamente che «l'esistenza umana è circondata e avvolta dalla Trinità"46. 4. MARIA PARADIGMA ANTROPOLOGICO «All'inizio è la relazione»47 vale anche per Maria. 4.1. Maria è presentata dal NT con titoli relazionali o funzionali:
Ciò significa che la persona di Maria non si comprende senza l'altro cui fanno riferimento le sue qualifiche: Giuseppe, Gesù, il discepolo amato, il Signore, lo Spirito, l'Altissimo… Maria raggiunge la massima importanza dal fatto che ella è costitutivamente in relazione al Padre, al Figlio e allo Spirito santo, in quanto madre dell'Unigenito. In Maria l'essere e la relazione coincidono, sicché ella è definita come relazione. 4.2. Tutta la vita di Maria è stata una pro-esistenza, un dono di sé nelle mani di Dio per i suoi piani di salvezza. Se come madre non può che relazionarsi al Figlio ed soffrire dolori atroci per il suo smarrimento nel tempio e per la sua crocifissione, come credente e discepola si abbandona fiduciosamente a lui e invita i servi a fare altrettanto: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5). Anche la sua interiorità è proiettata sul mistero di Cristo, poiché ricorda e medita tutte le parole ed eventi anche incomprensibili che lo riguardano (cf Lc 2,19.52). Un esimio rappresentante della mariologia del nostro secolo, Heinrich Köster ( 1993), ha salutato nella risposta responsabile di Maria all'angelo «la data di nascita della personalità cristiana»48. In lei troviamo - secondo l'espressione del Bérulle - «la persona più degna che potrà mai esistere dopo le persone divine»49, una persona che nasce sotto lo sguardo di Dio che la guarda con amore e la chiama ad inserirsi responsabilmente nella storia della salvezza. E lei risponde accogliendo la proposta divina con libertà e generosità. La Vergine presenta in se stessa la vera icona dell'uomo secondo il piano di Dio e nel suo rapporto essenziale a Cristo: un essere dall'io interiore profondo e responsabile ed insieme come radicale relazionalità. Proprio a motivo della sua relazionalità fondamentale e della sua solidarietà con il popolo di Dio, la Vergine assume il ruolo di collaboratrice di Dio nella salvezza dell'uomo. L'intuizione perspicace di Ireneo ( ca 200) scorge nel consenso di Maria una portata salvifica universale:
Balza agli occhi dei commentatori la «portata sociale» e la «causalità effettiva» del comportamento sia di Eva che di Maria: ambedue sono strappate da un recinto individuale e privato e operano all'interno della storia religiosa del mondo per la rovina o per la salvezza degli uomini51. 4.3. La santità e l'assenza di egoismo rendono Maria trasparenza del divino e catalizzatore dell'incontro con la Trinità. Mentre il peccato nasconde e offusca il volto di Dio e dell'autentica religione, la grazia manifesta l'opera di Dio nella storia della salvezza. Quindi non è un ostacolo all'esperienza religiosa. Montfort ribadisce contro i «falsi illuminati» (SM 21) che Maria non rappresenta un impedimento per l'unione divina, appunto perché ella «è fatta soltanto per Dio» (SM 21) e spiritualmente è «così unita e trasformata in Dio» (VD 164; cf. VD 75). Perciò, «la divina Maria, completamente immersa in Dio, è ben lontana dal divenire un ostacolo ai perfetti nella via dell'unione con Dio» (VD 165). Il contesto del discorso monfortano su Maria toute relative è cultuale52. Grignion de Montfort intende mostrare che la lode e l'onore resi a Maria non si fermano a lei ma sfociano nella lode di Dio. Così infatti ella stessa si è comportata quando alla lode di Elisabetta ha risposto con il Magnificat. Il motivo di questo atteggiamento è la sua costitutiva relazionalità a Dio, sicché non esiste nessun rischio che Maria rappresenti un ostacolo all'unione con Dio, come potrebbero pensare gli alumbrados...Vale la pena citare tutto il passo monfortano in esame:
L'interpretazione di Maria come essere in relazione è fatta propria e lanciata da Paolo VI a commento del capitolo mariano della Costituzione Lumen gentium del Concilio vaticano II:
Anche il contesto del discorso di Paolo VI è quello degli impegni pratici che scaturiscono dalla promulgazione del capitolo VIII della Lumen gentium e dalla proclamazione di Maria Madre della Chiesa: maggiore preghiera a Maria e attribuzione a lei del giusto culto, assimilazione dei suoi comportamenti vedendo in lei il modello dei discepoli del Signore, illustrazione del fatto che Maria «è tutta relativa a Dio e a Cristo», spiegazione della «vera natura» e degli «scopi del culto mariano». Qui Paolo VI si pone in dimensione ecumenica, riprendendo con altre espressioni la natura relazionale della stessa devozione mariana:
CONCLUSIONE Alla nostra ricerca del tipo antropologico per il terzo millennio ha risposto la fede additando innanzitutto Cristo, l'uomo relazionale per eccellenza, e Maria, la persona umana tutta relativa a Dio e agli esseri umani. Cristo è modello trascendentale a motivo del suo essere Dio e uomo, Maria rimane modello categorico totalmente umano, in particolare per la Chiesa che si pone dinanzi a Cristo come la sposa dell'alleanza. Da ambedue impariamo a considerare la nostra vita come pro-esistenza in contesto di solidarietà e di relazionalità, cioè a non rimanere uno accanto all'altro, ma con l'altro, per l'altro e nell'altro: ideale che suppone come base e come effetto la partecipazione all'essere stesso di Dio che è Amore. In questa prospettiva il nuovo millennio potrà sperare esiti più positivi, pacifici, ecumenici ed ecologici, che non i due millenni precedenti. |