Testo apparentemente facile,
molto conosciuto, sfruttato da una certa pietà di carattere
sentimentale.
In realtà si tratta di un testo che
pone difficili problemi agli esegeti.
Voglio lasciare da parte le varie discussioni
tra gli specialisti, accennando soltanto quando lo riterrò
necessario ad alcune posizioni, per mettere l'accento sulla portata
teologica e cristologica di questo brano e mostrare la figura di
Maria quale appare nel piano di Dio.
Per questo dovrò fare delle scelte esegetiche,
consapevole dei problemi aperti e che la mia interpretazione non
è l'unica possibile.
Prima di tutto esaminiamo questo testo nel
complesso dei due primi capitoli del Vangelo di Luca.
Subito si pone un problema: Marco inizia il
suo Vangelo dalla vita pubblica di Gesù. Così pure
la testimonianza apostolica. (cfr At 1,21-22). Come mai Luca ha
premesso questi due capitoli del Vangelo dell'Infanzia? Quale portata
storica hanno nei confronti del resto del Vangelo? Non si può
dire che si tratti di leggenda; certamente Luca ha attinto ad una
tradizione precedente. Se confrontiamo con Matteo, che, come Luca,
premette due capitoli riguardanti l'infanzia di Gesù al suo
Vangelo, notiamo tradizioni diverse. Matteo fa prevalere la figura
di Giuseppe e gli interventi di Dio sono dati attraverso i sogni.
Luca invece mette al centro la figura di Maria e come sottofondo
Giovanni Battista e l'esperienza religiosa viene rappresentata dall'intervento
dell'angelo. Non si tratta quindi di una cronaca, ma di una storia
interpretata. Gli eventi dell'infanzia si differenziano dal resto
del Vangelo, in quanto viene qui usato il genere letterario midraschico,
che consiste nella lettura di eventi attraverso l'interpretazione
di fatti dell'A.T. A differenza di Matteo, che cita espressamente
testi dell'A.T., Luca non accenna esplicitamente ad alcun testo
dell'A.T., ma inquadra i suoi racconti in uno sfondo veterotestamentario.
Questi due capitoli sono costruiti su due dittici:
dittico dell'annuncio e dittico della nascita.
Il solito schema viene però rotto nell'annuncio
di nascita di Gesù: non si tratta di un semplice annuncio
di nascita. Con questo Luca vuol far capire la differenza sia dagli
altri annunci di nascita tipici dell'A.T., sia da quello di Giovanni
Battista. Molti personaggi importanti dell'A.T. appaiono nati con
speciale intervento di Dio da madre sterile, con l'annuncio di che
cosa sarà il bambino.
Nei riguardi di Maria abbiamo il superamento
di una situazione umana che non è la sterilità, ma
la verginità e la visione non soltanto di quello che sarà
il bambino, ma anche di quello che sarà la madre alla quale
viene chiesto il consenso. II tipico turbamento che generalmente
avviene alla visione, in Maria avviene alle parole dell'angelo,
al quale chiede spiegazione.
La pericope si presenta letterariamente ben
strutturata: inizia con l'ingresso dell'angelo presso la vergine
(v. 28) e termina con la partenza dell'angelo (v. 38). Abbiamo un'introduzione
(vv. 26-27) con la presentazione della situazione e dei personaggi.
Troviamo un unico verbo: fu mandato, passivo che ha come
soggetto logico Dio stesso. Viene presentata una situazione temporale
(sesto mese) e locale (una città della Galilea); sono dati
i nomi dei personaggi: Gabriele, il nome dello sposo e della vergine.
Tre volte troviamo il termine nome: Nazareth, Giuseppe, Maria. Vi
è quindi l'insistenza sul nome.
La sezione centrale (w. 28-38a) comprende tre
parti segnate dalla reazione di Maria alle parole dell'angelo; reazione
che nel testo greco viene introdotta con la particella dé:
I (28-29): saluto dell'angelo - reazione di Maria (si turbò).
Il (30-34) l'angelo annuncia la nascita -Maria domanda: come avverrà
questo? III (35-38a) l'angelo dà la spiegazione - Maria dà
il suo consenso.
Notiamo l'accento posto sul termine vergine
(due volte in Lc 1,27). Benché non vi sia nessuna citazione
esplicita delI'A.T., l'insistenza sul termine e la citazione da
parte di : 1,23 di Is 7,14, non si può escludere che Luca
abbia presente questo testo. Il contesto di Is 7,14 è il
periodo critico della guerra Siro-efraimitica, in cui viene messa
in pericolo la dinastia davidica con la minaccia della sostituzione
del discendente davidico Acaz con il figlio di Tabeel, annullando
così la promessa di Dio a Davide (2 Sam 7) di una discendenza
eterna. Dio manda il profeta Isaia a rassicurare Acaz: ciò
non avverrà, con l'invito a chiedere un segno.
Acaz, che persegue già il suo progetto
umano di richiedere aiuto all'Assiria, rifiuta di chiedere un segno
con la scusa di non voler tentare Dio. Allora Isaia dà il
segno che nel testo ebraico suona così: «Ecco la giovane
(almá) concepirà e darà alla luce un
figlio che chiamerà Emmanuele». A livello di questo
testo non possiamo pensare ad un parto verginale; probabilmente
il bambino di cui si parla è il figlio di Acaz, Ezechia,
che continuerà la dinastia davidica e opererà anche
una riforma religiosa. Si può dare a questo testo un'interpretazione
messianica non letterale, ma storico-messianica, in quanto il testo
è aperto ad una visione più ampia del momento storico
in cui è scritto. L'apertura avviene soprattutto attraverso
la traduzione greca dei LXX che usa il termine vergine (parthénos)
per tradurre l'almá che significa semplicemente giovane
fanciulla (presumibilmente vergine), mentre le traduzioni greche
di Simmaco e Teodozione adoperano il corrispondente termine greco
neânis. Matteo usa la traduzione dei LXX e interpreta
l'oracolo in senso messianico. Possiamo quindi ragionevolmente pensare
che Luca, insistendo sulla parola vergine abbia presente questo
testo, già conosciuto nella primitiva comunità cristiana
ed interpretato in senso messianico. Anche l'accenno al trono
di Davide richiama la promessa della dinastia davidica eterna
di 2 Sam 7.
Dopo l'introduzione abbiamo il saluto dell'angelo
(v. 28), che in greco suona chaîre kecharitoméne,
tradotto in latino Ave gratia plena e quindi in italiano
ave, piena di grazia. Queste traduzioni interpretano
quest'espressione come il normale saluto greco. Bisogna però
notare che Luca non adopera mai quest'espressione per un saluto,
ma usa il saluto ebraico .rhalom, pace (greco eiréne) (cfr
Lc 24,36) e quando usa il verbo chairein (gioire) lo usa sempre
nel suo senso pieno con senso di rallegrarsi, gioire. (cfr Lc 1,14;
10,20; 13,20; 15,32; 19,6. 37; 23,8; At 5,41; 8,39; 11,23; 13,48;
15,31)1. Anche la traduzione
greca dei LXX usa questo verbo nel senso di gioire (ad esempio Gen
45,16; Es 4,14; 1 Sam 19,5, ecc.).
Il sottofondo veterotestamentario di questo
saluto si trova in due testi profetici. Il primo è Sof 3,14,
in cui vi è l'invito alla gioia perché il Signore
ha revocato la condanna: si tratta di un annuncio di salvezza; il
secondo è Zc 9,9, in cui vi è l'annuncio del re messianico
che porterà la pace. L'annuncio a Maria è in questa
scia: Dio è intervenuto con la sua salvezza; una salvezza
che non è semplicemente liberazione dall'esilio, dalla schiavitù,
ma la liberazione dal peccato, la vera schiavitù dell'uomo.
Possiamo vedere questo saluto rivolto a Maria come simbolo del popolo
d'Israele fedele. A volte nei testi profetici Israele è chiamato
«vergine figlia di Sion» in senso negativo, come rimprovero,
come castigo. Maria invece che è la «vergine fedele»
rappresenta il «nuovo Israele», il popolo fedele che
accoglierà il Messia. Maria non è salutata per nome,
ma è chiamata kecharitoméne. La traduzione
sia latina gratia plena che italiana piena di grazia
non rende perfettamente questo participio perfetto greco del verbo
charitoûn, verbo fattitivo. Si tratta di un
perfetto teologico, il cui soggetto logico è Dio. Si potrebbe
tradurre graziata da Dio, e corrisponde al seguito delle
parole dell'angelo: «hai trovato grazia presso Dio»
(v. 30). Non si tratta del senso teologico della situazione di grazia
di Maria, ma ha un senso funzionale; pensando però al fatto
che Dio non adopera mai strumenti di salvezza come oggetti, ma dà
la sua grazia, santifica le persone che sceglie2
, le quali vengono consacrate al Signore e ricevono una grazia particolare,
possiamo dire che la traduzione piena di grazia non forza
il testo, ma va in questa linea: Maria ha trovato grazia presso
Dio per compiere una missione unica nella storia della salvezza
ed è stata ricolmata di grazia.
L'angelo continua: «Il Signore è
con te». Si tratta della promessa di Dio per l'intervento
salvifico, per l'aiuto ad una persona che è chiamata per
un compito straordinario3.
Questo schema non si trova in nessun testo di annuncio di nascita,
mentre si trova in testi di «vocazione». Il più
vicino al nostro è quello della chiamata di Gedeone (Gdc
6,1-24). I1 popolo d'Israele è oppresso dai Madianiti e Gedeone
è chiamato per mezzo di un angelo a liberare il popolo di
Dio. Viene salutato: «Il Signore è con te, uomo forte
e valoroso». Come Maria, non è chiamato per nome, ma
con un titolo funzionale: «uomo forte e valoroso»; la
missione di Gedeone viene espressa in questi termini: «Va'
con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian»
e infine la promessa: «Io sarò con te». Luca
combina quindi il genere letterario di annuncio di nascita con quello
di vocazione. Come Gedeone riceve l'incarico di salvare Israele,
così Maria ha il compito, con questa sua grazia che ha ricevuto
da Dio di concepire e dare alla luce un figlio, il Messia. Ambedue
ricevono la promessa che il Signore è con loro. Gedeone chiede
un segno; Maria chiede soltanto una spiegazione e le viene dato
un segno.
«Benedetta fra le donne» non si
può ritenere originale, poiché manca in molti codici
importanti e probabilmente è stato inserito da qualche copista
avendo presente il saluto di Elisabetta (Lc 1,42).
Dalla reazione di Maria, turbamento e riflessione
sulla natura del saluto, si può dedurre come non si tratti
di un normale saluto, e, come si è già notato precedentemente,
come il turbamento di Maria avviene non alla visione, ma al saluto,
segno che Maria comprende il senso di queste parole ed intuisce
la sua chiamata. La rassicurazione dell'angelo «non temere»,
che si trova in molti testi dell'A.T. in cui l'uomo ha un'esperienza
religiosa e nel N.T. nel caso di Zaccaria ha un senso diverso rivolta
a Maria: non si tratta del timore di fronte al sacro, ma piuttosto
di fronte a quello che Dio vuole da lei. Maria comprende la chiamata
di Dio che la chiama ad una missione particolare. Come Dio si è
chinato verso altre persone (Abramo, Lot, Mosè, Gedeone,
Davide) di cui si dice che «hanno trovato grazia», così
Dio si china su Maria, sarà con lei, l'aiuterà. Il
punto centrale della pericope si trova nei vv. 30-34: «tu
concepirai...». Viene anche indicato il nome del bambino:
Gesù 4. Secondo
lo schema degli annunci di nascita viene detto che cosa sarà
questo bambino: sarà grande. Anche di Giovanni Battista è
detto che «sarà grande presso Dio»; qui è
in senso assoluto, che nell'A.T. è usato soltanto per Dio
(ad esempio Sal 47,1). In questo «sarà grande»
è insinuata la grandezza di Gesù quale Figlio di Dio.
Anche l'espressione «Figlio dell'Altissimo sarà chiamato»
va in questo senso. Nel linguaggio semitico il termine «sarà
chiamato» sta per «sarà manifestato» come
Figlio di Dio. L'accenno al trono di Davide e al regnare sulla casa
di Davide ricorda le promesse di 2 Sam 7.
Ci si può domandare: come si è
realizzato questo nella vita terrena di Gesù? Come Gesù
ha avuto il trono di Davide? Come ha regnato? Nell'interpretazione
del N.T. Gesù regna attraverso la sua risurrezione5.
Si tratta del Regno post-pasquale ed escatologico (cfr mi 19,28;
25,31; Lc 22,29-30). In Gv 18,36 a Pilato viene detto qual'è
la natura di questo regno: non di questo mondo 6.
Gesù non lo ha realizzato nella sua vita pubblica: esso passa
attraverso la morte e la risurrezione ed avrà pieno compimento
nell'escatologia. Vediamo quindi la rilevanza post-pasquale di questo
testo. La luce della. pasqua, della risurrezione riverbera in questi
due capitoli dell'infanzia che sono riletti alla luce della risurrezione.
La risposta di Maria «non conosco uomo»
pone molti problemi agli esegeti. Non si può accettare la
spiegazione anacronistica di un presunto voto di verginità,
in quanto la verginità per il Regno dei cieli viene proclamata
da Gesù come assoluta novità del Vangelo. Nell'A.T.
la verginità era considerata una vergogna7;
del resto il testo non insinua questa interpretazione: il verbo
è al presente e significa «io sono vergine».
Al massimo si può vedere un certo desiderio, un'aspirazione
di Maria; ma può anche essere inteso come la risposta di
Maria alla sua chiamata. Maria comprende che diventare la madre
del Messia comporta il non legarsi ad un uomo; Maria per prima comprende
la «verginità per il Regno» proclamata da Gesù,
che non tutti comprendono, ma solo coloro ai quali è stato
concesso (cfr mi 19,Il-12). Maria, che ha compreso, domanda spiegazione
ed esprime la sua disponibilità, il suo ascolto della parola
di Dio.
La risposta dell'angelo annuncia la promessa
dello Spirito del Signore. Nell'A.T. lo Spirito del Signore discende
su coloro che devono compiere una missione; non si tratta ancora
dello Spirito personale, ma è collegato alla presenza salvifica
e alla potenza di Dio. Possiamo notare alcuni paralleli dell'A.T.:
In Is 32,15 si parla dello spirito creatore che dà fecondità
alla terra. In Maria, questo Spirito fecondo infonderà la
fecondità. L'espressione Spirito Santo è rarissima
nell'A.T., mentre si trova frequentemente nel N.T. Notiamo poi il
parallelismo sinonimico tra Spirito Santo e potenza dell'Altissimo.
Il verbo greco episkiazó che viene tradotto con adombrare
è usato in Es 40, 34 nei riguardi della nube che avvolgeva
la tenda del convegno. Nel N.T. nei testi della trasfigurazione
(mi 17,5; Mc 9,7; Lc 9,34); la nube è simbolo dello Spirito:
spirito creatore, fecondatore, che fa concepire Maria. II frutto
di questo concepimento è «il Santo, il Figlio di Dio».
Non si tratta soltanto della figliolanza di Dio in senso largo,
come è chiamato a volte il popolo eletto; il termine «Santo»
è attributo proprio di Dio8.
Senza che Maria lo chieda, le viene dato
un segno: il concepimento della cugina Elisabetta, sterile. L'espressione,
che nella Bibbia CEI viene tradotta: «nulla è impossibile
a Dio» (v. 37), scegliendo il dativo attestato da non molti
codici, dovrebbe essere tradotta: «non sarà impossibile
nessuna parola presso Dio», scegliendo il genitivo, maggiormente
attestato che viene quindi legato a «nessuna parola»9.
Il riferimento non è al concepimento di Elisabetta, ma a
quello di Maria: non è possibile che nessuna parola di Dio
sia vana; Dio non lascia cadere invano la sua parola: la sua parola
è feconda, si attua10.
La risposta di Maria: «Ecco la Serva
del Signore» viene generalmente interpretata nel senso di
umiltà e di sottomissione11.
Nell'A.T. il termine greco usato (doúle)
traduce nel maschile (doúlos) l'ebraico ebed che viene
dato a personaggi importanti dell'A.T., che compiono una missione
particolare: Abramo, Mosè, Giosuè e in Is 42,1 al
«Servo di jahweh» interpretato in senso messianico e
applicato nel N.T. a Cristo. Proclamandosi «Serva del Signore»
Maria si mette nella scia di questi grandi personaggi. Essere Servo
del Signore non significa essere schiavo, ma è il titolo
dato a chi compie una particolare missione. Queste parole sulla
bocca di Maria suonano come la presa di coscienza della sua missione,
della sua piena disponibilità e prontezza ad accettare il
suo compito e a collaborare col Signore. Questa piena disponibilità
si manifesta nelle parole che seguono: «Si compia in mela
sua parola». Il Verbo greco usato è l'ottativo di ghinomai,
che in senso positivo è usato soltanto qui nel N.T.12.
Questo testo appare quindi fortemente cristologico
e Maria non viene presentata staccata dal Cristo e dalla sua opera
di salvezza, ma come collaboratrice fedele che accetta consa pevolmente
con fede la sua missione di Madre del Messia e Serva del Signore,
simbolo del nuovo Israele che accoglie Gesù, il Figlio dell'Altissimo,
il Salvatore.
Dobbiamo però fare un passo avanti e
cercare di scoprire la rilettura a livello della comunità
di Luca; comunità degli anni 80 d.C., probabilmente in Antiochia,
che ha avuto l'esperienza dell'annuncio del Cristo risorto, il Servo
del Signore glorificato, che ha accettato la volontà di Dio.
La luce pasquale si proietta sull'infanzia di Gesù e risponde
alla domanda: «Chi sarà mai questo bambino?»:
domanda tipica dello schema degli annunci di nascita. Questo bambino
è il Figlio dell'Altissimo; è colui che ha ricevuto
il trono di Davide, nel quale si sono adempiute le promesse dell'A.T.
e regna già dopo la sua risurrezione e regnerà per
sempre nella patusia. La comunità lucana è esortata
a vedere la figura del Cristo risorto, che, come Geremia, Sansone,
Giovanni Battista è stato «scelto» fin dal seno
di sua madre, concepito non dalla volontà di un uomo, non
con progetti umani, ma nel tempo stabilito da Dio da questa vergine
che ha collaborato come «Serva del Signore» e si pone
al centro degli uomini e delle donne dell'A.T. e del N.T., che hanno
collaborato e collaboreranno alla storia della salvezza. La comunità
deve accogliere nella fede, come Maria, questo Cristo, crocifisso
e risorto, quale Figlio di Dio e Salvatore.
Ma questo testo non si è fermato agli
anni 80; la Parola di Dio è viva ed efficace e parla a noi
oggi, alla nostra comunità del 1982; comunità della
Chiesa universale e alle nostre comunità parrocchiali e religiose.
Cerchiamo quindi di tracciare alcune piste di attualizzazione che
verranno approfondite nella riflessione personale e nella preghiera.
Che cosa dice alla Chiesa di Roma del 1982 questa parola? «Rallegrati,
comunità cristiana che hai accolto il Cristo; comunità
che crede. Rallegrati perché il Signore è con te,
ti ha colmata di grazia; rallegrati anche se ti trovi in situazione
di persecuzione, in mezzo ad un popolo di atei, in una situazione
di violenza, di droga. Rallegrati, perché il Signore è
con te. Non turbarti a queste parole del Signore, non turbarti a
questo saluto, perché il Signore è con te; il Cristo
risorto è con te. Lo ha promesso: `Io sarò con voi
tutti i giorni...' (M 28,20). Questo Cristo risorto regna in mezzo
a te; regnerà nella parusia; attendi con pazienza il suo
ritorno, questo compimento del Regno. Lo Spirito Santo è
in te; è stato inviato. La potenza dell'Altissimo è
in te, o Chiesa di Dio, e ti avvolge con la sua ombra, come la nube
che copriva la tenda del convegno; come ha adombrato Maria. Ti è
stato dato un segno: è tutta la storia della salvezza; storia
dell'intervento di Dio per il suo popolo, dalla chiamata di Abramo,
dalla liberazione dall'Egitto, dall'esilio, ma soprattutto la liberazione
dal peccato compiuta da Cristo Gesù. Rispondi a questa chiamata
di Dio con le parole di Maria: `Ecco, sono la Serva del Signore;
si compia in me la sua parola', poiché nessuna parola di
Dio rimane inattiva, sterile, perché nessuna parola è
impossibile da parte di Dio».
Il messaggio di questo testo è un messaggio
di gioia e di fiducia. Maria incarna la Chiesa, è figura
della Chiesa (LG, n. 63). La Chiesa deve perciò guardare
a Maria nella sua fede, nella sua accoglienza, nella sua disponibilità.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., I Vangeli, Assisi
1975.
M. MIGUENS, Mary «The Servant of
the Lord», Boston 1978.
R. E. BROWN, La nascita del Messia secondo
Matteo e Luca, Assisi 1981.
NOTE
1
Come saluto è usato in At 15,23; 23,26, non all'imperativo,
ma all'infinito.
2
Mosè (Es 3,13).
3
Geremia (Ger 1,3), Sansone (Gdc 13, 3-5), Isaia (Is 6,6).
4
In Mt: 1,21 è Giuseppe che dovrà dare il nome al bambino
e viene dato anche il significato del nome (in ebraicoJehosuah):
salverà il suo popolo dai suoi peccati.
5
Cfr il discorso di Pietro in At 2,30.
6
Cfr anche 1 Cor 15,25; la citazione dell'inno cristologico in Col
1,13; Ap 11,15.
7
Cfr Gdc 11,30-39: la figlia di Jefte piange la sua verginità.
8
Cfr Is 6,3; Sal 71,22; 78,41; 89,19; 99,3.5.9; ecc.
9
Il termine greco rêma può avere il senso semitico
di cosa. Notiamo anche che il verbo greco è al futuro
e viene così sottolineato il senso di promessa di compimento
della parola di Dio.
10
Cfr 15 55,10-11.
11
A volte viene tradotto poeticamente «ancella»; oppure,
per dare maggiormente il senso di umiltà, «schiava».
12
In senso negatico «me ghenoito» si trova in Paolo come
una domanda retorica che richiede una risposta negativa (cfr Rom
6,2; 7,7).
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