di Rosario Esposito

 

Preludio:
un secolo di Politica del «Magnificat»
      Anche in relazione alla presenza mariana nella sociologia, nella cultura e nella politica, trova piena giustificazione l'antico adagio de Maria namquam satis.
      Poca attenzione stè prestata e si presta tuttora alla presenza mariana in questo settore, che al contrario è viva, costante, profonda, ed ha avuto a volte espressioni anche strane, come la nomina e il grado attribuito a celebri immagini mariane di capo di eserciti, marine, aviazioni. Noi escludiamo la politica e la sociocultura in termini formali e giuridici, e ce ne occupiamo assumendole nel senso globale di cammino incarnato del Popolo di Dio nella storia.
      Il manifesto di questa presenza è fuori dubbio il Magnificat, la cui carica di solidarietà umana e di fermento rivoluzionario fa impallidire anche i documenti sommovitori più radicali dei nostri tempi, a partire da quello della Rivoluzione Francese, del Partito Comunista di Marx-Engels, e ai numerosi altri che noi ben ricordiamo. Il cantico della Madonna non lo leggiamo nel suo puro dato cronistico, come fatto circoscritto all'incontro di Ain Karem, ma lo manteniamo in costante relazione con tutto il flusso di rivelazioni e di eventi biblici che vi confluiscono, soprattutto quelli dei giudici e dei profeti.
      Questo argomento, almeno nel taglio storiografico che qui gli si vuol dare, non è stato ancora trattato ex-professo né negli incontri mariani celebrati in questa sede, né in altri ambiti culturali. Ci si è perciò trovati di fronte a una massa di materiale e a una varietà tematica di grande rilievo, di fron te alla quale è stato necessario fare una scelta drastica. In questo, che possiamo considerare un primo approccio con l'argomento, ci limitiamo ad alcune questioni di sociologia e politica generale, che possono anche dirsi questioni di grande politica e sociologia, cioè le relazioni tra la comunità cristiana e la comunità civile, fra il pensiero cristiano e le ideologie, con frequenti agganci con i comportamenti concreti delle due parti, con le implicazioni del diritto pubblico e con richiami ai rapporti reciproci, che non raramente raggiungono tensioni e perfino persecuzioni, che però mai sono da attribuire a una sola delle parti in causa, ma quasi sempre costituiscono lo sfocio di dispute in cui l'equanimità deve aiutarci a distribuire le responsabilità alle due parti.
      I temi speciali che restano esclusi - e che mi auguro possano esser presi in considerazione in futuro - sono, fra i tanti: la vita familiare, le relazioni coniugali, le associazioni e i Partiti, il femminismo, la scuola e la cultura, il trattenimento e il tempo libero.
      Una sezione attualmente di interesse fondamentale è poi il dialogo interumano attraverso i mass-media, le questioni dell'opinione pubblica, dell'editoria tanto stampata che incisa e filmata. Purtroppo la limitatezza del tempo c'impone di rinunciare anche ad altri settori di grande interesse: all'opera dei Papi qui tralasciati: Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Giovanni XXIII e il regnante Giovanni Paolo II; o di uomini di Chiesa come i numerosi vescovi e sacerdoti, o come le figure di primo piano, don Bosco, S. Vincenzo Pallotti, P. Ludovico da Casoria, S. Massimiliano Kolbe, P. Josef Kentenich e tanti altri.
      La prospettiva e la metodologia scelta è quella storiografica. Si lascia da parte l'impostazione astratta o deduttiva, e ci si inoltra decisamente nella bagarre delle aspirazioni, tensioni, realizzazioni tentate o effettuate nei singoli momenti cronistici, delineando, sulla base di documenti presentati con larghi squarci, le caratteristiche e la produttività della missione mariologica nelle dispute concrete della sociologia e della politica, della pace e della guerra, dello sforzo messo in opera da vicini e da lontani, allo scopo di costruire un mondo più degno dell'uomo.
      Per i circa cent'anni qui presi in esame, che ci offrono un quadro tangibile del rapporto fra Maria e la società, e ci fanno toccare con mano le scelte giuste da promuovere e quelle errate da correggere, scegliamo cinque momenti monografici che a nostro avviso offrono gli spunti più originali e suggestivi. Essi si collegano intimamente con le linee interne di tutta la vita ecclesiale di questo secolo e offrono spunti validi per collocarci nell'impegno di affacciarci autenticamente sul Terzo Millennio che già bussa alla nostra porta.
      Si è avuto cura di equilibrare la ricerca estendendola a tutta l'ecclesialità: ai vertici della gerarchia, ai testimoni del clero e del laicato, fino ai tre pastorelli di Fatima.
      Una conseguenza pratica di fondamentale rilievo è la seguente: lo studio di questo argomento ci obbliga ad eliminare, con decisione sempre più radicale, dalla pietà mariana ogni cedimento sentimentale o puramente folkloristico che tende a fare della Vergine una specie di «Miss Universo» di Dio. La rivelazione biblica, e l'elaborazione teologica e letteraria, ce la presentano come struttura portante della storia salvifica e della storia umana, «terribil come - oste schierata in campo» (Manzoni).
      Questa rivelazione biblica s'è manifestata ampiamente non solo nella scienza sacra, ma anche nelle scienze umane e nelle strutture socioculturali. Il nostro discorso vuol avviare la constatazione della permeazione biblica e teologica delle circostanze storiografiche dell'ultimo secolo.
      1. Leone XIII:
      il Rosario animatore della cultura e della sociologia.
      A partire dalla Rivoluzione francese l'ecclesialità andò incontro a tempeste prima ideologiche e poi sociopolitiche. Le idee di rinnovamento filosofico e politico - in senso demo cratico e nella progressiva liberazione degli individui e delle comunità umane dai vincoli del dispotismo e dell'oppressione - a un dato momento si trasformarono in istituzioni giuridiche e in comportamenti concreti. La Chiesa in genere, specialmente nei suoi dirigenti, si collocò contro questi mutamenti inevitabili, che comunque in diversi casi si trasformarono in vera e propria persecuzione religiosa, coi suoi martiri e i suoi esiliati.
      Leone XIII ereditò i frutti di questo lungo processo, che in Italia aveva trovato il suo compimento con la conquista di Roma il 20 settembre 1870, e che andava affermandosi attraverso sobbalzi e crisi a volte anche assai gravi. Il Pontefice sovente veniva a trovarsi in vero e proprio stato d'assedio e le offese giungevano addirittura materialmente al suo studio. Nelle diverse regioni del mondo i contrasti erano analoghi, cosicché la cristianità si trovò a lottare duramente per riaffermare la propria libertà e il proprio stesso diritto all'esistenza.
      Leone XIII si batté con una ricchezza di argomentazione e una modernità d'impostazione che gli suscitò entusiastiche simpatie tanto in campo cattolico che acattolico, liberale, radicale. Il Rosario fu il suo riferimento più costante nella mobilitazione dell'ecclesialità, al punto che si può affermare essere la mariologia una delle chiavi di lettura del suo magistero.
      Un'interpretazione globale di questo suo orientamento è espressa nella lettera Diuturni temporis del 5 settembre 1898 1:

«Già da tempo, desiderando di porre la salvezza della società umana, nel cresciuto culto della Vergine, come in una sicura fortezza, non abbiamo mai cessato di promuovere fra i cristiani la consuetudine del Rosario mariano. A questo scopo abbiamo pubblicato, fin dal 1° sett. 1883, una enciclica (Supremi Apostolatus: il Rosario nella storia), ed abbiamo più volte, come sapete, promulgato su questo argomento vari altri decreti».      

      La visione storiografica e teologica globale è presentata con una felice sintesi nella lettera Da molte parti (26-V- 1903), pubblicata circa due mesi prima della sua morte. Essa è ordinata a porre le premesse della celebrazione del cinquantenario delle apparizioni di Lourdes, ed è diretta al gruppo dei cardinali che poi guideranno le celebrazioni sotto il pontificato di S. Pio X: Rampolla, Ferrata e Vivès y Tuto 2:

«In tutti i secoli ed in tutte le lotte e persecuzioni, la Chiesa ebbe ricorso a Maria, e ne ottenne sempre conforto e difesa. E poiché i tempi che corrono sono cosí procellosi e pieni di minacce per la Chiesa stessa, ci gode l'animo e si apre a speranza, nel vedere che i fedeli, colta la propizia occasione del menzionato cinquantenario, vogliono con unanime slancio di fiducia e di amore rivolgersi a Colei che è invocata aiuto dei cristiani»  

      Tra le numerose encicliche rosariali ne menzioniamo due che possono offrire buoni spunti in ordine alla descrizione della mariologia sociopolitica di Leone XIII, che fece scuola per vari decenni: la Magnae Dei matris 3 risale a uno dei momenti più turbinosi della storia ecclesiastica italiana, che, come soventissimo è accaduto in passato, suggerisce alla S. Sede le linee di giudizio per la situazione di tutta la Chiesa. La perdita del potere temporale è sempre più certa e irrimediabile; l'astensione dei cattolici dà mano libera alla classe dirigente liberale e radicale, che nella legislazione e nel costume crea grossissimi problemi al mondo cattolico; la massoneria, sempre meno autentica e sempre più aggressiva e vivace (in quell'epoca ha 300 tra deputati e senatori in Parlamento), approfondisce sempre più il solco tra la società e l'ecclesialità.
      Il pontefice coinvolge la SS. Vergine in questa disputa pubblica.

«Sa ognuno purtroppo, egli scrive, quali e quanti mezzi fellonescamente adoperino i tristi nell'età nostra per illanguidire e strappar dai cuori la fede e con essa l'ossenanza dei precetti divini, da cui la fede stessa ha vita ed azione; talché si direbbe che il soffio dell'ignoranza, dell'errore, della corruzione passi funesto per ogni parte a isterilire e desolare il campo evangelico» (pp. 7-8)

     Tra gli effetti di questa secolarizzazione galoppante è menzionata l'eliminazione della religione dalle scuole, l'abbandono della pratica cristiana, l'apostasia esplicita in tanti casi, e la

«licenza ognor più spudorata di tutto pubblicare, di tutto gridare in onta a Cristo e alla sua Chiesa» (Ivi).
Il rimedio è indicato nel Rosario.
«Quanto esso sia valevole lo dice chiaro la sua ben nota origine, che è sì bella pagina della storia, da noi stessi ricordata più volte» (p. 9).


      Infatti, gli effetti deleteri denunciati non si verificano nelle famiglie in cui il Rosario è in onore; esso dev'essere promosso con nuovo vigore,

per la santa Chiesa, agitata, combattuta da tanta furia ostile, per noi che stanchi degli anni e delle fatiche, inceppati e stretti da miile difficoltà, spogli di ogni umano presidio, siamo al governo della Chiesa stessa» (p. 22)

.
     L'augurio finale ha accenti di battaglia, com'è consueto nel magistero leoniano, ma si conclude nella visione della misericordia mariana:

«Iddio propizio, alla mediazione della Regina del ss. Rosario, tutti assecondi cotesti consigli e desiderii; e se mai gli empi, i quali bestemmiano ciò che ignorano, ardiranno dileggiarli, perdoni ad essi pietosa» (24).
     

      La mariologia leoniana è profondamente immersa nel concreto, anzi nella cronaca del mondo. Nella polemica relativa alla rappresentazione del dramma di Giovanni Bovio, Cristo alla festa di Purim, andato in scena a Napoli il 9 maggio 1894, il Pontefice non vide unicamente il puro fatto culturale e politico, ma andò oltre di esso, collegandolo con la congiura anticristiana in atto. In effetti l'opera, letta oggi, ci appare non solo rispettosa, ma addirittura edificante, e tale da proporre la lettura evangelica anche al mondo borghese e liberale, anticipando in certo qual modo - pur se con una caratura letteraria degna di ogni rispetto - i flussi comunicativi e catechetici del Vangelo secondo Matteo o di Jesus Christ Superstar. Allora fu presentata con intenti anticlericali, e Leone XIII nella Jucunda semper (8 sett. 1894) entrò nel tema con vibrante indignazione:

«Negli ultimi mesi non è stato salvaguardato nemmeno il rispetto per l'augustissima persona del Salvatore Gesù Cristo. Non ci si è vergognati di trarre sulle scene, frequentemente destinate a spettacoli licenziosi (la persona di Gesù), privata però della maestà della sua divina natura, tolta questa, è inevitabile pervenire anche alla negazione della stessa redenzione del genere umano. Nelle diverse città italiane, dove questa rappresentazione è stata eseguita e là dove è stata programmata, l'universale indignazione si è levata; si deplora con grande veemenza la violazione del diritto di confessione religiosa, violazione effettuata presso una popolazione che sopra ogni cosa - e con ragione - si gloria della sua religione cattolica. Allora è esplosa, com'era giusto che accadesse, la vigile preoccupazione dei vescovi, i quali rivolsero giustissime richieste a coloro che hanno il sacrosanto dovere di proteggere la dignità della patria e della religione... Per molti versi ci è nota l'alacrità dei buoni, che si è manifestata egregiamente in molti modi; essa è stata in grado di alleviare i1 dispiacere che intimamente avevamo provato per la cosa. Ma offrendocisi ora questa opportunità di parlare, non possiarno,`evitare di elevare la voce del nostro supremo ufficio; così con gravissimo impegno congiungiamo la no stra alle richieste dei vescovi e dei fedeli. Col medesimo impegno del cuore col quale lamentiamo ed esecriamo il sacrilego delitto, noi con veemenza rivolgiamo le esortazioni alle genti cristiane, particolarmente agli Italiani, affinché custodiscano inviolata la religione avita, che è un'eredità ricchissima, la difendano strenuamente, e non smettano di accrescerla coi fatti, onestamente e piamente» 4.

      Tralasciamo i documenti leoniani ordinati al dialogo fra le Chiese, soprattutto quelli che si riferiscono all'Oriente cristiano, oltre 250, che di fatto inaugurano gloriosamente l'ecumenismo cattolico; in molti di essi, soprattutto nell'enciclica rosariale Adiutricem populi (8-IX-1892) egli stabilisce la dottrina della mariologia ecclesiologica e dichiara la SS. Vergine Madre e Regina degli Apostoli 5.
      L'autenticità globale del magistero mariologico di Leone XIII è fuori discussione, soprattutto se riferito alla situazione generale della Chiesa e della società. In rapporto alla situazione italiana esso risente fortemente del recente vulnus inferto al potere temporale dal moto del Risorgimento e dalle dispute sociopolitiche e inevitabilmente anche religiose che l'hanno accompagnato. In taluni momenti, particolarmente critici, questa predicazione è legata a istanze rivendicative territoriali, e perciò si colloca fuori dei piani divini, rivelatisi poi chiaramente. Anche l'istanza apologetica è presente continuamente nell'insegnamento leoniano. Ma nei momenti più rasserenati - soprattutto in relazione a situazioni esteriori alla questione italiana - non si fatica a scoprirvi quelle «altissime cause» che sono presenti nel suo magistero. Anche la predicazione rosariale, se purificata dalle scorie esistenziali e cronistiche, può inquadrarsi in questa economia 6.
      2. Bartolo Longo:
      la palingenesi sociale e religiosa nella proposta della
      Nuova Pompei

      L'impresa cristiana del Beato Bartolo Longo esordisce solo tre anni prima dell'elezione pontificia di Leone XIII (1878); essa si ispira strettamente all'insegnamento pontificio, e il Beato probabilmente a sua volta ispirò la predicazione rosariale del Pontefice, la quale, oltre alle dodici encicliche specifiche, si snoda in numerosi altri interventi. Nella realizzazione concreta, come pure in talune scelte e finalità, tuttavia, l'opera pompciana si presenta con caratteristiche profondamente originali. Essa si presenta completamente libera dai condizionamenti storici e dalle conseguenti venature rivendicazioniste: il Risorgimento è accettato in piena serenità, e tutto l'impegno longhiano è rivolto a cristianizzare e catechizzare la nuova situazione, nella certezza che ogni t~po d~ potere che si ispira più o meno al Congresso di Vienna e alla Santa Alleanza, è uscito definitivamente dalla storia. Come la Chiesa ha poi solennemente proclamato, elevandolo agli onori degli altari, egli è esclusivamente all'ascolto dello Spirito. Anche ecologicamente parlando, la sua opera attesta che la struttura socioculturale e politica del Cristianesimo realizza la successione non solo religiosa, ma anche politica rispetto a quella del paganesimo, sepolto per sempre sotto le ceneri del contiguo Vesuvio.
      Bartolo Longo si rivela così uno dei geni religiosi più caratter~stici e alti dell'ultimo secolo, e il più grande domenicano - in redingote - dell'epoca recente.
      In Pompei egli fonda il progetto della nuova comunità umana che attorno al nucleo atomico mariologico articola tutte le componenti sociali, politiche, culturali. L'impegno kerigmatico e catechetico è certo primario e fondamentale: tutto comincia con la Dottrina spiegata e a una popolazione abbruttita e abbandonata da tutti, priva di ogni orizzonte sopportabile, e con l'edificazione di una povera cappella, che ospita un quadro di rara bruttezza e rozzezza. Ma la legge dell'Incarnazione vi opera immediatamente.
      Alla recita del Rosario si congiunge la fondazione di tutte le infrastrutture sociali: dall'urbanistica agli uffici dell'amministrazione civica e delle forze dell'ordine, dalla scuola a due stazioni ferroviarie, senza parlare delle opere assistenziali e caritative che sono anzi dominanti.
      Alla fondazione della Nuova Pompei, sovente opposta anche in termini un po' barocchi alla Pompci pagana sepolta dal Vesuvio, concorre l'intera comunità nazionale e internazionale, la quale riceve in cambio l'illuminazione cristiano mariologica e la garanzia delle preghiere degli innocenti, anche quando - anzi proprio perché - provengono da famiglie dissestate o addirittura criminali.
      Il dialogo che la Nuova Pompei, in nome della Madonna, stabilisce col mondo, è così un unicum. Esso chiude l'epoca dell'integralismo e del rigetto del «mondo» e si libera dal complesso del Cristianesimo «città assediata»: come la città dell'Apocalisse, Pompei apre porte in tutte le direzioni; le sue mura sono come un colabrodo attraverso la reciproca permeazione che vi si istituzionalizza; tutti vi si sentono a casa propria, e la cittadella mariana è di casa presso tutti. I santuari mariani vengono sottratti gioiosamente e prepotentemente alla pura «pietà» eucologica e al puro folklore, per essere affondati nel fango e nelle lagrime della società umana, che viene trasformato in humus di grazia e di pedagogia liberatrice. Da una relazione presentata al convegno storico Bartolo Longo e il suo tempo, celebrato a Pompei nel maggio del 1982 (Ed. di Storia e Letteratura, 1983, p. 456 ss) traiamo alcuni brani che inquadrano questa tesi.
      L'Opera pompeiana viene così collegata con la concretezza culturale generale in cui essa sboccia: Bartolo Longo infatti con piena coscienza si propone di entrare in dialogo con le idee ed i comportamenti che nella seconda metà dell'Ottocento danno il tono alla vita ed al ritmo all'attività umana. Tra questi fermenti animatori della società - che all'epoca umbertina hanno caratteristiche a volte enfatiche e si collocano di fronte all'ecclesialità in termini polemici e anche repressivi, - Bartolo Longo coglie i più validi, che hanno una loro funzionalità al di là delle circostanze di tempo e di luogo, e li collega, attraverso la presenza mariana, col nucleo centrale dell'annuncio evangelico.       Essi sono soprattutto: la filantropia, che costituisce un punto ideale d'incontro tra la Chiesa e il Mondo, e che il dialogo ecumenico può trasformare agevolmente in carità. Inoltre: la promozione della cultura attraverso l'alfabetizzazione e la secolarizzazione sempre più diffusa; il conseguente progresso generale dell'umanità, ed il miglioramento del tenore di vita. L'attività artistica e ricreativa s'inquadra anch'essa in questo movimento di evangelizzazione e di promozione umana. L'azione volta alla redenzione dei figli dei carcerati e dell'intera questione carceraria,.la cui gravità Bartolo Longo percepisce fino in fondo, con un anticipo di quasi un secolo, rispetto alla maturazione di questo problema, che ha raggiunto risultati effettivamente apprezzabili solo dopo il maggio 1968.
      Nella «Bozza di supplica» a Pio X, che Bartolo Longo redasse in uno dei momenti più dolorosi della sua vita, nel 1905, la vocazione ecumenica e dialogica di Pompei è espressa chiaramente:

«Per la natura stessa dell'Opera Pompeiana, che è complessa, religiosa e civile, di fede e di beneficenza, tutto il mondo aede, com'è veramente, e tutti hanno creduto, che sia un'Opera unica, e che non possa sussistere senza dell'altra. Difatti così è. Vi sono persone poco credenti che hanno grande simpatia per l'Opera dei Figli dei Carcerati. Vengono a Valle di Pompei e poi nel Santuario sentono cantare le Orfanelle, si convertono e danno le offerte. Poi quando consegnano le offerte dicono: queste lire cinquanta sono per grazia ricevuta dalla Madonna di Pompei, da darsi alle Orfanelle e ai Figli dei Carcerati» 7.
     

      Il radicamento nella cultura-ambiente è indubbiamente presente~nell'opera pompeiana fin dal suo nascere. Ma un documento del 1892 la presenta in termini talmente articolati ed organici, che vale la pena sostarvi. Esso collega l'interdisciplinarietà globale con l'opera centrale e più originale di Pompei la fondazione dell'Opera redentiva dei figli dei carcerati. Si tratta dell'editoriale che il Longo pubblicò in caratteri vistosi nel foglio che presentava il programma della festa di maggio di quell'anno, e che è intitolato Valle di Pompei 8. Credo che valga la pena riproporne i brani più significativi. Esso esordisce proclamando i valori nei quali credenti e «lontani», s'incontrano agevolmente e martellando il connubio religione e civiltà:

«Fede ed Amore, Scienza e Beneficenza, Edacazione ed Arte, armonico sviluppo di opere di Culto e di Progresso, affratellamento mira~oile della Civiltà e della Religione, ecco il vessillo che torreggia sulla cupola del Santuario di Pompei: ecco il programma della nostra azione; ecco il fine di ogni nostro sforzo. Tutte le feste dei passati anni tendevano a rendere di luce folgorante questo nostro concetto, ed a mostrarlo tradotto nei fatti.
La festa del Maggio 1887 in vero fu definita 1'Alba della vita della Nuova Pompei. Quella del 1888 ebbe nel suo programma il seguente titolo: La Civiltà e la Religione nelle feste della Nuova Pompei. Quella del 1889: Le Glorie della Civiltà e della Religione nell'Opera di Pompei. Il Programma delle feste di Maggio del 1890 segnò questo titolo: Le Armonie della Religione e della Civiltà nella nuova Pompci. Il programma delle feste di Maggio del 1891 portava in capo, come una corona, queto titolo: Il fastigio della Religione e della Civiltà nella Nuova Pompei».
 

     Se tutta l'opera pompeiana è di sua natura incentrata sul risanamento delle piaghe umane che creano tensioni e contrasti, c'è però anche un movimento specifico ordinato all'avvento dellapace aniversale. Esso si sviluppa soprattutto negli anni 90, allorché il complesso delle attività e delle opere ha già una struttura abbastanza completa: il primo Plebiscito per la Pace viene bandito nel 1896, il secondo nel 1901,e, stando a quanto afferma il Frasconi, questo Plebiscito raccolse quattro milioni di firme ed un milione di lire di offerte. Il documento, raccolto in otto grossi volumi, porta questo frontespizio autografo del promotore: «Plebiscito del Mondo per la Pace Universale. Firme accompagnate da offerte per l'erezione della Facciata Monumentale del Santuario di Pompci, eretta dai credenti di ogni nazione, a testimonianza del loro voto per la Pace Universale. Dall'anno 1896 all'anno 1900».
      Il Beato illustrò personalmente a Leone XIII quest'impegno pacifista, ed ebbe l'ardire di invitare il Pontefice - allora prigioniero volontario in Vaticano - a venire a Pompei per benedire il mondo affratellato sotto l'egida del Rosario. Nel 1902 fu portata anche la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace, é solo l'immaturità ecumenica delle nazioni scandinave impedì che l'avvocato della Madonna se ne fregiasse. Il punto irnportante è questo, che mentre il Longo percorreva queste strade della sociologia e dell'antropologia (si pensi alla sua lotta contro i criminologi positivisti, in difesa dei figli dei carcerati), egli promoveva crociate apertamente religiose, come quella della Supplica universale o quella del movimento assunzionista, indubbiamente il più vivace e diffuso del nostro secolo, presente anche nei tre Gloria Patri che per sua opera vennero aggiunti alla recita dell'Angelus.
      Ancora più convincente è la sua opera di dialogo con i liberali, gli anticlericali, i framassoni del suo tempo. Che questi personaggi fossero nemici dichiarati della Chiesa, che avessero i libri all'Indice, o che tenessero a Montecitorio o nelle piazze discorsi incendiari avversi all'oscurantismo, non costituiva per lui il mimimo impedimento. Egli li convocava all'opera del Buon Samaritano, sotto lo sguardo della Madonna. Essi non trovavano nessun motivo plausibile per rifiutare il suo invito.
      Il più grande sindaco della storia di Napoli, l'avv. Nicola Amore, che al Card. Sanfelice aveva dato parecchi grattacapi e aveva messo le mani su parecchi monasteri per dare una casa ai colerosi e ai terremotati della miseria, si fermò spesso a Pompei e redasse il regolamento per i figli dei carcerati, ritrovando anche la pratica dei sacramenti. Cosi, chi più chi meno, si compromisero o restarono in riguardosa arnmirazione dinanzi alla Madonna e alle opere di carità acattolici e persecutori umbertini: il marchese Rudini di Starabba, il sen. Tancredi Canonico e il suo collega Chigi Zondadari, il presidente del consiglio Paolo Boselli, l'on. Ruggero Bonghi, gli scrittori Matilde Serao e Roberto Bracco, il luminare della medicina Antonio Cardarelli, il leader di tutti gli anticlericalismi, Guido Podrecca, lo spretato Baldassarre Labanca. Quando sarà escusso come merita l'archivio pompciano di Bartolo Longo, questa lista si arricchirà molto.
      Una riflessione particolare merita l'approccio di Bartolo Longo con Giovanni Bovio, che si diversifica profondamente da quello seguito da Leone XIII e dalla gerarchia centrale cattolica, verso cui il Beato pur nutriva una devozione struggente. Bovio è indubbiamente il più austero e santo fra gli anticlericali, i mangiapreti, i framassoni del tardo Ottocento; incorruttibile, vive povero e morendo non lascia nemmeno il denaro per i suoi funerali; probità indiscussa, difesa del popolo e dei preti poveri. Leone XIII lo addita all'orrore cattolico, la S. Romana Inquisizione mette puntualmente all'Indice i suoi lavori, man mano che escono, la stampa cattolica, anzi clericale, versa fiumi d'inchiostro conuo di lui. Bartolo Longo lo frequenta, lo convoca a Pompei, lo introduce nel Santuario mentre le orfanelle cantano. Bovio si alza nervoso, per non cadere in ginocchio. Resiste. Ma nel registro dei visitatori scrive: Venni per studiare e ammirare. Non tutto è stato vano.
      Nel nome della S. Vergine Bartolo Longo apre ai Santuari mariani l'orizzonte della carità e dell'irraggiamento catechetico e giornalistico. Induce lo Stato italiano a prendere sulle proprie spalle il problema dei minori e degli abbandonati, fino allora curati~solo dalla beneficenza cattolica. In questo senso ci limitiàmo a pubblicare una lettera dell'epistolario Longo-Bodio. Era questi l'incaricato ministeriale dei problemi assistenziali, che esisteva solo di nome. A Bartolo Longo domanda pareri relativi all'avvio di tale attività statale. Ecco il testo:

Roma, 29 Marzo 1899
Ill.mo Signore
      La Commissione Reale nominata per lo studio di provvedimenti legislativi a favore dell'infanzia ha delegato ad una Sottocommissione, della quale ho l'onore di essere Presidente, l'incarico di preparare uno schema di legge per la tutela dell'infanzia abbandonata e maltrattata e posta a baliafico mercenario fuori del domicilio dei genitori.
      La Sottocommisione ha preso in esame la legislazione italiana ed estera su questo argomento ma per poter concretare qualche provvedimento di ulità pratica, desidererebbe essere meglio informata circa le difficoltà che incontra precntemente la beneficenza privata nella sua azione a pro': dell'infanzia.
      Più precisamente essa desidererebbe sapere:
1°. Se avvenga frequentemente che un fanciullo accolto in un ospizi~o perché trascurato o maltrattato dai genitori, sia da questi reclamato, prima che abbia potuto ricevere un'educazione compiuta, e sia giunto ad un'età in cui possa provvedere a sé.
2°. Se la procedura che si segue per ottenere da privati informazioni circa maltrattamenti di minorenni in famiglia possa essere resa più semplice e più spedita.
3°. Quali modificazioni gioverebbe introdurre nei regola- menti interni degli orfanotrofi, che fissano le norme per l'erogazione della beneficenza in questi istituti, per ottenere che i giovani ricoverati nei medesimi ricevano un'educazione intellettuale e professionale che li renda buoni ed utili cittadini anche prima di aver raggiunta la maggiore età.
4°. Qual'è il costo medio individuale annuo di un fanciullo ricoverato in un ospizio, tenuto conto dell'alloggio, del vestiario, del vitto, dell'istruzione, dell'avviamento ad un mestiere e della sorveglianza.
5°. Quali provvedimenti gioverebbe adottare, oltre quelli già sanciti dalle nostre leggi, per impedire che persone di poca coscienza facciano abuso d'autorità che hanno sopra i minorenni a detrimento della salute fisica e della moralità di questi.
      La S.V. che con tanto zelo si occupa da parecchi anni di migliorare le condizioni dell'infanzia derelitta è certo in grado di fornire utili consigli alla Sottocommissione.
      Le sarei grato se mi volesse dare qualche notizia di fatto in risposta ai quesiti qui sopra formulati e qualunque altra informazione ella credesse meritevole di essere presa in considerazione per-il disegno di legge.
      Gradisca con i miei anticipati ringraziamenti, l'espressione della mia perfetta considerazione.

Devotiss.
L. Bodio (autografo) 9

      Il messaggio e il magistero dell'avv. Bartolo Longo è quanto di più evangelico si possa immaginare, e la Chiesa intera gli ha reso questa testimonianza. La dimensione evangelica trionfa sempre anche nei momenti più dilacerati e trasfigura anche le opposizioni e le resistenze umane in via regia della fraternità e della carità. Questa evangelicità è inti mamente collegata con le aspirazioni dell'umanità alla di-gnità e allo sviluppo e con i valori della cultura e dell'espressività artistica. Esso rappresenta il ponte ideale fra le dispute che nel secolo XIX portavano a compimento il superamento dell'Ancien Régime e il nuovo secolo, che nella Tametsi futura (1-XI-1900) Leone XIII apriva all'insegna di Gesù Redentore, Via Verità e Vita.

      3. Fatima e Pio XII:
      la Madonna al timone della storia
      La rivelazione mariologica di Fatima procede sui binari dei filoni ecclesiali finora operanti: la drammaticità degli aventi, la scarsa percezione tanto dei gruppi laicisti che di larghissime falde dell'ecclesialità, ed il ricorso al Rosario, con un richiamo esplicito e costante a un nuovo orientamento devozionale, quello del Cuore Immacolato di Maria, come pure a una conversione che non può limitarsi al solo settore sacrale, ma coinvolge anche la politica e la sociologia.
      Nell'apparizione del 13 giugno 1917 la Madonna presenta ai tre pastorelli quello che è passato alla storia come il secondo segreto di Fatima; il primo, com'è noto, riguardava il destino dei tre veggenti e il terzo pare si riferisca ai dettagli apocalittici che contrassegneranno la storia se l'umanità non si «convertirà». Il messaggio del secondo segreto presenta la Madonna profondamente immersa nella storia del mondo, del quale ella tiene saldamente il timone. È formulato così:

«Avete visto l'inferno dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Per salvarli il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Tmmacolato. Se si farà quello che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà pace.
La guerra, sta per finire; ma se non cessano di offendere il Signore, nel regno di Pio XII ne incomincerà un'altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che quello è il grande segno che vi da Iddio, che prossima è la punizione del mondo per i suoi tanti delitti, mediante la guerra, la fame e le persecuzioni contro la Chiesa e contro il Santo Padre.
      Per impedire ciò, verrò a chiedere la Consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati del mese. Se si darà ascolto alle mie dom ande, la Russia si converità e si avrà pace. Altrimenti diffonderà nel mondo i suoi errori, suscitando guerre e persecuzioni alla Chiesa; molti buoni sarnno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire: varie nazioni saranno annientate...» l0.

      L'eredità fatimita fu accolta da tutta la Chiesa con un ritmo crescente. Sotto il pontificato di Pio XI la gerarchia centrale lasciò che le cose maturassero gradualmente, mentre quella portoghese e di altre nazioni non cessarono di approfondirne il si~gnificati e le implicazioni concrete. Pio XII assunse con grande impegno questa eredità e la propose all'intera Chiesa, soprattutto attraverso le numerose consacrazioni al Cuore Immacolato di Maria. Per ragioni evidenti diamo uno spazio piuttosto rilevante alla consacrazione della Chiesa e del mondo al Cuore Immacolato di Maria, proclamata in un messaggio al Portogallo messo in onda il 31 ottobre 1942, allorché la guerra predetta ai pastorelli attraversava uno dei momenti più drammatici 11.
      Lo schema del magistero pacelliano è a grandi linee, il seguente: l'umanità vive momenti difficili, fino alla tragedia; bisogna restaurare la pace e la dignità dell'uomo; il ricorso alla Madonna è la via provvidenziale per ritrovare la pace, la fratellanzà,- la prosperità.
      Nella consacrazione universale la tesi è così proposta:

«In un'ora tragica di oscurità e di deviazione, quando la nave dello Stato portoghese, perduta l'eredità delle sue più gloriose tradizioni, sviato dalla tempesta anticristiana e antinazionale, sembrava andare incontro a sicuro naufragio, incosciente dei pericoli presenti e ancor più di quelli futuri - la cui gravità nessuna prudenza umana, per quanto chiaroveggente, poteva prevedere - il cielo, che vedeva gli uni e prevedeva gli altri, intervenne pietoso, e dalle tenebre spuntò la luce, dal caos sorse l'ordine, e la tempesta si trasformò in bonaccia, e il Portogallo poté ritrovare il filo perduto del le sue tradizioni più belle di nazione fedelissima...» (p. 256).

      La salvezza del Portogallo dalla guerra che imperversa nel mondo non deve indurlo a isolarsi, ma a trasmettere agli altri popoli questo dono che viene dalla Madonna:

«Ma voi non vi disinteressate - e chi potrebbe fare una cosa simile? - dell'immensa tragedia che tormenta il mondo. Quanto più grande è la gratitudine che oggi dovete a Nostra Signora di Fatima, tanto più dev'essere la vostra fiducia relativamente al futuro; voi siete coperti dal manto della luce, ma al contrario si manifesta in tutta la sua gravità la tragedia di tante nazioni dilacerate dalle calamità della storia» (p. 259)

      L'affidamento del mondo alla Madonna segue il binario del messaggio fatimita, che stabilisce un chiaro equilibrio tra le ragioni del soprannaturale e quelle delle esigenze visibili. Nel momento culminante il discorso pacelliano si trasforma in preghiera:

«A te, al tuo Cuore Immacolato, in questa ora tragica della storia umana affidiamo, raccomandiamo, consegnamo non solo la Santa Chiesa, corpo mistico del tuo Gesù,che in tante parti e in tanti modi pena nella tribolazione e sanguina, dilacerata da discordie esiziali bruciata in un incendio di odio, vittima delle sue stesse iniquità. Ti commuovano tante rovine materiali e morali, tanti dolori, tante agonie delle nazioni, delle madri, degli sposi, dei figli, dei bambini innocenti, tante vite stroncate in pieno fiore, tanti corpi dilaniati in un'orrenda carneficina, tante anime torturate e agonizzanti, tante in pericolo di perdersi eternamente. Tu, madre di misericordia, impetraci da Dio la pace...» (pp. 260-261). «Ottieni pace e libertà completa alla Chiesa santa di Dio; ferma il diluvio avanzante del neo-paganesimo e del materialismo; fomenta nei nostri fedeli l'amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinché il numero di coloro che servono Dio aumenti in merito e in numero» (p. 261).

      Nel radiomessaggio Magnificat anima mea Dominum (13 ottobre 1951) Pio XII orienta il movimento della «peregrinatio» mariana ancora nella visione della legge dell'Incarnazione e nella previsione dell'affratellamento universale:

«Sotto il materno sguardo della Celeste Pellegrina non ci sono antagonismi di nazionalità o di razza che dividono, non diversità di frontiere che separano, non contrasto d'interessi; ma tutti, in quel momento, si sentono felici di essere fratelli»12.

      Questa strutturazione della venerazione teologico-antropologica della SS. Vergine, in un messaggio inviato al popolo libanese acquista un significato profetico e augurale, mentre ai nostri giorni quella nazione è tanto martoriata:

«E sulla vita sociale della vostra patria la Madre del Dio Salvatore farà brillare l'ideale di suo Figlio, il suo messaggio di carità e di fratellanza, di verità e di giustizia... Anche oggi, se voi sarete attenti ai suoi insegnamenti, ella sarà un segno di salvezza per le vostre venerabili cristianità dell'Oriente»13.
     

      La consacrazione mariologica del 1942 ha un rilievo notevolissimo nel magistero di Pio XII, infatti egli la rievoca molte volte: è sufficiente consultare in proposito l'indice generale dei Discorsi e radiomessaggi. Le altre sono modellate sullo schema di essa. Seguono con quest'ordine: consacrazione della Polonia il 23-XII-1946 (Ivi, vol. X, 427, cf 431); dell'Argentina nel 1947 (vol. LX, 287), del Canadà il 19 giugno dello stesso anno (IX, 110), della Russia il 7 luglio 1952, nella ricorrenza liturgica dei SS. Fratelli Cirillo e Metodio (XIV, 501-502), e le consacrazioni effettuate nel corso dell'Anno Mariano 1954: Belgio il 5 maggio (XVI, 104-105), Bretagna il 26 luglio (XVI, 91), Spagna il 12 ottobre (XVI, 195, 197), e Montevideo, dove sono radunati pellegrini di tutto l'Uruguay, lo stesso giorno (XVI, 203).
      Non sarà ozioso ricordare che nell'enciclica Sacro vergente anno (7-VII-1952) rivolta ai popoli della Russia (XIV, 495ss), nell'esporre le ragioni della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, Pio XII parte dalle premesse sociopolitiche per giungere all'affermazione dell'avvento del Regno di Cristo:

«(Ci auguriamo) che, per intercessione della potentissima Vergine Maria, quanto prima si avveri ciò che noi, voi, e tutti coloro che nella bontà aspirano alla pace, alla concordia fraterna, l'avvento della libertà dovuta a tutti, e in primo luogo alla Chiesa...».

      Su queste premesse si edificherà poi il Regno di Cristo.
      L'atto più solenne del pontificato di Pio XII, dal punto di vista teologico, è senza dubbio la proclamazione del dogma dell'Assunzione. Anche nella Cost. Ap. Munificentissimus Deus ( 1 -XI -1950) che la sancisce la dimensione religiosa è inscindibilmente legata a quella socioculturale:

«Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre più del valore della vita umana, se è dedita totalmente alla esecuzione della volontà del Padre Celeste ed al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata, minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio delle vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti, in modo luminosissimo, a quale eccelso scopo le anime e i corpi sono destinati, che infine la fede nella corporea Assunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operante la fede nella nostra risurrezione»14.
     

      Il magistero di Pio XII per alcuni aspetti è già lontano da noi, soprattutto per quello che si riferisce all'espressività letteraria, alla retorica, che è decisamente superata. Ma nei suoi contenuti non solo è sempre attuale, ma costituisce uno degli appuntamenti umani più veri e liberatori. Il Pontefice sente fino allo spasimo gli aspetti tragici della storia umana, particolarmente agli albori del suo magistero (1939-1945), quando una guerra spaventosa insanguina il mondo. Anche negli anni susseguenti, se la situazione militare si normalizza progressivamente, quella spirituale resta nelle sue tensioni a volte assai robuste, nell'incubo della guerra fredda.
      Per impostare una valutazione di tale magistero bisogna affermare che esso dev'essere considerato come una delle più evidenti chiavi di lettura del pontificato di Pio XII. In questo senso egli si collega idealmente, più profondamente di qualsiasi altro papa degli ultimi 100 anni, con Leone XIII, nella connotazione mariologica globale.
      La venerazione mariana di Pio XII-non subisce flessioni, anzi cresce e si articola man mano che gli anni trascorrono dando spazio sempre maggiore all'istanza di estendere alle masse tale venerazione. Queste sono sempre le più esposte alle intemperie della storia. Pio XII dialoga intimamente e autoritativamente con tutte le componenti dirigenziali dell'umanità, nell'intento di far da ponte con le masse, sicché il regno di Dio s'affermi e si rafforzi sotto gli auspici mariani.
      4. Paolo VI e la stagione concilitare:
      «Madre della Chiesa»

      Gli anni '60, fin quasi alla fine degli anni '70 - e perciò in comcidenza pressoché esatta col pontificato montiniano - sono segnati dalla crisi della mariologia. Questo fenomeno va giudicato non in termini negativi, ma in termini costruttivi m quanto questo abbassamento di voce ha consentito di purificare iI terreno mariologico dalle scorie del sentimentalismo e della iperbolizzazione e di inquadrarlo nell'ecclesiologia, con un piglio meno goliardico ma più profondo e più attento alle problematiche generali. La chiave di lettura qui è per l'appunto ecclesiologica. Non ci sentiremmo di definire il magistero mariologico montiniano meno vivo di quello degi altri papi qui ricordati, ma certo esso è di orientamento differente, e frattanto ha il merito assai grande di collegarlo con l'economia conciliare e con l'arricchirlo del nuovo titolo di Madre della Chiesa. Ma poiché non disattende le difficoltà ricordate, le singole espressioni montiniane vanno massimalizzate, in quanto che egli si mantiene su un terreno prudenziale, per integrarle con le ragioni dell'ecumentsmo, dell'elaborazione delle teologie radicali, e con la crescita contestativa coagulata attorno al maggio 1968.
      Da un 'omelia parrocchiale del 1968 togliamo un'espressione che sembra riassumere l'angolatura mariologica di que sti anni:

«La Madonna non è soltanto Madre e Regina nostra, è sorella, è compagna; è stata anch'ella cittadina di questa terra ha percorso i nostri stessi senfieri e, più di tutti, conosce la gravità, la pesantezza della esistenza della vasta famiglia umana, colpita da tanti malanni e destinata alla penitenza, al dolore santificante, alla speranza che deve quasi liberare dalle cose esteriori, affinché vengano amate quelle supreme»15.      

      È la via seguita dal Concilio nella Lumen gentiun (21-XI-1964) della quale è opportuno richiamare le linee della lettura socioculturale della mariologia. Esse denotano l'ht`mti del pensiero filosofico e sociopolitico degli ultimi decenni, in particolare la meditazione esistenzialista e personalista, I'angoscia della solitudine e il terrore nei confronti dell'imbarbarimento che sembra trionfare, come pure dell'apocalisse chiaramente presente nello stesso messaggio di Fatima.

      Nell'art. 62 i motivi tradizionali della devozione mariana assumono uno spessore evidente;

«Assunta in cielo, non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua intercessione continua ad ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo, ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice...».

      L'art. 66 fa eco, ancora in prospettiva comunitaria:

«Già fin dai tempi antichi è venerata col titolo di Madre di Dio, sotto il cui presidio i fedeli imploranti si rifugiano in tutti i pericoli e le necessità. . .».

      L'art. 68 enuncia la presenza materna della Vergine dando coraggiosamente spazio a un'istanza che il superomismo nitzscheiano aveva indotto in parecchi scrittori e pensatori cattolici:

«La madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell'anima è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, cosi sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore.».

      L'art. conclusivo, il 69, allarga il suo orizzonte all'intera comunità umana, nell'ascolto di orientamenti che nella Chiesa erano stati seguiti fin dal periodo della guerra, come vedremo parlando della mariologia di don Alberione:

«Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e degli uomini, perché essa, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione dei Santi interceda presso il Figlio suo, fin tanto che tutte le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità».

      Riteniamo che l'allocuzione pronunciata da Paolo VI a conclusione della III sessione del Concilio, che porta la stessa data della Lumen gentium, 21 -XI- 1964 16, e che la commenta e la presenta alla Chiesa universale, possa in certo senso essere considerata come appendice e forse anche un'integrazione alla medesima; essa segna un momento forte della mariologia sociologica e culturale del nostro tempo.

«La realtà della Chiesa, dice il Pontefice, non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici. La sua intima essenza, la sorgente prima della sua efficacia santificatrice, sono da ricercarsi nella sua mistica unione con Cristo; unione che non possiamo pensare disgiunta da Colei che è la Madre del Verbo Incarnato e che Gesù Cristo stesso ha voluto tanto intimamente a sé unita....» (n. 7, p. 411).      

      Nell'ascolto delle voci della Chiesa, e delle richieste esplicite di molti Padri conciliari, Paolo VI annuncia quindi la proclamazione del nuovo titolo mariano di Madre della Chiesa, giustamente presentato come

«non nuovo alla pietà dei cristiani; che anzi è proprio con questo nome di Madre, a preferenza di ogni altro, che i fedeli e la Chiesa tutta sogliono rivolgersi a Maria» (n. 8, p. 412).      

      La dimensione socioculturale del nuovo titolo - che è da recuperare in tutto l'insegnamento di Papa Montini - è riportata alla solidarietà genetica e antropologica, in quanto essa è nostra sorella e nostra concittadina. Nel n. 9 (pp. 412s) leggiamo fra l'altro:

«È dunque con animo pieno di fiducia e di amore filiale, che noi innalziamo lo sguardo a Lei, nonostante la nostra indegnità e debolezza. Ella che ci ha dato con Gesù la sorgente della grazia, non mancherà di soccorrere la Chiesa ora che fiorente per l'abbondanza dei doni dello Spirito Santo, s'impegna con nuova lena nella sua missione di salvezza.
      E la nostra fiducia è ancora più ravvivata e corroborata se consideriamo i legami strettissimi che stringono questa nostra celeste Madre al genere umano. Pur nella ricchezza delle mirabili prerogative di cui Dio l'ha onorata, per farla degna Madre del Verbo Incarnato, essa tuttavia è vicinissima a noi. Figlia di Adamo come noi, e perciò nostra Sorella per vincoli di natura, essa però è la creatura presenata dal pec cato originale in vista dei meriti del Salvatore, e che ai privilegi ottenuti aggiunge la virtù personale d'una fede totale ed esemplare, meritando l'elogio evangelico beata quae credidisti. Nella sua vita terrena ha realizzato la perfetta figura del discepolo di Cristo, specchio di ogni virtù, e ha incarnato le beatitudini evangeliche proclamate da Cristo. Per cui in Lei tutta la Chiesa nella sua incomparabile varietà di vita e di opere attinge la più autentica forma della perfetta imitazione di Cristo.
      Noi Ci auguriamo quindi, che con la promulgazione della Costituzione sulla Chiesa, sigillata dalla proclamazione di Maria Madre della Chiesa, cioè di tutti i fedeli e Pastori, il popolo cristiano con maggiore fiducia e ardore si rivolga alla Vergine Santa, e attribuisca a Lei il culto e l'onore che le competono».

     

      Chiosando l'attribuzione della Rosa d'Oro alla Madonna di Fatima, questa visione è ribadita e collegata con la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, della quale l'allora sostituto alla Segreteria di Stato era stato spettatore diretto; l'opera del Concilio ottiene così una collocazione storica e teologica di sereno equilibrio, e lo stesso titolo mariologico proclamato in quel momento ottiene una connotazione che non si limita ai soli confini - ormai decisamente angusti - della Chiesa, ma slarga all'intera famiglia umana, che è in ogni caso solidale con la Vergine:

«Mentre rivolgiamo il nostro animo in ardente preghiera alla vergine, affinché benedica il Concilio ecumenico e la Chiesa tutta, affrettando l'ora dell'unione fra tutti i cristiani, il nostro sguardo si apre sugli sterminati orizzonti del mondo intero, oggetto delle attenzioni più vive del Concilio e che il nostro predecessore Pio XII, non senza ispirazione iall'alto, consacrò solennemente al Cuore Immacolato di Maria... In tal modo anche noi intendiamo affidare alle cure della celeste Madre l'intera famiglia umana con i suoi problemi e i suoi affanni, con le sue legittime aspirazioni e ardenti speranze» (n. 10, pp. 414-415).

      5. D. Alberione:
      la «Madre dell''umanità», preludio al Terzo Millennio

      Nell'impostazione della pietà, come in quella delI'apostolato, don Giacomo Alberione, del quale ricorre il centenario della nascita (1884-1971), si colloca di fronte alle nuove realtà, che saranno quelle del futuro umano: la presenza degli strumenti' della tecnolgia e dell'elettronica, che plasmano un nuovomomo e una nuova comunità umana, attra-verso il passaggio dalla Galassia Gutenberg alla Galassia Marconi. Il nuovo uomo è ormai privato delle nozioni e delle basi tradizionali dello spazio, attraverso l'ubiquitarietà delI'informazione e del coinvolgimento; del tempo, attraverso l'istantaneità della percezione dei fatti, che sono sempre «vicini», anzi «a portata di mano»; della successione storica attraverso l'omnicontemporaneità realizzata dalle immagini filmiche e televisive; della stratificazione psichica attraverso lacompresenza, I'identificazione e la proiezione favorita dal consumo di opere audiovisive specie quando sono particolarmente efficaci. La nuova società è connotata da processi variamente proponibili, che però confluiscono sempre nella rottura d'ogni tipo di separazione e di estraniamento: quello di socializzazione, per cui si abita nel villaggio globale e nella ritribalizzazione; di planetizzazione corresponsabile, che ne è la conseguenza etica; di demitizzazione e destrutturazione, e infine di connotazione tecnologica e imaginifica.
      L'evangelizzazione, come pure il dialogo culturale e informatico di ogni livello, non può prescindere da questa nuova realtà. Don Alberione si colloca decisamente sul versante della nuova predicazione strumentale, che non sostituisce quella orale, ma le si affianca a pari titolo ed efficacia; e per esigenze strutturali. percepite fin dalla notte che separa il sec. XIX dal XX, sceglie la predicazione alle masse, com'è del resto inevitabile entrando nel settore della stampa e poi, via via, di tutti i mass-media. Le macchine sono i nuovi pulpiti, i grandi complessi tipografici e audiovisivi sono le chiese, il mondo intero costituisce la parrocchia planetaria.
      Per far fronte teologicamente e pastoralmente a questa nuova dimensione dell'annuncio salvifico, egli imposta lo scibile cristiano sul magistero eterno e universale di Dio, manifestatosi attraverso Gesù Maestro Via Verità e Vita, postulando, col metodo omonimo, I'annuncio di tutto il Cristo a tutto l'uomo. I contenuti devono sempre comprendere il dogma (momento Verità) la morale (momento Via) e il culto (momento Vita). Rispettivamente, l'uomo dev'essere coinvolto nella sua razionalità, nella sua comportamentalità, nella sua emotività. Nell'approccio catechetico e kerigmatico bisogna passare ancora per i tre momenti: conoscere-apprendere, imitare-fare, lodare-pregare. Se si privilegia eccessivamente - o se si tralascia - qualcuna di queste componenti, si dà luogo a una forma di squilibrio o di settorialismo; solo l'interdisciplinarietà più radicale può garantire un dialogo costruttivo con l'uomo e col mondo plasmato dai «media».
      Queste dottrine vengono esposte in mille articoli, libri, prediche, esortazioni. Trovano una formulazione dogmatico eucologica nell'opuscolo Via humanitatis del 1947, e che si fonda sulle quattro manifestazioni del magistero divino, rivelato attraverso Gesù Divin Maestro, in uno schema grandioso che presenta il Tutto originato in Dio, che attraversa tutta la serie cosmica della storia, e ritorna definitivamente in Dio:
      1. rivelazione naturale, o economia-epoca della creazione;
      2. rivelazione soprannaturale, come sopra: A. e N. Testamento;
      3. vita della Chiesa pellegrinante, l'epoca in cui noi viviamo;
      4. vita eterna o escatologica, dopo il giudizio finale.      
      Per dare un'idea di questo tentativo di dialogo con l'uomo audiovisivo, ricorderemo che è possibile fare un raffronto con la via Crucis, una devozione che comunque don Alberione apprezzò immensamente. Questa rappresenta un piccolo segmento del mistero pasquale: il viaggio dal pretorio al Calvario. Visione meravigliosa, ma angusta per gli orizzonti dell'uomo audiovisivo.
      La presenza mariana in una concezione così grandiosa è fondamentale e costante, e si coagola attorno al titolo di Regina degli Apostoli per quello che concerne l'aspetto evangelizzatore e di Mater humanitatis per quello che concerne invece le caratteristiche di tale presenza. L'opuscolo del 1947 è articolato in 31 quadri, ognuno dei quali presenta una formula che nella prima parte enuncia la verità e nelle altre due ne trae le conseguenze pratico-comportamentali e offre una formulazione eucologica (il metodo Via Verità e Vita in atto); il ministero mariano a volte è indicato in una a volte in un'altra di tali parti, mentre in vari casi è espressa nell'indicazione che don Alberione dà al pittore, dal momento che ogni quadro prevede non solo l'enunciazione teorica, ma anche la sua traduzione figurativa. Cosi il quadro iniziale, che presenta il consiglio della SS. Trinità, che decide la creazione dell'uomo, già prevede («a mezza luce») la presenza mariana; il penultimo presenta l'incoronazione di Maria e l'ultimo la sua presenza di corifea nella Celeste Gerusalemme.
      Una delle rappresentazioni monumentali è nel Santuario Regina Apostolorum di Via Alessandro Severo e per la parte pittorica è dovuta all'affreschista Antonio Giuseppe Santagata: un'altra è stata realizzata da Gesarina Giordani nel Tempio al Divin Maestro in Via Portuense; in quest'ultimo caso la concezione alberioniana è brillantemente collegata con quella di Teilhard de Chardin 17.
      In una lettera al pittore Santagata (24-XII-1953), don Alberione formula per l'ennesima volta il fondamento del titolo di Madre dell'umanità, che sarà poi realizzato con una Vergine che riceve dalla SS. Trinità le grazie e le elargisce a due gruppi di oranti: a destra quello dei credenti, guidati da Pio XII, a sinistra quello di tutti gli uomini, quale che sia la loro razza, colore, religione; tale fondamento è nei due annunci a Maria:

      «Sotto la Croce Maria riceve il secondo annunzio: di essere Madre dell'umanità rappresentata da Giovanni: risponde al primo annunzio di essere Madre di Dio. Perciò accoglienza umile ed amorosa del nuovo ufficio, un altro «Ecco l'ancella del Signore, sia fatto di me secondo quanto hai detto»; e subito guarda con compiacenza il nuovo Eiglio, Giovanni, ed in lui l'umánità.
      Giovanni è sereno ed ossequente, dolente della morte di Gesù.
      L'umanità è rappresentata da due schiere: una è la cristianità che Pio XII presenta e consacra a Maria; l'altra la schiera degli uomini ancora fuori della Chiesa, che il Papa pure raccomanda a Gesù colla mano. In entrambe le schiere, uomini di ogni condizione e razza. Di fronte al Papa Pio XII un operaio inginocchiato con gli strumenti del lavoro. Vi può essere tra la prima schiera anche un sacerdote, e tra la seconda anche un missionario; (ma è ancora meglio se vi è solo il Papa)» (167-168).                  

      L'elevazione del monumentale santuario romano è collegata alla tragedia della guerra. Durante i giorni tristissimi don Alberione fece un voto: se tutti i suoi figli e le sue figlie sparsi nei cinque continenti fossero usciti illesi dalla tragedia, avrebbe elevato questo santuario: è una proclamazione della provvidenza storica della Vergine. In uno scritto di poco posteriore all'opuscolo Via humanitatis egli cosi formulava il titolo mariano:

«MATER HUMANITATIS. I pericoli e le difficoltà presenti, e insistenti inviti del Papa a pregare per la pace, sono motivi per sollecitare i lavori della Chiesa Regina Apostolorum.       La pittura e la scultura si completano tra di loro e completano l'architettura. Maria è Mater humanitatis che sovrasta tutto il creato sempre; ed oggi più ancora. Ella segna la «via humanitatis», per mezzo specialmente degli Apostoli.
      È buona cosa che, soprattutto i lontani, abbiano un ragguaglio di tutta l'opera; e in modo speciale di quanto già è fatto od in corso di esecuzione. Gioverà per chi ha concorso, sarà un invito per chi può concorrere.
      Maria, tutta bella e nostra buona Madre, ci conceda di onorarla e cantarla anche in quest'opera d'arte. «Dignate me laudare te, Virgo sacrata». Sac. ALBERIONE» (43).

      Nel trattatello Apostolato stampa (Alba, Pia Soc. S. Paolo, 1933, 44-47) egli dà alla Vergine il titolo di Regina della storia, riferendosi evidentissimamente alla storia della salvezza, tant'è vero che divide il capitolo in tre parti: «presiedette (cioè: fu presente) all'idea creatrice di Dio; presiede al suo sviluppo; presiederà alla consumazione». E applicando a questa impostazione l'opera dell'apostolo dei mezzi moderni, notava:

«L'apostolo della stampa verso la santa nostra Regina, Madre e Maestra, ha uffici speciali... Tutto il creato essendo sotto il potere, la sapienza, la grazia di questa Regina, e dovendo dalla sua pienezza tutti ricevere, bisogna che ogni passo, ogni movimento lo faccia per Maria, in Maria, su l'esempio di Gesù Maestro. Farci figli di Maria come si è fatto il Divin Figlio» (4 7 )

      L'evangelizzazione cristiana, a suo giudizio, non ha ottenuto frutti proporzionati agli sforzi, specie presso le civiltà più antiche, perché non ha seguito a sufficienza l'esempio del Cristo. Nel volume Regina degli Apostoli (1948) così formula questa constatazione:

      «Il mondo divenne cristiano per Maria e solo per Maria: ecco l'Apostola. Lo sarà completamente, se completamente Maria sarà conosciuta, imitata, invocata come l'Apostola. Ieri, oggi, nei secoli.
      Sacerdoti ed anime cristiane, riflettiamo: il mondo non arriva a Cristo, perché si addita non ancora abbastanza la via: Maria...
      Si moltiplicano stampe, discorsi, proposte iniziative, fatiche, spese. .. Ma Gesù si trova sempre come l'hanno trovato i pastori ed i Magi: «Et invenerunt Mariam et Joseph et infantem positum in praesepio». È il fatto che sempre deve ripetersi e si ripeterà sino alla fine dei secoli. E se non si troverà Maria, non si troverà Gesù...» (62).

      Dopo la proclamazione del titolo Madre della Chiesa don Alberione scrisse a Paolo VI, che lo degnò di un affetto e di una condiscendenza sovrana, una lettera in cui, con tutta l'umiltà che gli era propria, esprimeva una tesi che vale la pena richiamare: oggi non è più sufficiente limitare alla Chiesa i nostri orizzonti, bisogna estenderli al mondo intero. La lettera risale al giugno del 1965, e fu seguita da molti altri messaggi rivolti al Card. Siri, presidente della CEI, e ad altri vescovi, sempre invocando il ritorno al Rosario per preservare l'Italia dalla minaccia delle forze avverse e per garantire un'evangelizzazione e una promozione umana degne della storia cristiana. Ne diamo il testo, com'è desunto dalla minuta d'archivio:

Santità,
Sono il più piccolo tra i vostri figli; i piccoli sono talvolta audaci col Padre, perché ne conoscono la grande bontà.
      Ho sempre davanti il Vostro mirabile discorso di indirizzo ai «Comitati Civici (31 gennaio 1965), che riflette la grave vostra preoccupazione del prossimo avvenire per l'Italia.
      Tante persone pensose prevedono tempi tristi se non si arresta il cammino del socialcomunismo. Esso utilizza a suo vantaggio: le discordie della Democrazia Cristiana, la gioventù che abbandona la Chiesa in parte notevole, la debo
lezza (insufficienza) della nostra stampa, I'abbassamento del costume, l'ateismo, il laicismo, il materialismo della vita, l'insofferenza dell'autorità, I'abuso della libertà, dottrine eversive. Da parte nostra? si prega meno e si predica meno, siamo fin troppo inattivi, come davanti ad una fatalità che non e possibile scongiurare.
      Che sarà delle prossime elezioni?
      Come pensare un'Italia comunista?
      In quali condizioni si troverebbe? e quali riflessi nel mondo intero?
      Occorre una vera Crociata del Rosario. Vi è salvezza in Maria.
      Maria che difese l'Italia dal protestantesimo dai Turchi che miravano a Roma, dalle false dottrine dell'Oltralpe e potenti alleate adversus Deam et Christum eius per sommergere la Chiesa, e furono vinte. L'odio fu vinto dalla carità. Furono le undici lettere di Leone XIII.
      Padre Santo, oltre la Mater Ecclesiae, invochiamo Maria Mater humanitatis secondo il Maestro Gesù, quando invitava tutti al suo cuore aperto. Voi avete il nome e lo spirito di San Paolo: «Cor Pauli cor Christi».
      Crociata del Rosario.
      La lettera apostolica di Giovanni XXIII (29-IX-1961) per la pace universale: «Il Rosario... prende posto per gli Ecclesiastici dopo la S. Messa ed il Breviario, per i laici dopo la partecipazione ai sacramenti»: il Rosario di Maria.
      Santità, al più piccolo, perdono ed insieme una paterna grossa benedizione. (81-82)
Umil.mo Figlio

      Volgendo il suo sguardo sul futuro, aprendo il 28 novembre 1954 il novenario dell'Immacolata, per la consacrazione del santuario romano, don Alberione espresse il manifesto della catechesi integrale e della funzione kerigmatica della tecnologia, come pure dell'interdisciplinarietà globale:

      «Continuate, o Maria, dal cielo il vostro apostolato di dare al mondo Gesù Via Verità e Vita. Molte nazioni sono povere perché mancano di Gesù Cristo. Nuove generazioni si affacciano alla vita. Il mondo sarà salvo solo se accoglierà Gesù cosl com'è: in tutta la sua dottrina, tutta la sua liturgia. Un Vangelo pieno di catechismo e liturgia, un catechismo pieno di Vangelo e di liturgia; una liturgia (esempio il Messalino) piena di Vangelo e di catechismo. Gli editori possiedono la parola, la moltiplicano, la diffondono vestita di carta, carattere, inchiostro. Essi hanno sul piano umano, la missione che nel piano divino ebbe Maria: che fu Madre del Verbo; Ella ha captato il Dio invisibile e lo ha reso visibile ed accessibile agli uomini, presentandolo in umana carne~ (75)

      La missione sociopolitica della Vergine è espressa scultoreamente nella invocazione conclusiva dell'ora di adorazione che inaugurava la novena già ricordata del 1954. Mentre nelle invocazioni antecedenti don Alberione aveva usato il Voi, allora consueto nelle preghiere, inopinatamente in quest'ultima parte passò al Tu. Il brano non richiede grandi commenti. Riteniamo possa senire lapidariamente per la mariologia sociòlogica del Terzo Millennio:

«Ecco nella prima cupola i due gruppi oranti formati dai rappresentanti dell'umanità: dall'umile operaio al Pontefice Supremo.
      Tu, o Maria, ha una missione sociale.
      Pnmo: hai santificata una casa, domicilio delle virtú domestiche; custodisci la prima società che è la famiglia.
      Secondo: hai dato principio alla vita religiosa con il voto di verginità e l'osservanza di una perfetta obbedienza e` povertà: custodisci la società religiosa.
      Terzo: hai portato sulle braccia la Chiesa nascente, società soprannaturale istituita dal tuo Figlio; custodisci la Chiesa.
      Quarto: ti venne affidata 1'umanità, di cui sei Madre spirituale, e che deve affratellarsi in una società soprannazionale; per Te si uniscno gli uomini nella verità, carità, giustizia: custodisci la Società delle Nazioni (sic: I'ONU).
      Quinto: in Gesù Cristo sei la madre della civiltà che sgorga dal Vangelo e si svolge nell'opera della Chiesa: custodisci la civiltà.
      Prega la Chiesa: «Augusta Signora dei cieli e Regina degli Apostoli, prega incessantemente affmché tutte le genti riconoscano che il Signore è Dio, e che non ce n'è un altro all'infuori di lui» (75-76).

Prestissimo:
dall'oggi al Terzo Millennio

      Le rapide riflessioni presentate in questi cinque scorci storici attestano che la presenza mariana nel cammino incarnato - e perciò spesso polemico e ondeggiante fra il trionfalismo e la depressióne - del Popolo di Dio, è un dato di fatto continuo e rilevante; non può quindi essere sottovalutato, come spesso si fa, soprattutto in taluni ambienti della geografia cristiana e anche cattolica.
      Almeno sommariamente, abbiamo l'obbligo di ipotizzare le forme e le caratteristiche della missione mariana nel nostro momento storico, in preparazione del futuro. In primo luogo dobbiamo separare il grano dal loglio, discernere l'autenticità dalle strumentalizzazioni, il fermento evangelico dalle rivendicazioni temporali, dal clericalismo e dal sentimentalismo. Ciò fatto, bisogna prendere sulle spalle con coraggio e laboriosità la fedeltà al Magnificat. L'avvento ormai imminente del Terzo Millennio è inscindibile dall'avvento sul proscenio della storia del Terzo Mondo e dalla relativa Terza Chiesa; queste realtà sono sollecitate da problemi terribilmente forti, che non si lasciano prendere sottogamba. Il divario tra l'emisfero Nord e l'emisfero Sud non può lasciarci a sonni tranquilli. Le scelte della cristianità si riportano nell'area dello sviluppo e della pace, che - secondo l'icastica espressione di Paolo VI all'ONU - sono due entità inseparabili, anzi si identificano.
      In altri tempi l'Odegitria ha guidato eserciti e flotte contro gli Albigesi o i Turchi. Non tutti i dettagli di queste campagne ci piacciono, ma sostanzialmente è fuori discussione il fatto che esse hanno risposto validamente alle istanze dell'epoca in cui sono state organizzate e condotte a termine. Hanno salvato la Chiesa, ma anche la società civile e l'Occidente in primo luogo, garantendo la sopravvivenza e poi lo sviluppo delle libertà, della civiltà, della dignità.
      Le battaglie alle quali la comunictà umana è chiamata a combattere oggi sono fenomenologicamente differenti; ci si augura per esempio che mai debbano svolgersi sul piano militare, ma indubbiamente non sono meno difficili di quelle del passato.
      Hanno, oggi come ieri, una dimensione ecclesiale-teologica e una dimensione laico-sociopolitica. Nel discorso all'ONU Paolo VI presentò la Chiesa come «esperta di umanità». I campi nei qualli occore oggi soccorrere l'umanità sono quelli della dignità umana, che è distrutta dalla fame dalla mancanza di libertà di coscienza, di voto, e persino ii movimentO materiale, dal gioco dell'analfabetismo e del sottosviluppo in tutte le sue forme.
      La restaurazione della politica del Magnificat è condizione irrinunciabile. Solo per questa strada lo sviluppo produrrà la pace, e la comunità cristiana si scrollerà finalmente di dosso l'accusa tanto spesso fondata, di essere «oppio per il popolo».
      Se le popolazioni del Terzo Mondo sentiranno che la comunità credente legge davvero e prende sul serio la lezione di Ain Karem, la loro fedeltà all'annuncio evangelico sarà assicurata; in caso diverso l'apostasia delle masse sarà irreparabile.
      Le sterminate pianure e le montagne dell'America Latina, e le sue stesse grandi arterie stradali, sono punteggiate di statue mariane, anche lì ricche degli epiteti più fantasiosi, anche se prevale di gran lunga quello del Carmelo. Le parti dell'Africa cristianizzata (mi riferisco solo a situazioni che ho vissute di persona) sono anch'esse abbastanza simili, anche se la frequente presenza di missionari del Mittelcuropa ha privato spesso le popolazioni di questo rifugio universale.
      Il nostro sogno di oggi è che le popolazioni umiliate e offese di questi e degli altri continenti passando accanto a queste immagini sentano il flusso salvifico - in senso teologico e in senso sociopolitico - di Colei che veramente è madre universale e che nella distribuzione del cibo e del benes- sere intende far le parti giuste. Siamo a una svolta della storia che non confronti nel passato, tutti i problemi oggi sono planetarizzati. Questa nuova storia che s'annuncia all'orizzonte sarà mariana o sarà vittima dell'apocalisse nucleare.
      Due anime elette hanno espresso le loro «previsioni» circa il futuro dell'umanità. Qùeste previsioni ci riempiono di speranza. San Massimiliano Kolbe affermò che la statua del Cuore Immacolato di Maria sarà innalzata nella Piazza Rossa di Mosca; don Alberione previde che sarà elevata al centro dell'emiciclo del Palazzo di Vetro dell'ONU. «Dinanzi a Dio nulla è impossibile«; affrettiamo con la preghiera e con l'opera queste previsioni tanto costruttive.

NOTE

      1 Insegnamenti pontifici a cura dei Monaci di Solesmes, Roma, EP, VII, Maria SS., 1959, n. 211, pp. 160-161.
      2 Ivi, n. 217, p. 166.
      3 Testo in Civ. Cattolica, 1892, 111, 5-24.
      4 ll testo dell'enciclica è in Leonis XIII allocutiones, epistolae..., Brugis-lnsulis, vol. V, 1898, 291-298; il brano cit., 297. L'anno seguente, prima a Napoli, poi a Torino, Firenze e altrove, Bovio mise in scena anche il dramma S. Paolo, coi pregi e i difetti del Cristo. Per l'intera questione cf R. F. ESPOSITO, Giov. Bovio tra l'Ap. Paolo e S. Tommaso d'Aquino, Livorno, Bastogi, 1975, 188. Il Bovio, oratore e filosofo allora assai apprezzato, militava nel radicalismo di sinistra ed era alto dignitario della massoneria; è raro trovare nella storia politica italiana un personaggio più retto e di un rigore morale più adamantino.
      5 In proposito cf R. F. ESPOSITO, Leone XIII e l'Oriente cristiano, Roma, EP, 1961, 744; per quello che si riferisce alla mariologia ecclesiologica, 468-498.
      6 Questo ondeggiamento tra autenticità e riattualizzazione che non sempre è del tutto al sicuro dalla strumentalizzazione, è una costante dell'insegnamento leoniano; oltre ai testi già addotti, ne riferiamo un ultimo della lettera Vi è ben noto ai vescovi italiani del 20 settembre 1887 (Ins. pontifici, cit., VII, n. 105, p. 103).
      «Già altre volte ricordammo queste glorie e gli strepitosi trionfi riportati contro gli Albigesi e contro altri potenti nemici; glorie che ridondano sempre, non solamente a profitto della Chiesa perseguitata ed afflitta, ma a prosperità altresì dei popoli e delle nazioni. Perché non potrebbero rinnovarsi, nei bisogni presenti, le stesse meraviglie di potenza e di bontà da parte della gran Vergine a pro' della Chiesa e del suo Capo, e di tutto il mondo cristiano?».
      7 S. Rituum Congr., Sect. hist. n. 140, Inquisitio de modo agendi Servi Dei B.L. in SanetuariiPornteianiadminùtratione, Typ. Pol. Vat., 1967, p. 329. Il doc. è riportato anche nella Positio, 1943, II, Documenta, p. 198. NelI'Inquisitio sono riportate alcune note intime che attestano il Calvario attraversato dal Beato in quel periodo di disastrosa incomprensione da parte della S. Sede. In una è detto: «Anno 1905. Anno di mio spogliamento di agonia di mente e di cuore. Minaccia di scomuniche, ecc. 1° giugno 19o5./Giovedì dell'Ascensione. Io in Latiano dormii dopo 6 mesi» (p. 704).
      8 Si tratta di un foglio di quattro pagine, formato cm. 33 x 50, intitolato Valle di Pompei - A vantaggio della Nuova opera dei figli dei carcerati. L'editoriale è intitolato Programma delle feste di maggio del 1892. La data è del 30 aprile 1892.
      9 Arch. Bartolo Longo, Pompei, Busta «Bodio». Lettera scritta su carta intestata Ministero Agr.a e Commercio, Consiglio superiore di statistica. Luigi Bodio (Milano 1840 - Roma 1920) fu senatore nel 1901; direttore del Commissariato generale dell'emigrazione e Presidente dell'lstituto internazionale di statistica; autore di numerose opere che sono considerate fondamentali per la scienza statistica dell'epoca.
      10 L. G. DA FONSECA SJ, Le meraviglie di Fatima, Roma, EP, 1959 (16 ed.),
      11 Discorsi e radiomessaggi di S. Pio XII, Tip. Pol. Vat., IV, 1955, 253-262.
      12 Insegnamenti pontifici, cit., Vll, 1959, n. 563, p. 373.
      13 Lett. Je me suis elevée, alla gerarchia e al popolo libanese, 18 ottobre 1954, Ins. pontifici, n. 727, p. 456.
      14 Ins. pontifici, cit., n. 522, p. 353. Tra i molti testi pacelliani ordinati a presentare la Madonna come condottiera nel settore sociologico ed ecclesiologico, ne riproduciamo uno di questi anni, tolto dal radiomessaggio all'A.C.I. (8 dicembre 1933, Disc. e Radiomess.. cit., XV, 504-506:
      «In questo giorno di gioia e di esultanza, Dio sa come vorremmo poter dimenticare l'asprezza dei tempi che attraversiamo! Ma i pericoli, che gravano sul genere umano, sono tali che non dobbiamo cessare mai - si può dire - di gettare il nostro grido di risveglio. Vi è il nemico che preme alle porte della Chiesa, che minaccia le anime. Ed ecco un altro aspetto, presentissimo, di Maria: la sua forza nel combattimento. ..
      Siate forti contro il nemico. Qui non si tratta soltanto del vantaggio spirituale di ciascuno di voi, ma della vostra collaborazione per il bene delle anime. Tutta l'A.C., che nei singoli membri dev'essere bella come la luna e vivificatrice come il sole, sappia essere, di fronte al nemico, forte come un esercito schierato in battaglia».
      15 Omelia alla parrocchia di Maria Assunta in cielo, Castel Gandolfo, 15 agosto 1968 (Encicliche e discorsi di SS. Paolo VI), Roma, EP, XVI, 1968, 404.
      16 Encicliche e discorsi di S.S. Paolo VI, Roma, EP, IV, 1965, 402-416.
      I7 Nel nostro saggio La massificazione non esiste (Alba, EP, 1978, 365) colleghiamo il pensiero di don Alberione coi principali flussi scientifici della comunicazione sociale. Per quello che si riferisce ai contenuti mariologici, salvo diverso avviso, citiamo dal nostro lavoro La dimensione cosmica della preghiera; la «Via humanitatis», di D. G. Alberione, Roma, EP, 1981, 200, dove diamo le citazioni distese dei singoli brani.

 

 

 

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