Preludio:
un secolo di Politica del «Magnificat»
Anche in relazione alla presenza
mariana nella sociologia, nella cultura e nella politica, trova
piena giustificazione l'antico adagio de Maria namquam satis.
Poca attenzione stè prestata e si
presta tuttora alla presenza mariana in questo settore, che al contrario
è viva, costante, profonda, ed ha avuto a volte espressioni anche
strane, come la nomina e il grado attribuito a celebri immagini
mariane di capo di eserciti, marine, aviazioni. Noi escludiamo la
politica e la sociocultura in termini formali e giuridici, e ce
ne occupiamo assumendole nel senso globale di cammino incarnato
del Popolo di Dio nella storia.
Il manifesto di questa presenza è
fuori dubbio il Magnificat, la cui carica di solidarietà
umana e di fermento rivoluzionario fa impallidire anche i documenti
sommovitori più radicali dei nostri tempi, a partire da quello della
Rivoluzione Francese, del Partito Comunista di Marx-Engels, e ai
numerosi altri che noi ben ricordiamo. Il cantico della Madonna
non lo leggiamo nel suo puro dato cronistico, come fatto circoscritto
all'incontro di Ain Karem, ma lo manteniamo in costante relazione
con tutto il flusso di rivelazioni e di eventi biblici che vi confluiscono,
soprattutto quelli dei giudici e dei profeti.
Questo argomento, almeno nel taglio
storiografico che qui gli si vuol dare, non è stato ancora trattato
ex-professo né negli incontri mariani celebrati in questa
sede, né in altri ambiti culturali. Ci si è perciò trovati di fronte
a una massa di materiale e a una varietà tematica di grande rilievo,
di fron te alla quale è stato necessario fare una scelta drastica.
In questo, che possiamo considerare un primo approccio con l'argomento,
ci limitiamo ad alcune questioni di sociologia e politica generale,
che possono anche dirsi questioni di grande politica e sociologia,
cioè le relazioni tra la comunità cristiana e la comunità civile,
fra il pensiero cristiano e le ideologie, con frequenti agganci
con i comportamenti concreti delle due parti, con le implicazioni
del diritto pubblico e con richiami ai rapporti reciproci, che non
raramente raggiungono tensioni e perfino persecuzioni, che però
mai sono da attribuire a una sola delle parti in causa, ma quasi
sempre costituiscono lo sfocio di dispute in cui l'equanimità deve
aiutarci a distribuire le responsabilità alle due parti.
I temi speciali che restano esclusi
- e che mi auguro possano esser presi in considerazione in futuro
- sono, fra i tanti: la vita familiare, le relazioni coniugali,
le associazioni e i Partiti, il femminismo, la scuola e la cultura,
il trattenimento e il tempo libero.
Una sezione attualmente di interesse
fondamentale è poi il dialogo interumano attraverso i mass-media,
le questioni dell'opinione pubblica, dell'editoria tanto stampata
che incisa e filmata. Purtroppo la limitatezza del tempo c'impone
di rinunciare anche ad altri settori di grande interesse: all'opera
dei Papi qui tralasciati: Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Giovanni
XXIII e il regnante Giovanni Paolo II; o di uomini di Chiesa come
i numerosi vescovi e sacerdoti, o come le figure di primo piano,
don Bosco, S. Vincenzo Pallotti, P. Ludovico da Casoria, S. Massimiliano
Kolbe, P. Josef Kentenich e tanti altri.
La prospettiva e la metodologia scelta
è quella storiografica. Si lascia da parte l'impostazione astratta
o deduttiva, e ci si inoltra decisamente nella bagarre delle
aspirazioni, tensioni, realizzazioni tentate o effettuate nei singoli
momenti cronistici, delineando, sulla base di documenti presentati
con larghi squarci, le caratteristiche e la produttività della missione
mariologica nelle dispute concrete della sociologia e della politica,
della pace e della guerra, dello sforzo messo in opera da vicini
e da lontani, allo scopo di costruire un mondo più degno dell'uomo.
Per i circa cent'anni qui presi in
esame, che ci offrono un quadro tangibile del rapporto fra Maria
e la società, e ci fanno toccare con mano le scelte giuste da promuovere
e quelle errate da correggere, scegliamo cinque momenti monografici
che a nostro avviso offrono gli spunti più originali e suggestivi.
Essi si collegano intimamente con le linee interne di tutta la vita
ecclesiale di questo secolo e offrono spunti validi per collocarci
nell'impegno di affacciarci autenticamente sul Terzo Millennio che
già bussa alla nostra porta.
Si è avuto cura di equilibrare la
ricerca estendendola a tutta l'ecclesialità: ai vertici della gerarchia,
ai testimoni del clero e del laicato, fino ai tre pastorelli di
Fatima.
Una conseguenza pratica di fondamentale
rilievo è la seguente: lo studio di questo argomento ci obbliga
ad eliminare, con decisione sempre più radicale, dalla pietà mariana
ogni cedimento sentimentale o puramente folkloristico che tende
a fare della Vergine una specie di «Miss Universo» di
Dio. La rivelazione biblica, e l'elaborazione teologica e letteraria,
ce la presentano come struttura portante della storia salvifica
e della storia umana, «terribil come - oste schierata in campo»
(Manzoni).
Questa rivelazione biblica s'è manifestata
ampiamente non solo nella scienza sacra, ma anche nelle scienze
umane e nelle strutture socioculturali. Il nostro discorso vuol
avviare la constatazione della permeazione biblica e teologica delle
circostanze storiografiche dell'ultimo secolo.
1. Leone XIII:
il Rosario animatore della cultura
e della sociologia.
A partire dalla Rivoluzione francese
l'ecclesialità andò incontro a tempeste prima ideologiche e poi
sociopolitiche. Le idee di rinnovamento filosofico e politico -
in senso demo cratico e nella progressiva liberazione degli individui
e delle comunità umane dai vincoli del dispotismo e dell'oppressione
- a un dato momento si trasformarono in istituzioni giuridiche e
in comportamenti concreti. La Chiesa in genere, specialmente nei
suoi dirigenti, si collocò contro questi mutamenti inevitabili,
che comunque in diversi casi si trasformarono in vera e propria
persecuzione religiosa, coi suoi martiri e i suoi esiliati.
Leone XIII ereditò i frutti di questo
lungo processo, che in Italia aveva trovato il suo compimento con
la conquista di Roma il 20 settembre 1870, e che andava affermandosi
attraverso sobbalzi e crisi a volte anche assai gravi. Il Pontefice
sovente veniva a trovarsi in vero e proprio stato d'assedio e le
offese giungevano addirittura materialmente al suo studio. Nelle
diverse regioni del mondo i contrasti erano analoghi, cosicché la
cristianità si trovò a lottare duramente per riaffermare la propria
libertà e il proprio stesso diritto all'esistenza.
Leone XIII si batté con una ricchezza
di argomentazione e una modernità d'impostazione che gli suscitò
entusiastiche simpatie tanto in campo cattolico che acattolico,
liberale, radicale. Il Rosario fu il suo riferimento più costante
nella mobilitazione dell'ecclesialità, al punto che si può affermare
essere la mariologia una delle chiavi di lettura del suo
magistero.
Un'interpretazione globale di questo
suo orientamento è espressa nella lettera Diuturni temporis
del 5 settembre 1898 1:
«Già da tempo, desiderando di porre la
salvezza della società umana, nel cresciuto culto della Vergine,
come in una sicura fortezza, non abbiamo mai cessato di promuovere
fra i cristiani la consuetudine del Rosario mariano. A questo
scopo abbiamo pubblicato, fin dal 1° sett. 1883, una enciclica
(Supremi Apostolatus: il Rosario nella storia), ed abbiamo
più volte, come sapete, promulgato su questo argomento vari
altri decreti».
La visione storiografica e teologica
globale è presentata con una felice sintesi nella lettera Da
molte parti (26-V- 1903), pubblicata circa due mesi prima della
sua morte. Essa è ordinata a porre le premesse della celebrazione
del cinquantenario delle apparizioni di Lourdes, ed è diretta al
gruppo dei cardinali che poi guideranno le celebrazioni sotto il
pontificato di S. Pio X: Rampolla, Ferrata e Vivès y Tuto 2:
«In tutti i secoli ed in tutte le lotte
e persecuzioni, la Chiesa ebbe ricorso a Maria, e ne ottenne
sempre conforto e difesa. E poiché i tempi che corrono sono
cosí procellosi e pieni di minacce per la Chiesa stessa, ci
gode l'animo e si apre a speranza, nel vedere che i fedeli,
colta la propizia occasione del menzionato cinquantenario, vogliono
con unanime slancio di fiducia e di amore rivolgersi a Colei
che è invocata aiuto dei cristiani»
Tra le numerose encicliche rosariali
ne menzioniamo due che possono offrire buoni spunti in ordine alla
descrizione della mariologia sociopolitica di Leone XIII, che fece
scuola per vari decenni: la Magnae Dei matris 3
risale a uno dei momenti più turbinosi della storia ecclesiastica
italiana, che, come soventissimo è accaduto in passato, suggerisce
alla S. Sede le linee di giudizio per la situazione di tutta la
Chiesa. La perdita del potere temporale è sempre più certa e irrimediabile;
l'astensione dei cattolici dà mano libera alla classe dirigente
liberale e radicale, che nella legislazione e nel costume crea grossissimi
problemi al mondo cattolico; la massoneria, sempre meno autentica
e sempre più aggressiva e vivace (in quell'epoca ha 300 tra deputati
e senatori in Parlamento), approfondisce sempre più il solco tra
la società e l'ecclesialità.
Il pontefice coinvolge la SS. Vergine
in questa disputa pubblica.
«Sa ognuno purtroppo, egli scrive, quali
e quanti mezzi fellonescamente adoperino i tristi nell'età nostra
per illanguidire e strappar dai cuori la fede e con essa l'ossenanza
dei precetti divini, da cui la fede stessa ha vita ed azione;
talché si direbbe che il soffio dell'ignoranza, dell'errore,
della corruzione passi funesto per ogni parte a isterilire e
desolare il campo evangelico» (pp. 7-8)
Tra gli effetti di questa secolarizzazione
galoppante è menzionata l'eliminazione della religione dalle scuole,
l'abbandono della pratica cristiana, l'apostasia esplicita in tanti
casi, e la
«licenza ognor più spudorata di tutto
pubblicare, di tutto gridare in onta a Cristo e alla sua Chiesa»
(Ivi).
Il rimedio è indicato nel Rosario.
«Quanto esso sia valevole lo dice chiaro
la sua ben nota origine, che è sì bella pagina della storia,
da noi stessi ricordata più volte» (p. 9).
Infatti, gli effetti deleteri
denunciati non si verificano nelle famiglie in cui il Rosario è
in onore; esso dev'essere promosso con nuovo vigore,
per la santa Chiesa, agitata, combattuta da
tanta furia ostile, per noi che stanchi degli anni e delle fatiche,
inceppati e stretti da miile difficoltà, spogli di ogni umano
presidio, siamo al governo della Chiesa stessa» (p. 22)
.
L'augurio finale ha accenti di battaglia,
com'è consueto nel magistero leoniano, ma si conclude nella visione
della misericordia mariana:
«Iddio propizio, alla mediazione della
Regina del ss. Rosario, tutti assecondi cotesti consigli e desiderii;
e se mai gli empi, i quali bestemmiano ciò che ignorano, ardiranno
dileggiarli, perdoni ad essi pietosa» (24).
La mariologia leoniana è profondamente
immersa nel concreto, anzi nella cronaca del mondo. Nella polemica
relativa alla rappresentazione del dramma di Giovanni Bovio, Cristo
alla festa di Purim, andato in scena a Napoli il 9 maggio 1894,
il Pontefice non vide unicamente il puro fatto culturale e politico,
ma andò oltre di esso, collegandolo con la congiura anticristiana
in atto. In effetti l'opera, letta oggi, ci appare non solo rispettosa,
ma addirittura edificante, e tale da proporre la lettura evangelica
anche al mondo borghese e liberale, anticipando in certo qual modo
- pur se con una caratura letteraria degna di ogni rispetto - i
flussi comunicativi e catechetici del Vangelo secondo Matteo
o di Jesus Christ Superstar. Allora fu presentata con intenti
anticlericali, e Leone XIII nella Jucunda semper (8 sett.
1894) entrò nel tema con vibrante indignazione:
«Negli ultimi mesi non è stato salvaguardato
nemmeno il rispetto per l'augustissima persona del Salvatore
Gesù Cristo. Non ci si è vergognati di trarre sulle scene, frequentemente
destinate a spettacoli licenziosi (la persona di Gesù), privata
però della maestà della sua divina natura, tolta questa, è inevitabile
pervenire anche alla negazione della stessa redenzione del genere
umano. Nelle diverse città italiane, dove questa rappresentazione
è stata eseguita e là dove è stata programmata, l'universale
indignazione si è levata; si deplora con grande veemenza la
violazione del diritto di confessione religiosa, violazione
effettuata presso una popolazione che sopra ogni cosa - e con
ragione - si gloria della sua religione cattolica. Allora è
esplosa, com'era giusto che accadesse, la vigile preoccupazione
dei vescovi, i quali rivolsero giustissime richieste a coloro
che hanno il sacrosanto dovere di proteggere la dignità della
patria e della religione... Per molti versi ci è nota l'alacrità
dei buoni, che si è manifestata egregiamente in molti modi;
essa è stata in grado di alleviare i1 dispiacere che intimamente
avevamo provato per la cosa. Ma offrendocisi ora questa opportunità
di parlare, non possiarno,`evitare di elevare la voce del nostro
supremo ufficio; così con gravissimo impegno congiungiamo la
no stra alle richieste dei vescovi e dei fedeli. Col medesimo
impegno del cuore col quale lamentiamo ed esecriamo il sacrilego
delitto, noi con veemenza rivolgiamo le esortazioni alle genti
cristiane, particolarmente agli Italiani, affinché custodiscano
inviolata la religione avita, che è un'eredità ricchissima,
la difendano strenuamente, e non smettano di accrescerla coi
fatti, onestamente e piamente» 4.
Tralasciamo i documenti leoniani
ordinati al dialogo fra le Chiese, soprattutto quelli che si riferiscono
all'Oriente cristiano, oltre 250, che di fatto inaugurano gloriosamente
l'ecumenismo cattolico; in molti di essi, soprattutto nell'enciclica
rosariale Adiutricem populi (8-IX-1892) egli stabilisce la
dottrina della mariologia ecclesiologica e dichiara la SS. Vergine
Madre e Regina degli Apostoli 5.
L'autenticità globale del magistero
mariologico di Leone XIII è fuori discussione, soprattutto se riferito
alla situazione generale della Chiesa e della società. In rapporto
alla situazione italiana esso risente fortemente del recente vulnus
inferto al potere temporale dal moto del Risorgimento e dalle dispute
sociopolitiche e inevitabilmente anche religiose che l'hanno accompagnato.
In taluni momenti, particolarmente critici, questa predicazione
è legata a istanze rivendicative territoriali, e perciò si colloca
fuori dei piani divini, rivelatisi poi chiaramente. Anche l'istanza
apologetica è presente continuamente nell'insegnamento leoniano.
Ma nei momenti più rasserenati - soprattutto in relazione a situazioni
esteriori alla questione italiana - non si fatica a scoprirvi quelle
«altissime cause» che sono presenti nel suo magistero.
Anche la predicazione rosariale, se purificata dalle scorie esistenziali
e cronistiche, può inquadrarsi in questa economia 6.
2. Bartolo Longo:
la palingenesi sociale e religiosa
nella proposta della
Nuova Pompei
L'impresa cristiana del Beato Bartolo
Longo esordisce solo tre anni prima dell'elezione pontificia di
Leone XIII (1878); essa si ispira strettamente all'insegnamento
pontificio, e il Beato probabilmente a sua volta ispirò la predicazione
rosariale del Pontefice, la quale, oltre alle dodici encicliche
specifiche, si snoda in numerosi altri interventi. Nella realizzazione
concreta, come pure in talune scelte e finalità, tuttavia, l'opera
pompciana si presenta con caratteristiche profondamente originali.
Essa si presenta completamente libera dai condizionamenti storici
e dalle conseguenti venature rivendicazioniste: il Risorgimento
è accettato in piena serenità, e tutto l'impegno longhiano è rivolto
a cristianizzare e catechizzare la nuova situazione, nella certezza
che ogni t~po d~ potere che si ispira più o meno al Congresso di
Vienna e alla Santa Alleanza, è uscito definitivamente dalla storia.
Come la Chiesa ha poi solennemente proclamato, elevandolo agli onori
degli altari, egli è esclusivamente all'ascolto dello Spirito. Anche
ecologicamente parlando, la sua opera attesta che la struttura socioculturale
e politica del Cristianesimo realizza la successione non
solo religiosa, ma anche politica rispetto a quella del paganesimo,
sepolto per sempre sotto le ceneri del contiguo Vesuvio.
Bartolo Longo si rivela così uno
dei geni religiosi più caratter~stici e alti dell'ultimo secolo,
e il più grande domenicano - in redingote - dell'epoca recente.
In Pompei egli fonda il progetto
della nuova comunità umana che attorno al nucleo atomico mariologico
articola tutte le componenti sociali, politiche, culturali. L'impegno
kerigmatico e catechetico è certo primario e fondamentale: tutto
comincia con la Dottrina spiegata e a una popolazione abbruttita
e abbandonata da tutti, priva di ogni orizzonte sopportabile, e
con l'edificazione di una povera cappella, che ospita un quadro
di rara bruttezza e rozzezza. Ma la legge dell'Incarnazione vi opera
immediatamente.
Alla recita del Rosario si congiunge
la fondazione di tutte le infrastrutture sociali: dall'urbanistica
agli uffici dell'amministrazione civica e delle forze dell'ordine,
dalla scuola a due stazioni ferroviarie, senza parlare delle opere
assistenziali e caritative che sono anzi dominanti.
Alla fondazione della Nuova Pompei,
sovente opposta anche in termini un po' barocchi alla Pompci pagana
sepolta dal Vesuvio, concorre l'intera comunità nazionale e internazionale,
la quale riceve in cambio l'illuminazione cristiano mariologica
e la garanzia delle preghiere degli innocenti, anche quando - anzi
proprio perché - provengono da famiglie dissestate o addirittura
criminali.
Il dialogo che la Nuova Pompei, in
nome della Madonna, stabilisce col mondo, è così un unicum.
Esso chiude l'epoca dell'integralismo e del rigetto del «mondo»
e si libera dal complesso del Cristianesimo «città assediata»:
come la città dell'Apocalisse, Pompei apre porte in tutte le direzioni;
le sue mura sono come un colabrodo attraverso la reciproca permeazione
che vi si istituzionalizza; tutti vi si sentono a casa propria,
e la cittadella mariana è di casa presso tutti. I santuari mariani
vengono sottratti gioiosamente e prepotentemente alla pura «pietà»
eucologica e al puro folklore, per essere affondati nel fango e
nelle lagrime della società umana, che viene trasformato in humus
di grazia e di pedagogia liberatrice. Da una relazione presentata
al convegno storico Bartolo Longo e il suo tempo, celebrato
a Pompei nel maggio del 1982 (Ed. di Storia e Letteratura, 1983,
p. 456 ss) traiamo alcuni brani che inquadrano questa tesi.
L'Opera pompeiana viene così
collegata con la concretezza culturale generale in cui essa sboccia:
Bartolo Longo infatti con piena coscienza si propone di entrare
in dialogo con le idee ed i comportamenti che nella seconda metà
dell'Ottocento danno il tono alla vita ed al ritmo all'attività
umana. Tra questi fermenti animatori della società - che all'epoca
umbertina hanno caratteristiche a volte enfatiche e si collocano
di fronte all'ecclesialità in termini polemici e anche repressivi,
- Bartolo Longo coglie i più validi, che hanno una loro funzionalità
al di là delle circostanze di tempo e di luogo, e li collega, attraverso
la presenza mariana, col nucleo centrale dell'annuncio evangelico.
Essi sono soprattutto: la filantropia,
che costituisce un punto ideale d'incontro tra la Chiesa e il Mondo,
e che il dialogo ecumenico può trasformare agevolmente in carità.
Inoltre: la promozione della cultura attraverso l'alfabetizzazione
e la secolarizzazione sempre più diffusa; il conseguente progresso
generale dell'umanità, ed il miglioramento del tenore di vita.
L'attività artistica e ricreativa s'inquadra anch'essa
in questo movimento di evangelizzazione e di promozione umana. L'azione
volta alla redenzione dei figli dei carcerati e dell'intera
questione carceraria,.la cui gravità Bartolo Longo
percepisce fino in fondo, con un anticipo di quasi un secolo, rispetto
alla maturazione di questo problema, che ha raggiunto risultati
effettivamente apprezzabili solo dopo il maggio 1968.
Nella «Bozza di supplica»
a Pio X, che Bartolo Longo redasse in uno dei momenti più dolorosi
della sua vita, nel 1905, la vocazione ecumenica e dialogica di
Pompei è espressa chiaramente:
«Per la natura stessa dell'Opera Pompeiana,
che è complessa, religiosa e civile, di fede e di beneficenza,
tutto il mondo aede, com'è veramente, e tutti hanno creduto,
che sia un'Opera unica, e che non possa sussistere senza
dell'altra. Difatti così è. Vi sono persone poco credenti che
hanno grande simpatia per l'Opera dei Figli dei Carcerati. Vengono
a Valle di Pompei e poi nel Santuario sentono cantare le Orfanelle,
si convertono e danno le offerte. Poi quando consegnano le offerte
dicono: queste lire cinquanta sono per grazia ricevuta dalla
Madonna di Pompei, da darsi alle Orfanelle e ai Figli dei Carcerati»
7.
Il radicamento nella cultura-ambiente
è indubbiamente presente~nell'opera pompeiana fin dal suo nascere.
Ma un documento del 1892 la presenta in termini talmente articolati
ed organici, che vale la pena sostarvi. Esso collega l'interdisciplinarietà
globale con l'opera centrale e più originale di Pompei la fondazione
dell'Opera redentiva dei figli dei carcerati. Si tratta dell'editoriale
che il Longo pubblicò in caratteri vistosi nel foglio che presentava
il programma della festa di maggio di quell'anno, e che è intitolato
Valle di Pompei 8.
Credo che valga la pena riproporne i brani più significativi. Esso
esordisce proclamando i valori nei quali credenti e «lontani»,
s'incontrano agevolmente e martellando il connubio religione
e civiltà:
«Fede ed Amore, Scienza e Beneficenza,
Edacazione ed Arte, armonico sviluppo di opere di Culto e di
Progresso, affratellamento mira~oile della Civiltà e della Religione,
ecco il vessillo che torreggia sulla cupola del Santuario di
Pompei: ecco il programma della nostra azione; ecco il fine
di ogni nostro sforzo. Tutte le feste dei passati anni tendevano
a rendere di luce folgorante questo nostro concetto, ed a mostrarlo
tradotto nei fatti.
La festa del Maggio 1887 in vero fu definita 1'Alba della
vita della Nuova Pompei. Quella del 1888 ebbe nel suo programma
il seguente titolo: La Civiltà e la Religione nelle feste
della Nuova Pompei. Quella del 1889: Le Glorie della
Civiltà e della Religione nell'Opera di Pompei. Il Programma
delle feste di Maggio del 1890 segnò questo titolo: Le Armonie
della Religione e della Civiltà nella nuova Pompci. Il programma
delle feste di Maggio del 1891 portava in capo, come una corona,
queto titolo: Il fastigio della Religione e della Civiltà
nella Nuova Pompei».
Se tutta l'opera pompeiana è di sua natura
incentrata sul risanamento delle piaghe umane che creano tensioni
e contrasti, c'è però anche un movimento specifico ordinato all'avvento
dellapace aniversale. Esso si sviluppa soprattutto negli anni 90,
allorché il complesso delle attività e delle opere ha già una struttura
abbastanza completa: il primo Plebiscito per la Pace viene bandito
nel 1896, il secondo nel 1901,e, stando a quanto afferma il Frasconi,
questo Plebiscito raccolse quattro milioni di firme ed un
milione di lire di offerte. Il documento, raccolto in otto grossi
volumi, porta questo frontespizio autografo del promotore: «Plebiscito
del Mondo per la Pace Universale. Firme accompagnate da offerte
per l'erezione della Facciata Monumentale del Santuario di Pompci,
eretta dai credenti di ogni nazione, a testimonianza del loro voto
per la Pace Universale. Dall'anno 1896 all'anno 1900».
Il Beato illustrò personalmente a
Leone XIII quest'impegno pacifista, ed ebbe l'ardire di invitare
il Pontefice - allora prigioniero volontario in Vaticano - a venire
a Pompei per benedire il mondo affratellato sotto l'egida del Rosario.
Nel 1902 fu portata anche la sua candidatura al Premio Nobel per
la Pace, é solo l'immaturità ecumenica delle nazioni scandinave
impedì che l'avvocato della Madonna se ne fregiasse. Il punto
irnportante è questo, che mentre il Longo percorreva queste strade
della sociologia e dell'antropologia (si pensi alla sua lotta contro
i criminologi positivisti, in difesa dei figli dei carcerati), egli
promoveva crociate apertamente religiose, come quella della Supplica
universale o quella del movimento assunzionista, indubbiamente il
più vivace e diffuso del nostro secolo, presente anche nei tre Gloria
Patri che per sua opera vennero aggiunti alla recita dell'Angelus.
Ancora più convincente è la sua opera
di dialogo con i liberali, gli anticlericali, i framassoni del suo
tempo. Che questi personaggi fossero nemici dichiarati della Chiesa,
che avessero i libri all'Indice, o che tenessero a Montecitorio
o nelle piazze discorsi incendiari avversi all'oscurantismo, non
costituiva per lui il mimimo impedimento. Egli li convocava all'opera
del Buon Samaritano, sotto lo sguardo della Madonna. Essi non trovavano
nessun motivo plausibile per rifiutare il suo invito.
Il più grande sindaco della storia
di Napoli, l'avv. Nicola Amore, che al Card. Sanfelice aveva dato
parecchi grattacapi e aveva messo le mani su parecchi monasteri
per dare una casa ai colerosi e ai terremotati della miseria, si
fermò spesso a Pompei e redasse il regolamento per i figli dei carcerati,
ritrovando anche la pratica dei sacramenti. Cosi, chi più chi meno,
si compromisero o restarono in riguardosa arnmirazione dinanzi alla
Madonna e alle opere di carità acattolici e persecutori umbertini:
il marchese Rudini di Starabba, il sen. Tancredi Canonico e il suo
collega Chigi Zondadari, il presidente del consiglio Paolo Boselli,
l'on. Ruggero Bonghi, gli scrittori Matilde Serao e Roberto Bracco,
il luminare della medicina Antonio Cardarelli, il leader di tutti
gli anticlericalismi, Guido Podrecca, lo spretato Baldassarre Labanca.
Quando sarà escusso come merita l'archivio pompciano di Bartolo
Longo, questa lista si arricchirà molto.
Una riflessione particolare merita
l'approccio di Bartolo Longo con Giovanni Bovio, che si diversifica
profondamente da quello seguito da Leone XIII e dalla gerarchia
centrale cattolica, verso cui il Beato pur nutriva una devozione
struggente. Bovio è indubbiamente il più austero e santo fra gli
anticlericali, i mangiapreti, i framassoni del tardo Ottocento;
incorruttibile, vive povero e morendo non lascia nemmeno il denaro
per i suoi funerali; probità indiscussa, difesa del popolo e dei
preti poveri. Leone XIII lo addita all'orrore cattolico, la S. Romana
Inquisizione mette puntualmente all'Indice i suoi lavori, man mano
che escono, la stampa cattolica, anzi clericale, versa fiumi d'inchiostro
conuo di lui. Bartolo Longo lo frequenta, lo convoca a Pompei,
lo introduce nel Santuario mentre le orfanelle cantano. Bovio si
alza nervoso, per non cadere in ginocchio. Resiste. Ma nel registro
dei visitatori scrive: Venni per studiare e ammirare. Non
tutto è stato vano.
Nel nome della S. Vergine Bartolo
Longo apre ai Santuari mariani l'orizzonte della carità e dell'irraggiamento
catechetico e giornalistico. Induce lo Stato italiano a prendere
sulle proprie spalle il problema dei minori e degli abbandonati,
fino allora curati~solo dalla beneficenza cattolica. In questo senso
ci limitiàmo a pubblicare una lettera dell'epistolario Longo-Bodio.
Era questi l'incaricato ministeriale dei problemi assistenziali,
che esisteva solo di nome. A Bartolo Longo domanda pareri relativi
all'avvio di tale attività statale. Ecco il testo:
Roma, 29 Marzo 1899
Ill.mo Signore
La Commissione Reale nominata
per lo studio di provvedimenti legislativi a favore dell'infanzia
ha delegato ad una Sottocommissione, della quale ho l'onore
di essere Presidente, l'incarico di preparare uno schema di
legge per la tutela dell'infanzia abbandonata e maltrattata
e posta a baliafico mercenario fuori del domicilio dei genitori.
La Sottocommisione ha preso in
esame la legislazione italiana ed estera su questo argomento
ma per poter concretare qualche provvedimento di ulità pratica,
desidererebbe essere meglio informata circa le difficoltà che
incontra precntemente la beneficenza privata nella sua azione
a pro': dell'infanzia.
Più precisamente essa desidererebbe
sapere:
1°. Se avvenga frequentemente che un fanciullo accolto in un
ospizi~o perché trascurato o maltrattato dai genitori, sia da
questi reclamato, prima che abbia potuto ricevere un'educazione
compiuta, e sia giunto ad un'età in cui possa provvedere a sé.
2°. Se la procedura che si segue per ottenere da privati informazioni
circa maltrattamenti di minorenni in famiglia possa essere resa
più semplice e più spedita.
3°. Quali modificazioni gioverebbe introdurre nei regola- menti
interni degli orfanotrofi, che fissano le norme per l'erogazione
della beneficenza in questi istituti, per ottenere che i giovani
ricoverati nei medesimi ricevano un'educazione intellettuale
e professionale che li renda buoni ed utili cittadini anche
prima di aver raggiunta la maggiore età.
4°. Qual'è il costo medio individuale annuo di un fanciullo
ricoverato in un ospizio, tenuto conto dell'alloggio, del vestiario,
del vitto, dell'istruzione, dell'avviamento ad un mestiere e
della sorveglianza.
5°. Quali provvedimenti gioverebbe adottare, oltre quelli
già sanciti dalle nostre leggi, per impedire che persone di
poca coscienza facciano abuso d'autorità che hanno sopra i minorenni
a detrimento della salute fisica e della moralità di questi.
La S.V. che con tanto zelo si
occupa da parecchi anni di migliorare le condizioni dell'infanzia
derelitta è certo in grado di fornire utili consigli alla Sottocommissione.
Le sarei grato se mi volesse
dare qualche notizia di fatto in risposta ai quesiti qui sopra
formulati e qualunque altra informazione ella credesse meritevole
di essere presa in considerazione per-il disegno di legge.
Gradisca con i miei anticipati
ringraziamenti, l'espressione della mia perfetta considerazione.
Devotiss.
L. Bodio (autografo) 9
Il messaggio e il magistero dell'avv.
Bartolo Longo è quanto di più evangelico si possa immaginare, e
la Chiesa intera gli ha reso questa testimonianza. La dimensione
evangelica trionfa sempre anche nei momenti più dilacerati e trasfigura
anche le opposizioni e le resistenze umane in via regia della fraternità
e della carità. Questa evangelicità è inti mamente collegata con
le aspirazioni dell'umanità alla di-gnità e allo sviluppo e con
i valori della cultura e dell'espressività artistica. Esso rappresenta
il ponte ideale fra le dispute che nel secolo XIX portavano a compimento
il superamento dell'Ancien Régime e il nuovo secolo, che nella Tametsi
futura (1-XI-1900) Leone XIII apriva all'insegna di Gesù
Redentore, Via Verità e Vita.
3. Fatima e Pio XII:
la Madonna al timone della storia
La rivelazione mariologica di
Fatima procede sui binari dei filoni ecclesiali finora operanti:
la drammaticità degli aventi, la scarsa percezione tanto dei gruppi
laicisti che di larghissime falde dell'ecclesialità, ed il ricorso
al Rosario, con un richiamo esplicito e costante a un nuovo orientamento
devozionale, quello del Cuore Immacolato di Maria, come pure a una
conversione che non può limitarsi al solo settore sacrale, ma coinvolge
anche la politica e la sociologia.
Nell'apparizione del 13 giugno 1917
la Madonna presenta ai tre pastorelli quello che è passato alla
storia come il secondo segreto di Fatima; il primo, com'è noto,
riguardava il destino dei tre veggenti e il terzo pare si riferisca
ai dettagli apocalittici che contrassegneranno la storia se l'umanità
non si «convertirà». Il messaggio del secondo segreto
presenta la Madonna profondamente immersa nella storia del mondo,
del quale ella tiene saldamente il timone. È formulato così:
«Avete visto l'inferno dove vanno a finire
le anime dei poveri peccatori. Per salvarli il Signore vuole
stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Tmmacolato. Se
si farà quello che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà
pace.
La guerra, sta per finire; ma se non cessano di offendere il
Signore, nel regno di Pio XII ne incomincerà un'altra peggiore.
Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta,
sappiate che quello è il grande segno che vi da Iddio, che prossima
è la punizione del mondo per i suoi tanti delitti, mediante
la guerra, la fame e le persecuzioni contro la Chiesa e contro
il Santo Padre.
Per impedire ciò, verrò a chiedere
la Consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione
riparatrice nei primi sabati del mese. Se si darà ascolto alle
mie dom ande, la Russia si converità e si avrà pace. Altrimenti
diffonderà nel mondo i suoi errori, suscitando guerre e persecuzioni
alla Chiesa; molti buoni sarnno martirizzati, il Santo Padre
avrà molto da soffrire: varie nazioni saranno annientate...»
l0.
L'eredità fatimita fu accolta da
tutta la Chiesa con un ritmo crescente. Sotto il pontificato di
Pio XI la gerarchia centrale lasciò che le cose maturassero gradualmente,
mentre quella portoghese e di altre nazioni non cessarono di approfondirne
il si~gnificati e le implicazioni concrete. Pio XII assunse con
grande impegno questa eredità e la propose all'intera Chiesa, soprattutto
attraverso le numerose consacrazioni al Cuore Immacolato di Maria.
Per ragioni evidenti diamo uno spazio piuttosto rilevante alla consacrazione
della Chiesa e del mondo al Cuore Immacolato di Maria, proclamata
in un messaggio al Portogallo messo in onda il 31 ottobre 1942,
allorché la guerra predetta ai pastorelli attraversava uno dei momenti
più drammatici 11.
Lo schema del magistero pacelliano
è a grandi linee, il seguente: l'umanità vive momenti difficili,
fino alla tragedia; bisogna restaurare la pace e la dignità dell'uomo;
il ricorso alla Madonna è la via provvidenziale per ritrovare la
pace, la fratellanzà,- la prosperità.
Nella consacrazione universale la
tesi è così proposta:
«In un'ora tragica di oscurità e di deviazione,
quando la nave dello Stato portoghese, perduta l'eredità delle
sue più gloriose tradizioni, sviato dalla tempesta anticristiana
e antinazionale, sembrava andare incontro a sicuro naufragio,
incosciente dei pericoli presenti e ancor più di quelli futuri
- la cui gravità nessuna prudenza umana, per quanto chiaroveggente,
poteva prevedere - il cielo, che vedeva gli uni e prevedeva
gli altri, intervenne pietoso, e dalle tenebre spuntò la luce,
dal caos sorse l'ordine, e la tempesta si trasformò in bonaccia,
e il Portogallo poté ritrovare il filo perduto del le sue tradizioni
più belle di nazione fedelissima...» (p. 256).
La salvezza del Portogallo dalla
guerra che imperversa nel mondo non deve indurlo a isolarsi, ma
a trasmettere agli altri popoli questo dono che viene dalla Madonna:
«Ma voi non vi disinteressate - e chi
potrebbe fare una cosa simile? - dell'immensa tragedia che tormenta
il mondo. Quanto più grande è la gratitudine che oggi dovete
a Nostra Signora di Fatima, tanto più dev'essere la vostra fiducia
relativamente al futuro; voi siete coperti dal manto della luce,
ma al contrario si manifesta in tutta la sua gravità la tragedia
di tante nazioni dilacerate dalle calamità della storia»
(p. 259)
L'affidamento del mondo alla Madonna
segue il binario del messaggio fatimita, che stabilisce un chiaro
equilibrio tra le ragioni del soprannaturale e quelle delle esigenze
visibili. Nel momento culminante il discorso pacelliano si trasforma
in preghiera:
«A te, al tuo Cuore Immacolato, in questa
ora tragica della storia umana affidiamo, raccomandiamo, consegnamo
non solo la Santa Chiesa, corpo mistico del tuo Gesù,che in
tante parti e in tanti modi pena nella tribolazione e sanguina,
dilacerata da discordie esiziali bruciata in un incendio di
odio, vittima delle sue stesse iniquità. Ti commuovano tante
rovine materiali e morali, tanti dolori, tante agonie delle
nazioni, delle madri, degli sposi, dei figli, dei bambini innocenti,
tante vite stroncate in pieno fiore, tanti corpi dilaniati in
un'orrenda carneficina, tante anime torturate e agonizzanti,
tante in pericolo di perdersi eternamente. Tu, madre di misericordia,
impetraci da Dio la pace...» (pp. 260-261). «Ottieni
pace e libertà completa alla Chiesa santa di Dio; ferma il diluvio
avanzante del neo-paganesimo e del materialismo; fomenta nei
nostri fedeli l'amore alla purezza, la pratica della vita cristiana
e lo zelo apostolico, affinché il numero di coloro che servono
Dio aumenti in merito e in numero» (p. 261).
Nel radiomessaggio Magnificat
anima mea Dominum (13 ottobre 1951) Pio XII orienta il movimento
della «peregrinatio» mariana ancora nella visione della
legge dell'Incarnazione e nella previsione dell'affratellamento
universale:
«Sotto il materno sguardo della Celeste
Pellegrina non ci sono antagonismi di nazionalità o di razza
che dividono, non diversità di frontiere che separano, non contrasto
d'interessi; ma tutti, in quel momento, si sentono felici di
essere fratelli»12.
Questa strutturazione della venerazione
teologico-antropologica della SS. Vergine, in un messaggio inviato
al popolo libanese acquista un significato profetico e augurale,
mentre ai nostri giorni quella nazione è tanto martoriata:
«E sulla vita sociale della vostra patria
la Madre del Dio Salvatore farà brillare l'ideale di suo Figlio,
il suo messaggio di carità e di fratellanza, di verità e di
giustizia... Anche oggi, se voi sarete attenti ai suoi insegnamenti,
ella sarà un segno di salvezza per le vostre venerabili cristianità
dell'Oriente»13.
La consacrazione mariologica del
1942 ha un rilievo notevolissimo nel magistero di Pio XII, infatti
egli la rievoca molte volte: è sufficiente consultare in proposito
l'indice generale dei Discorsi e radiomessaggi. Le altre
sono modellate sullo schema di essa. Seguono con quest'ordine: consacrazione
della Polonia il 23-XII-1946 (Ivi, vol. X, 427, cf 431); dell'Argentina
nel 1947 (vol. LX, 287), del Canadà il 19 giugno dello stesso anno
(IX, 110), della Russia il 7 luglio 1952, nella ricorrenza liturgica
dei SS. Fratelli Cirillo e Metodio (XIV, 501-502), e le consacrazioni
effettuate nel corso dell'Anno Mariano 1954: Belgio il 5 maggio
(XVI, 104-105), Bretagna il 26 luglio (XVI, 91), Spagna il 12 ottobre
(XVI, 195, 197), e Montevideo, dove sono radunati pellegrini di
tutto l'Uruguay, lo stesso giorno (XVI, 203).
Non sarà ozioso ricordare che nell'enciclica
Sacro vergente anno (7-VII-1952) rivolta ai popoli della
Russia (XIV, 495ss), nell'esporre le ragioni della consacrazione
al Cuore Immacolato di Maria, Pio XII parte dalle premesse sociopolitiche
per giungere all'affermazione dell'avvento del Regno di Cristo:
«(Ci auguriamo) che, per intercessione
della potentissima Vergine Maria, quanto prima si avveri ciò
che noi, voi, e tutti coloro che nella bontà aspirano alla pace,
alla concordia fraterna, l'avvento della libertà dovuta a tutti,
e in primo luogo alla Chiesa...».
Su queste premesse si edificherà
poi il Regno di Cristo.
L'atto più solenne del pontificato
di Pio XII, dal punto di vista teologico, è senza dubbio la proclamazione
del dogma dell'Assunzione. Anche nella Cost. Ap. Munificentissimus
Deus ( 1 -XI -1950) che la sancisce la dimensione religiosa
è inscindibilmente legata a quella socioculturale:
«Vi è da sperare inoltre che tutti coloro
che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi
sempre più del valore della vita umana, se è dedita totalmente
alla esecuzione della volontà del Padre Celeste ed al bene degli
altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi
da esso derivata, minacciano di sommergere ogni virtù e di fare
scempio delle vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi
agli occhi di tutti, in modo luminosissimo, a quale eccelso
scopo le anime e i corpi sono destinati, che infine la fede
nella corporea Assunzione di Maria al cielo renda più ferma
e più operante la fede nella nostra risurrezione»14.
Il magistero di Pio XII per alcuni
aspetti è già lontano da noi, soprattutto per quello che si riferisce
all'espressività letteraria, alla retorica, che è decisamente superata.
Ma nei suoi contenuti non solo è sempre attuale, ma costituisce
uno degli appuntamenti umani più veri e liberatori. Il Pontefice
sente fino allo spasimo gli aspetti tragici della storia umana,
particolarmente agli albori del suo magistero (1939-1945), quando
una guerra spaventosa insanguina il mondo. Anche negli anni susseguenti,
se la situazione militare si normalizza progressivamente, quella
spirituale resta nelle sue tensioni a volte assai robuste, nell'incubo
della guerra fredda.
Per impostare una valutazione di
tale magistero bisogna affermare che esso dev'essere considerato
come una delle più evidenti chiavi di lettura del pontificato
di Pio XII. In questo senso egli si collega idealmente, più profondamente
di qualsiasi altro papa degli ultimi 100 anni, con Leone XIII, nella
connotazione mariologica globale.
La venerazione mariana di Pio XII-non
subisce flessioni, anzi cresce e si articola man mano che gli anni
trascorrono dando spazio sempre maggiore all'istanza di estendere
alle masse tale venerazione. Queste sono sempre le più esposte alle
intemperie della storia. Pio XII dialoga intimamente e autoritativamente
con tutte le componenti dirigenziali dell'umanità, nell'intento
di far da ponte con le masse, sicché il regno di Dio s'affermi e
si rafforzi sotto gli auspici mariani.
4. Paolo VI e la stagione concilitare:
«Madre della Chiesa»
Gli anni '60, fin quasi alla fine
degli anni '70 - e perciò in comcidenza pressoché esatta col pontificato
montiniano - sono segnati dalla crisi della mariologia. Questo fenomeno
va giudicato non in termini negativi, ma in termini costruttivi
m quanto questo abbassamento di voce ha consentito di purificare
iI terreno mariologico dalle scorie del sentimentalismo e della
iperbolizzazione e di inquadrarlo nell'ecclesiologia, con un piglio
meno goliardico ma più profondo e più attento alle problematiche
generali. La chiave di lettura qui è per l'appunto ecclesiologica.
Non ci sentiremmo di definire il magistero mariologico montiniano
meno vivo di quello degi altri papi qui ricordati, ma certo esso
è di orientamento differente, e frattanto ha il merito assai grande
di collegarlo con l'economia conciliare e con l'arricchirlo del
nuovo titolo di Madre della Chiesa. Ma poiché non disattende
le difficoltà ricordate, le singole espressioni montiniane vanno
massimalizzate, in quanto che egli si mantiene su un terreno prudenziale,
per integrarle con le ragioni dell'ecumentsmo, dell'elaborazione
delle teologie radicali, e con la crescita contestativa coagulata
attorno al maggio 1968.
Da un 'omelia parrocchiale del 1968
togliamo un'espressione che sembra riassumere l'angolatura mariologica
di que sti anni:
«La Madonna non è soltanto Madre e Regina
nostra, è sorella, è compagna; è stata anch'ella cittadina
di questa terra ha percorso i nostri stessi senfieri e,
più di tutti, conosce la gravità, la pesantezza della esistenza
della vasta famiglia umana, colpita da tanti malanni e destinata
alla penitenza, al dolore santificante, alla speranza che deve
quasi liberare dalle cose esteriori, affinché vengano amate
quelle supreme»15.
È la via seguita dal Concilio nella
Lumen gentiun (21-XI-1964) della quale è opportuno richiamare
le linee della lettura socioculturale della mariologia. Esse denotano
l'ht`mti del pensiero filosofico e sociopolitico degli ultimi decenni,
in particolare la meditazione esistenzialista e personalista, I'angoscia
della solitudine e il terrore nei confronti dell'imbarbarimento
che sembra trionfare, come pure dell'apocalisse chiaramente presente
nello stesso messaggio di Fatima.
Nell'art. 62 i motivi tradizionali
della devozione mariana assumono uno spessore evidente;
«Assunta in cielo, non ha deposto questa
funzione di salvezza, ma con la sua intercessione continua ad
ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna
carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo, ancora
peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino
a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata
vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata,
ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice...».
L'art. 66 fa eco, ancora in prospettiva
comunitaria:
«Già fin dai tempi antichi è venerata
col titolo di Madre di Dio, sotto il cui presidio i fedeli imploranti
si rifugiano in tutti i pericoli e le necessità. . .».
L'art. 68 enuncia la presenza materna
della Vergine dando coraggiosamente spazio a un'istanza che il superomismo
nitzscheiano aveva indotto in parecchi scrittori e pensatori cattolici:
«La madre di Gesù, come in cielo,
glorificata ormai nel corpo e nell'anima è immagine e inizio
della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura,
cosi sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante Popolo
di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione,
fino a quando non verrà il giorno del Signore.».
L'art. conclusivo, il 69, allarga
il suo orizzonte all'intera comunità umana, nell'ascolto di orientamenti
che nella Chiesa erano stati seguiti fin dal periodo della guerra,
come vedremo parlando della mariologia di don Alberione:
«Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere
alla Madre di Dio e degli uomini, perché essa, che con
le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in
cielo esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione
dei Santi interceda presso il Figlio suo, fin tanto che tutte
le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano,
sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in
pace e concordia siano felicemente riunite in un solo
Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile
Trinità».
Riteniamo che l'allocuzione pronunciata
da Paolo VI a conclusione della III sessione del Concilio, che porta
la stessa data della Lumen gentium, 21 -XI- 1964 16,
e che la commenta e la presenta alla Chiesa universale, possa in
certo senso essere considerata come appendice e forse anche un'integrazione
alla medesima; essa segna un momento forte della mariologia sociologica
e culturale del nostro tempo.
«La realtà della Chiesa, dice il Pontefice,
non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia,
nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici. La sua
intima essenza, la sorgente prima della sua efficacia santificatrice,
sono da ricercarsi nella sua mistica unione con Cristo; unione
che non possiamo pensare disgiunta da Colei che è la Madre del
Verbo Incarnato e che Gesù Cristo stesso ha voluto tanto intimamente
a sé unita....» (n. 7, p. 411).
Nell'ascolto delle voci della Chiesa,
e delle richieste esplicite di molti Padri conciliari, Paolo VI
annuncia quindi la proclamazione del nuovo titolo mariano di Madre
della Chiesa, giustamente presentato come
«non nuovo alla pietà dei cristiani; che
anzi è proprio con questo nome di Madre, a preferenza di ogni
altro, che i fedeli e la Chiesa tutta sogliono rivolgersi a
Maria» (n. 8, p. 412).
La dimensione socioculturale del
nuovo titolo - che è da recuperare in tutto l'insegnamento di Papa
Montini - è riportata alla solidarietà genetica e antropologica,
in quanto essa è nostra sorella e nostra concittadina. Nel n. 9
(pp. 412s) leggiamo fra l'altro:
«È dunque con animo pieno di fiducia
e di amore filiale, che noi innalziamo lo sguardo a Lei, nonostante
la nostra indegnità e debolezza. Ella che ci ha dato con Gesù
la sorgente della grazia, non mancherà di soccorrere la Chiesa
ora che fiorente per l'abbondanza dei doni dello Spirito Santo,
s'impegna con nuova lena nella sua missione di salvezza.
E la nostra fiducia è ancora
più ravvivata e corroborata se consideriamo i legami strettissimi
che stringono questa nostra celeste Madre al genere umano. Pur
nella ricchezza delle mirabili prerogative di cui Dio l'ha onorata,
per farla degna Madre del Verbo Incarnato, essa tuttavia è vicinissima
a noi. Figlia di Adamo come noi, e perciò nostra Sorella per
vincoli di natura, essa però è la creatura presenata dal pec
cato originale in vista dei meriti del Salvatore, e che ai privilegi
ottenuti aggiunge la virtù personale d'una fede totale ed esemplare,
meritando l'elogio evangelico beata quae credidisti.
Nella sua vita terrena ha realizzato la perfetta figura del
discepolo di Cristo, specchio di ogni virtù, e ha incarnato
le beatitudini evangeliche proclamate da Cristo. Per cui in
Lei tutta la Chiesa nella sua incomparabile varietà di vita
e di opere attinge la più autentica forma della perfetta imitazione
di Cristo.
Noi Ci auguriamo quindi, che
con la promulgazione della Costituzione sulla Chiesa, sigillata
dalla proclamazione di Maria Madre della Chiesa, cioè di tutti
i fedeli e Pastori, il popolo cristiano con maggiore fiducia
e ardore si rivolga alla Vergine Santa, e attribuisca a Lei
il culto e l'onore che le competono».
Chiosando l'attribuzione della Rosa
d'Oro alla Madonna di Fatima, questa visione è ribadita e collegata
con la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, della
quale l'allora sostituto alla Segreteria di Stato era stato spettatore
diretto; l'opera del Concilio ottiene così una collocazione storica
e teologica di sereno equilibrio, e lo stesso titolo mariologico
proclamato in quel momento ottiene una connotazione che non si limita
ai soli confini - ormai decisamente angusti - della Chiesa, ma slarga
all'intera famiglia umana, che è in ogni caso solidale con la Vergine:
«Mentre rivolgiamo il nostro animo in
ardente preghiera alla vergine, affinché benedica il Concilio
ecumenico e la Chiesa tutta, affrettando l'ora dell'unione fra
tutti i cristiani, il nostro sguardo si apre sugli sterminati
orizzonti del mondo intero, oggetto delle attenzioni più vive
del Concilio e che il nostro predecessore Pio XII, non senza
ispirazione iall'alto, consacrò solennemente al Cuore Immacolato
di Maria... In tal modo anche noi intendiamo affidare alle cure
della celeste Madre l'intera famiglia umana con i suoi problemi
e i suoi affanni, con le sue legittime aspirazioni e ardenti
speranze» (n. 10, pp. 414-415).
5. D. Alberione:
la «Madre dell''umanità»,
preludio al Terzo Millennio
Nell'impostazione della pietà, come
in quella delI'apostolato, don Giacomo Alberione, del quale ricorre
il centenario della nascita (1884-1971), si colloca di fronte alle
nuove realtà, che saranno quelle del futuro umano: la presenza degli
strumenti' della tecnolgia e dell'elettronica, che plasmano un nuovomomo
e una nuova comunità umana, attra-verso il passaggio dalla Galassia
Gutenberg alla Galassia Marconi. Il nuovo uomo
è ormai privato delle nozioni e delle basi tradizionali dello spazio,
attraverso l'ubiquitarietà delI'informazione e del coinvolgimento;
del tempo, attraverso l'istantaneità della percezione dei
fatti, che sono sempre «vicini», anzi «a portata
di mano»; della successione storica attraverso
l'omnicontemporaneità realizzata dalle immagini filmiche e televisive;
della stratificazione psichica attraverso lacompresenza, I'identificazione
e la proiezione favorita dal consumo di opere audiovisive specie
quando sono particolarmente efficaci. La nuova società è connotata
da processi variamente proponibili, che però confluiscono sempre
nella rottura d'ogni tipo di separazione e di estraniamento: quello
di socializzazione, per cui si abita nel villaggio globale e nella
ritribalizzazione; di planetizzazione corresponsabile, che
ne è la conseguenza etica; di demitizzazione e destrutturazione,
e infine di connotazione tecnologica e imaginifica.
L'evangelizzazione, come pure il
dialogo culturale e informatico di ogni livello, non può prescindere
da questa nuova realtà. Don Alberione si colloca decisamente sul
versante della nuova predicazione strumentale, che non sostituisce
quella orale, ma le si affianca a pari titolo ed efficacia; e per
esigenze strutturali. percepite fin dalla notte che separa il sec.
XIX dal XX, sceglie la predicazione alle masse, com'è del resto
inevitabile entrando nel settore della stampa e poi, via via, di
tutti i mass-media. Le macchine sono i nuovi pulpiti, i grandi complessi
tipografici e audiovisivi sono le chiese, il mondo intero costituisce
la parrocchia planetaria.
Per far fronte teologicamente e pastoralmente
a questa nuova dimensione dell'annuncio salvifico, egli imposta
lo scibile cristiano sul magistero eterno e universale di Dio, manifestatosi
attraverso Gesù Maestro Via Verità e Vita, postulando, col metodo
omonimo, I'annuncio di tutto il Cristo a tutto l'uomo. I contenuti
devono sempre comprendere il dogma (momento Verità) la morale
(momento Via) e il culto (momento Vita). Rispettivamente,
l'uomo dev'essere coinvolto nella sua razionalità, nella sua comportamentalità,
nella sua emotività. Nell'approccio catechetico e kerigmatico bisogna
passare ancora per i tre momenti: conoscere-apprendere, imitare-fare,
lodare-pregare. Se si privilegia eccessivamente - o se si tralascia
- qualcuna di queste componenti, si dà luogo a una forma di squilibrio
o di settorialismo; solo l'interdisciplinarietà più radicale può
garantire un dialogo costruttivo con l'uomo e col mondo plasmato
dai «media».
Queste dottrine vengono esposte in
mille articoli, libri, prediche, esortazioni. Trovano una formulazione
dogmatico eucologica nell'opuscolo Via humanitatis del 1947,
e che si fonda sulle quattro manifestazioni del magistero divino,
rivelato attraverso Gesù Divin Maestro, in uno schema grandioso
che presenta il Tutto originato in Dio, che attraversa tutta la
serie cosmica della storia, e ritorna definitivamente in Dio:
1. rivelazione naturale, o economia-epoca
della creazione;
2. rivelazione soprannaturale, come
sopra: A. e N. Testamento;
3. vita della Chiesa pellegrinante,
l'epoca in cui noi viviamo;
4. vita eterna o escatologica, dopo
il giudizio finale.
Per dare un'idea di questo tentativo
di dialogo con l'uomo audiovisivo, ricorderemo che è possibile fare
un raffronto con la via Crucis, una devozione che comunque don Alberione
apprezzò immensamente. Questa rappresenta un piccolo segmento del
mistero pasquale: il viaggio dal pretorio al Calvario. Visione meravigliosa,
ma angusta per gli orizzonti dell'uomo audiovisivo.
La presenza mariana in una concezione
così grandiosa è fondamentale e costante, e si coagola attorno al
titolo di Regina degli Apostoli per quello che concerne l'aspetto
evangelizzatore e di Mater humanitatis per quello
che concerne invece le caratteristiche di tale presenza. L'opuscolo
del 1947 è articolato in 31 quadri, ognuno dei quali presenta una
formula che nella prima parte enuncia la verità e nelle altre due
ne trae le conseguenze pratico-comportamentali e offre una formulazione
eucologica (il metodo Via Verità e Vita in atto); il ministero mariano
a volte è indicato in una a volte in un'altra di tali parti, mentre
in vari casi è espressa nell'indicazione che don Alberione dà al
pittore, dal momento che ogni quadro prevede non solo l'enunciazione
teorica, ma anche la sua traduzione figurativa. Cosi il quadro iniziale,
che presenta il consiglio della SS. Trinità, che decide la creazione
dell'uomo, già prevede («a mezza luce») la presenza
mariana; il penultimo presenta l'incoronazione di Maria e l'ultimo
la sua presenza di corifea nella Celeste Gerusalemme.
Una delle rappresentazioni monumentali
è nel Santuario Regina Apostolorum di Via Alessandro Severo e per
la parte pittorica è dovuta all'affreschista Antonio Giuseppe Santagata:
un'altra è stata realizzata da Gesarina Giordani nel Tempio al Divin
Maestro in Via Portuense; in quest'ultimo caso la concezione alberioniana
è brillantemente collegata con quella di Teilhard de Chardin 17.
In una lettera al pittore Santagata
(24-XII-1953), don Alberione formula per l'ennesima volta il fondamento
del titolo di Madre dell'umanità, che sarà poi realizzato
con una Vergine che riceve dalla SS. Trinità le grazie e le elargisce
a due gruppi di oranti: a destra quello dei credenti, guidati da
Pio XII, a sinistra quello di tutti gli uomini, quale che sia la
loro razza, colore, religione; tale fondamento è nei due annunci
a Maria:
«Sotto
la Croce Maria riceve il secondo annunzio: di essere
Madre dell'umanità rappresentata da Giovanni:
risponde al primo annunzio di essere Madre di Dio. Perciò accoglienza
umile ed amorosa del nuovo ufficio, un altro «Ecco l'ancella
del Signore, sia fatto di me secondo quanto hai detto»;
e subito guarda con compiacenza il nuovo Eiglio, Giovanni, ed
in lui l'umánità.
Giovanni
è sereno ed ossequente, dolente della morte di Gesù.
L'umanità
è rappresentata da due schiere: una è la cristianità che Pio
XII presenta e consacra a Maria; l'altra la schiera degli uomini
ancora fuori della Chiesa, che il Papa pure raccomanda a
Gesù colla mano. In entrambe le schiere, uomini di ogni condizione
e razza. Di fronte al Papa Pio XII un operaio inginocchiato
con gli strumenti del lavoro. Vi può essere tra la prima schiera
anche un sacerdote, e tra la seconda anche un missionario; (ma
è ancora meglio se vi è solo il Papa)» (167-168).
L'elevazione del monumentale santuario
romano è collegata alla tragedia della guerra. Durante i giorni
tristissimi don Alberione fece un voto: se tutti i suoi figli e
le sue figlie sparsi nei cinque continenti fossero usciti illesi
dalla tragedia, avrebbe elevato questo santuario: è una proclamazione
della provvidenza storica della Vergine. In uno scritto di poco
posteriore all'opuscolo Via humanitatis egli cosi
formulava il titolo mariano:
«MATER HUMANITATIS. I pericoli e le difficoltà
presenti, e insistenti inviti del Papa a pregare per la pace,
sono motivi per sollecitare i lavori della Chiesa Regina Apostolorum.
La pittura e la scultura si completano
tra di loro e completano l'architettura. Maria è Mater
humanitatis che sovrasta tutto il creato sempre; ed oggi
più ancora. Ella segna la «via humanitatis»,
per mezzo specialmente degli Apostoli.
È buona cosa che, soprattutto
i lontani, abbiano un ragguaglio di tutta l'opera; e in modo
speciale di quanto già è fatto od in corso di esecuzione. Gioverà
per chi ha concorso, sarà un invito per chi può concorrere.
Maria, tutta bella e nostra buona
Madre, ci conceda di onorarla e cantarla anche in quest'opera
d'arte. «Dignate me laudare te, Virgo sacrata».
Sac. ALBERIONE» (43).
Nel trattatello Apostolato
stampa (Alba, Pia Soc. S. Paolo, 1933, 44-47) egli dà alla
Vergine il titolo di Regina della storia, riferendosi evidentissimamente
alla storia della salvezza, tant'è vero che divide il capitolo in
tre parti: «presiedette (cioè: fu presente) all'idea creatrice
di Dio; presiede al suo sviluppo; presiederà alla consumazione».
E applicando a questa impostazione l'opera dell'apostolo dei mezzi
moderni, notava:
«L'apostolo della stampa verso la santa
nostra Regina, Madre e Maestra, ha uffici speciali... Tutto
il creato essendo sotto il potere, la sapienza, la grazia di
questa Regina, e dovendo dalla sua pienezza tutti ricevere,
bisogna che ogni passo, ogni movimento lo faccia per Maria,
in Maria, su l'esempio di Gesù Maestro. Farci figli di Maria
come si è fatto il Divin Figlio» (4 7 )
L'evangelizzazione cristiana, a
suo giudizio, non ha ottenuto frutti proporzionati agli sforzi,
specie presso le civiltà più antiche, perché non ha seguito a sufficienza
l'esempio del Cristo. Nel volume Regina degli Apostoli (1948)
così formula questa constatazione:
«Il mondo
divenne cristiano per Maria e solo per Maria: ecco l'Apostola.
Lo sarà completamente, se completamente Maria sarà conosciuta,
imitata, invocata come l'Apostola. Ieri, oggi, nei secoli.
Sacerdoti ed anime cristiane,
riflettiamo: il mondo non arriva a Cristo, perché si addita
non ancora abbastanza la via: Maria...
Si moltiplicano stampe, discorsi,
proposte iniziative, fatiche, spese. .. Ma Gesù si trova sempre
come l'hanno trovato i pastori ed i Magi: «Et invenerunt
Mariam et Joseph et infantem positum in praesepio». È
il fatto che sempre deve ripetersi e si ripeterà sino alla fine
dei secoli. E se non si troverà Maria, non si troverà Gesù...»
(62).
Dopo la proclamazione del titolo
Madre della Chiesa don Alberione scrisse a Paolo VI, che
lo degnò di un affetto e di una condiscendenza sovrana, una lettera
in cui, con tutta l'umiltà che gli era propria, esprimeva una tesi
che vale la pena richiamare: oggi non è più sufficiente limitare
alla Chiesa i nostri orizzonti, bisogna estenderli al mondo intero.
La lettera risale al giugno del 1965, e fu seguita da molti altri
messaggi rivolti al Card. Siri, presidente della CEI, e ad altri
vescovi, sempre invocando il ritorno al Rosario per preservare l'Italia
dalla minaccia delle forze avverse e per garantire un'evangelizzazione
e una promozione umana degne della storia cristiana. Ne diamo il
testo, com'è desunto dalla minuta d'archivio:
Santità,
Sono il più piccolo tra i vostri figli;
i piccoli sono talvolta audaci col Padre, perché ne conoscono
la grande bontà.
Ho sempre
davanti il Vostro mirabile discorso di indirizzo ai «Comitati
Civici (31 gennaio 1965), che riflette la grave vostra preoccupazione
del prossimo avvenire per l'Italia.
Tante persone pensose prevedono
tempi tristi se non si arresta il cammino del socialcomunismo.
Esso utilizza a suo vantaggio: le discordie della Democrazia
Cristiana, la gioventù che abbandona la Chiesa in parte notevole,
la debolezza (insufficienza) della nostra
stampa, I'abbassamento del costume, l'ateismo, il laicismo,
il materialismo della vita, l'insofferenza dell'autorità, I'abuso
della libertà, dottrine eversive. Da parte nostra? si prega
meno e si predica meno, siamo fin troppo inattivi, come davanti
ad una fatalità che non e possibile scongiurare.
Che sarà delle prossime elezioni?
Come pensare un'Italia comunista?
In quali condizioni si troverebbe?
e quali riflessi nel mondo intero?
Occorre una vera Crociata del
Rosario. Vi è salvezza in Maria.
Maria che difese l'Italia dal
protestantesimo dai Turchi che miravano a Roma, dalle false
dottrine dell'Oltralpe e potenti alleate adversus Deam et
Christum eius per sommergere la Chiesa, e furono vinte.
L'odio fu vinto dalla carità. Furono le undici lettere di Leone
XIII.
Padre Santo, oltre la Mater Ecclesiae,
invochiamo Maria Mater humanitatis secondo il Maestro Gesù,
quando invitava tutti al suo cuore aperto. Voi avete il nome
e lo spirito di San Paolo: «Cor Pauli cor Christi».
Crociata del Rosario.
La lettera apostolica di Giovanni
XXIII (29-IX-1961) per la pace universale: «Il Rosario...
prende posto per gli Ecclesiastici dopo la S. Messa ed il Breviario,
per i laici dopo la partecipazione ai sacramenti»: il
Rosario di Maria.
Santità, al più piccolo, perdono
ed insieme una paterna grossa benedizione. (81-82)
Umil.mo Figlio
Volgendo il suo sguardo sul futuro,
aprendo il 28 novembre 1954 il novenario dell'Immacolata, per la
consacrazione del santuario romano, don Alberione espresse il manifesto
della catechesi integrale e della funzione kerigmatica della tecnologia,
come pure dell'interdisciplinarietà globale:
«Continuate,
o Maria, dal cielo il vostro apostolato di dare al mondo Gesù
Via Verità e Vita. Molte nazioni sono povere perché mancano
di Gesù Cristo. Nuove generazioni si affacciano alla vita. Il
mondo sarà salvo solo se accoglierà Gesù cosl com'è: in tutta
la sua dottrina, tutta la sua liturgia. Un Vangelo pieno di
catechismo e liturgia, un catechismo pieno di Vangelo e di liturgia;
una liturgia (esempio il Messalino) piena di Vangelo e di catechismo.
Gli editori possiedono la parola, la moltiplicano, la diffondono
vestita di carta, carattere, inchiostro. Essi hanno sul piano
umano, la missione che nel piano divino ebbe Maria: che fu Madre
del Verbo; Ella ha captato il Dio invisibile e lo ha reso visibile
ed accessibile agli uomini, presentandolo in umana carne~ (75)
La missione sociopolitica
della Vergine è espressa scultoreamente nella invocazione conclusiva
dell'ora di adorazione che inaugurava la novena già ricordata del
1954. Mentre nelle invocazioni antecedenti don Alberione aveva usato
il Voi, allora consueto nelle preghiere, inopinatamente in quest'ultima
parte passò al Tu. Il brano non richiede grandi commenti.
Riteniamo possa senire lapidariamente per la mariologia sociòlogica
del Terzo Millennio:
«Ecco nella prima cupola i due gruppi
oranti formati dai rappresentanti dell'umanità: dall'umile operaio
al Pontefice Supremo.
Tu, o Maria, ha una missione
sociale.
Pnmo: hai santificata
una casa, domicilio delle virtú domestiche; custodisci la prima
società che è la famiglia.
Secondo: hai dato principio
alla vita religiosa con il voto di verginità e l'osservanza
di una perfetta obbedienza e` povertà: custodisci la società
religiosa.
Terzo: hai portato sulle
braccia la Chiesa nascente, società soprannaturale istituita
dal tuo Figlio; custodisci la Chiesa.
Quarto: ti venne affidata
1'umanità, di cui sei Madre spirituale, e che deve affratellarsi
in una società soprannazionale; per Te si uniscno gli uomini
nella verità, carità, giustizia: custodisci la Società delle
Nazioni (sic: I'ONU).
Quinto: in Gesù Cristo
sei la madre della civiltà che sgorga dal Vangelo e si svolge
nell'opera della Chiesa: custodisci la civiltà.
Prega la Chiesa: «Augusta
Signora dei cieli e Regina degli Apostoli, prega incessantemente
affmché tutte le genti riconoscano che il Signore è Dio, e che
non ce n'è un altro all'infuori di lui» (75-76).
Prestissimo:
dall'oggi al Terzo Millennio
Le rapide riflessioni presentate
in questi cinque scorci storici attestano che la presenza mariana
nel cammino incarnato - e perciò spesso polemico e ondeggiante
fra il trionfalismo e la depressióne - del Popolo di Dio, è un dato
di fatto continuo e rilevante; non può quindi essere sottovalutato,
come spesso si fa, soprattutto in taluni ambienti della geografia
cristiana e anche cattolica.
Almeno sommariamente, abbiamo l'obbligo
di ipotizzare le forme e le caratteristiche della missione mariana
nel nostro momento storico, in preparazione del futuro. In primo
luogo dobbiamo separare il grano dal loglio, discernere l'autenticità
dalle strumentalizzazioni, il fermento evangelico dalle rivendicazioni
temporali, dal clericalismo e dal sentimentalismo. Ciò fatto, bisogna
prendere sulle spalle con coraggio e laboriosità la fedeltà al Magnificat.
L'avvento ormai imminente del Terzo Millennio è inscindibile dall'avvento
sul proscenio della storia del Terzo Mondo e dalla relativa Terza
Chiesa; queste realtà sono sollecitate da problemi terribilmente
forti, che non si lasciano prendere sottogamba. Il divario tra l'emisfero
Nord e l'emisfero Sud non può lasciarci a sonni tranquilli. Le scelte
della cristianità si riportano nell'area dello sviluppo e della
pace, che - secondo l'icastica espressione di Paolo VI all'ONU -
sono due entità inseparabili, anzi si identificano.
In altri tempi l'Odegitria ha guidato
eserciti e flotte contro gli Albigesi o i Turchi. Non tutti i dettagli
di queste campagne ci piacciono, ma sostanzialmente è fuori discussione
il fatto che esse hanno risposto validamente alle istanze dell'epoca
in cui sono state organizzate e condotte a termine. Hanno salvato
la Chiesa, ma anche la società civile e l'Occidente in primo luogo,
garantendo la sopravvivenza e poi lo sviluppo delle libertà, della
civiltà, della dignità.
Le battaglie alle quali la comunictà
umana è chiamata a combattere oggi sono fenomenologicamente differenti;
ci si augura per esempio che mai debbano svolgersi sul piano militare,
ma indubbiamente non sono meno difficili di quelle del passato.
Hanno, oggi come ieri, una dimensione
ecclesiale-teologica e una dimensione laico-sociopolitica. Nel discorso
all'ONU Paolo VI presentò la Chiesa come «esperta di umanità».
I campi nei qualli occore oggi soccorrere l'umanità sono quelli
della dignità umana, che è distrutta dalla fame dalla mancanza di
libertà di coscienza, di voto, e persino ii movimentO materiale,
dal gioco dell'analfabetismo e del sottosviluppo in tutte le sue
forme.
La restaurazione della politica del
Magnificat è condizione irrinunciabile. Solo per questa strada
lo sviluppo produrrà la pace, e la comunità cristiana si scrollerà
finalmente di dosso l'accusa tanto spesso fondata, di essere «oppio
per il popolo».
Se le popolazioni del Terzo Mondo
sentiranno che la comunità credente legge davvero e prende sul serio
la lezione di Ain Karem, la loro fedeltà all'annuncio evangelico
sarà assicurata; in caso diverso l'apostasia delle masse sarà irreparabile.
Le sterminate pianure e le montagne
dell'America Latina, e le sue stesse grandi arterie stradali, sono
punteggiate di statue mariane, anche lì ricche degli epiteti
più fantasiosi, anche se prevale di gran lunga quello del Carmelo.
Le parti dell'Africa cristianizzata (mi riferisco solo a situazioni
che ho vissute di persona) sono anch'esse abbastanza simili, anche
se la frequente presenza di missionari del Mittelcuropa ha privato
spesso le popolazioni di questo rifugio universale.
Il nostro sogno di oggi è che le
popolazioni umiliate e offese di questi e degli altri continenti
passando accanto a queste immagini sentano il flusso salvifico -
in senso teologico e in senso sociopolitico - di Colei che veramente
è madre universale e che nella distribuzione del cibo e del benes-
sere intende far le parti giuste. Siamo a una svolta della storia
che non confronti nel passato, tutti i problemi oggi sono planetarizzati.
Questa nuova storia che s'annuncia all'orizzonte sarà mariana o
sarà vittima dell'apocalisse nucleare.
Due anime elette hanno espresso le
loro «previsioni» circa il futuro dell'umanità. Qùeste
previsioni ci riempiono di speranza. San Massimiliano Kolbe affermò
che la statua del Cuore Immacolato di Maria sarà innalzata nella
Piazza Rossa di Mosca; don Alberione previde che sarà elevata al
centro dell'emiciclo del Palazzo di Vetro dell'ONU. «Dinanzi
a Dio nulla è impossibile«; affrettiamo con la preghiera e
con l'opera queste previsioni tanto costruttive.
NOTE
1 Insegnamenti pontifici a cura dei Monaci
di Solesmes, Roma, EP, VII, Maria SS., 1959, n. 211, pp.
160-161.
2 Ivi, n. 217, p. 166.
3 Testo in Civ. Cattolica, 1892, 111, 5-24.
4
ll testo dell'enciclica è in Leonis XIII allocutiones, epistolae...,
Brugis-lnsulis, vol. V, 1898, 291-298; il brano cit., 297. L'anno
seguente, prima a Napoli, poi a Torino, Firenze e altrove, Bovio
mise in scena anche il dramma S. Paolo, coi pregi e i difetti
del Cristo. Per l'intera questione cf R. F. ESPOSITO,
Giov. Bovio tra l'Ap. Paolo e S. Tommaso d'Aquino, Livorno,
Bastogi, 1975, 188. Il Bovio, oratore e filosofo allora assai apprezzato,
militava nel radicalismo di sinistra ed era alto dignitario della
massoneria; è raro trovare nella storia politica italiana un personaggio
più retto e di un rigore morale più adamantino.
5
In proposito cf R. F. ESPOSITO, Leone
XIII e l'Oriente cristiano, Roma, EP, 1961, 744; per quello
che si riferisce alla mariologia ecclesiologica, 468-498.
6
Questo ondeggiamento tra autenticità e riattualizzazione che non
sempre è del tutto al sicuro dalla strumentalizzazione, è una costante
dell'insegnamento leoniano; oltre ai testi già addotti, ne riferiamo
un ultimo della lettera Vi è ben noto ai vescovi italiani del 20
settembre 1887 (Ins. pontifici, cit., VII, n. 105,
p. 103).
«Già altre volte ricordammo
queste glorie e gli strepitosi trionfi riportati contro gli Albigesi
e contro altri potenti nemici; glorie che ridondano sempre, non
solamente a profitto della Chiesa perseguitata ed afflitta, ma a
prosperità altresì dei popoli e delle nazioni. Perché non potrebbero
rinnovarsi, nei bisogni presenti, le stesse meraviglie di potenza
e di bontà da parte della gran Vergine a pro' della Chiesa e del
suo Capo, e di tutto il mondo cristiano?».
7 S. Rituum Congr., Sect. hist. n. 140, Inquisitio de
modo agendi Servi Dei B.L. in SanetuariiPornteianiadminùtratione,
Typ. Pol. Vat., 1967, p. 329. Il doc. è riportato anche nella Positio,
1943, II, Documenta, p. 198. NelI'Inquisitio sono
riportate alcune note intime che attestano il Calvario attraversato
dal Beato in quel periodo di disastrosa incomprensione da parte
della S. Sede. In una è detto: «Anno 1905. Anno di mio spogliamento
di agonia di mente e di cuore. Minaccia di scomuniche, ecc. 1° giugno
19o5./Giovedì dell'Ascensione. Io in Latiano dormii dopo 6 mesi»
(p. 704).
8
Si tratta di un foglio di quattro pagine, formato cm. 33 x 50, intitolato
Valle di Pompei - A vantaggio della Nuova opera dei figli
dei carcerati. L'editoriale è intitolato Programma delle
feste di maggio del 1892. La data è del 30 aprile 1892.
9 Arch. Bartolo Longo, Pompei, Busta «Bodio».
Lettera scritta su carta intestata Ministero Agr.a e Commercio,
Consiglio superiore di statistica. Luigi Bodio (Milano 1840
- Roma 1920) fu senatore nel 1901; direttore del Commissariato generale
dell'emigrazione e Presidente dell'lstituto internazionale di statistica;
autore di numerose opere che sono considerate fondamentali per la
scienza statistica dell'epoca.
10 L. G. DA FONSECA SJ, Le meraviglie
di Fatima, Roma, EP, 1959 (16 ed.),
11 Discorsi e radiomessaggi di S. Pio XII, Tip. Pol.
Vat., IV, 1955, 253-262.
12 Insegnamenti pontifici, cit., Vll, 1959, n. 563,
p. 373.
13 Lett. Je me suis elevée, alla gerarchia e al popolo
libanese, 18 ottobre 1954, Ins. pontifici, n. 727, p. 456.
14
Ins. pontifici, cit., n. 522, p. 353. Tra i molti testi pacelliani
ordinati a presentare la Madonna come condottiera nel settore sociologico
ed ecclesiologico, ne riproduciamo uno di questi anni, tolto dal
radiomessaggio all'A.C.I. (8 dicembre 1933, Disc. e Radiomess..
cit., XV, 504-506:
«In questo giorno di gioia
e di esultanza, Dio sa come vorremmo poter dimenticare l'asprezza
dei tempi che attraversiamo! Ma i pericoli, che gravano sul genere
umano, sono tali che non dobbiamo cessare mai - si può dire - di
gettare il nostro grido di risveglio. Vi è il nemico che preme alle
porte della Chiesa, che minaccia le anime. Ed ecco un altro aspetto,
presentissimo, di Maria: la sua forza nel combattimento.
..
Siate forti contro il nemico. Qui
non si tratta soltanto del vantaggio spirituale di ciascuno di voi,
ma della vostra collaborazione per il bene delle anime. Tutta l'A.C.,
che nei singoli membri dev'essere bella come la luna e vivificatrice
come il sole, sappia essere, di fronte al nemico, forte come un
esercito schierato in battaglia».
15
Omelia alla parrocchia di Maria Assunta in cielo, Castel Gandolfo,
15 agosto 1968 (Encicliche e discorsi di SS. Paolo VI), Roma,
EP, XVI, 1968, 404.
16 Encicliche e discorsi di S.S. Paolo VI, Roma,
EP, IV, 1965, 402-416.
I7
Nel nostro saggio La massificazione non esiste (Alba,
EP, 1978, 365) colleghiamo il pensiero di
don Alberione coi principali flussi scientifici della comunicazione
sociale. Per quello che si riferisce ai contenuti mariologici, salvo
diverso avviso, citiamo dal nostro lavoro La dimensione cosmica
della preghiera; la «Via humanitatis», di
D. G. Alberione, Roma, EP, 1981, 200,
dove diamo le citazioni distese dei singoli brani.
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