È scritto nel decreto conciliare
Inter Mirifica, di cui nel 1983 celebreremo il dccimo anniversario,
che la Chiesa segue con particolare cura, tra le meravigliose invenzioni
tecniche, gli strumenti di comunicazione sociale, poiché «direttamente
riguardano lo spirito dell'uomo e offrono nuove e rapidissime maniere
di comunicare notizie, idee e inscgnarnenti»1.
Tali strumenti difatti, sempre secondo il decreto conciliare, possono
rnirabilmente servire, se bene adoperati, a «sollevare e arricchire
io spirito, nonché a propagare e rafforzare il Regno di Dio»2
Nell'esortazione finale, poi, 1'Inter Mirifica auspica che,
«come già avvenne per i capolavori delle arti classiche, arche
con queste recenti invenzioni venga glorificato il Nome del Signore,
secondo il detto dell'apostolo Paolo: Gesù Cristo ieri, oggi
e per tutti i secoli (Eb 13,8)»3
Ho voluto, ricordare questi
concetti non per versare amare lacrime su quello che i mass media
avrebbero, potuto essere, e ancora non sono, ma semplicemente per
inquadrare in una prospettiva logica qualche appunto sugli strumenti
di comunicazione sociale come «via» per la conoscenza
di Maria. Si tratta di una materia complessa, ostica, che sarebbe
ingiusto e sbagliato affrontare in una prospettiva pessimistica,
ma che richiede uno sforzo singolare di analisi per adombrare qualche
sintesi soddisfacente. I mass media sono meravigliosi, come dice
il Concilio, ma ci aiutano a crescere dal punto di vista sociale,
culturale e spirituale soltanto se operano in tal senso i comunicatori,
cioè gli uomini che spingono i bottoni. E questi uomini della stanza
dei bottoni sono a loro volta il prodotto della società che abbiamo
inventato, della cultura che abbiamo prodotto, della spiritualità
che siamo stati in grado di far circolare tra gli esseri umani e
nelle comunità. D'altro canto, come ha ben insegnato pur tra qualche
incomprensione Marshall McLuhan, il mezzo è il messaggio, cioè la
comunicazione sociale non è soltanto la somma di alcuni strumenti.
Fa parte integrante della nostra vita e non è un corpo separato.
Cresce o decresce con noi, con le nostre inquietudini, con le nostre
speranze, con le nostre angosce di cittadini di un mondo impaurito
davanti all'imminente Duemila. È detto nella prima Enciclica di
Giovanni Paolo II, la Redemptor Hominis, che il cammino
della Chiesa è il cammino dell'uomo. Ebbene, è semplicistico ritenere
che sul cammino dell'uomo «incidano» in qualche modo
i mass media, oppure che i mass media accompagnino l'uomo in maniera
descrittiva, facendosi semplicemente interpreti, di volta in volta,
dei suoi desideri, delle sue tensioni, dei suoi turbamenti, magari
dei suoi silenzi esistenziali. In realtà gli strumenti della comunicazione
sociale sono oggi sempre più nettamente componenti essenziali e
vive del cammino dell'uomo. Il mondo dei mass media, in cui siamo
immersi quotidianamente, è in quanto tale un mondo diverso da quello
precedente l'avvento delle «meravigliose invenzioni».
La nostra realtà è questa, al di là di ogni semplificazione concettuale
di comodo, e con questa dobbiamo fare i conti.
Ecco perché la materia impone
uno sforzo di globalità senza il quale si rischia di restare non
solo fuori della porta della comunicazione, ma fuori della porta
del presente e del futuro. I mass media non sono né compensazione
evasiva né catarsi artistico-intellettuale. Sono parte di noi e
del nostro ambiente antropologico; sono la culla in cui si colloca
il nostro vissuto.
Tutto ciò va tenuto presente
come sfondo per una ricerca concreta sulle possibilità contingenti
dei mass media di essere «via» per la conoscenza di
Maria, e perciò per la conoscenza di quanto Maria rappresenta per
la nostra vita reale nel mondo e nella Chiesa. Bisogna cioè evitare
che la parola «via» venga usata in senso disgiuntivo,
come momento di contatto di ciò che precedentemente è separato.
I mass media sono dentro la nostra vita e la nostra vita si snoda
dentro i mass media. E il mistero mariano vivifica dall'interno,
a dispetto di ogni considerazione occasionale o superficiale, sia
l'una che gli altri.
Con questa premessa, l'esame
analitico può prendere il via dal cinematografo, che tra gli strumenti
di comunicazione sociale ha occupato nel nostro secolo, e continua
a occupare indipendentemente dal fatto che oggi viene prevalentemente
fruito attraverso il piccolo schermo televisivo, un ruolo preminente
sia per la vastità e la profondità dell'impegno culturale, sia per
la vastità stessa dell'uditorio. Il cinema, di Maria, si è occupato
in molte occasioni, fin dalla nascita, nel lontano scorcio del secolo
diciannovesimo. Lo ha fatto, naturalmente, in chiave cristologica,
cioè impegnandosi in un'attenzione alla Madonna ogni qual volta
affrontava la difficile tematica della vita di Cristo.
Siamo nell'alveo di quello
che qualcuno ha chiamato «cinema religioso», ma che
probabilmente sfugge a etichette di comodo. È molto illuminante,
in proposito, una dissertazione del critico francese Amédée Ayfre4
«sulla capacità del cinema di evocare un mondo veramente religioso
o più esattamente una dimensione veramente religiosa del nostro
mondo». Il cinema, dice Ayfre, si serve, per definizione,
di mezzi puramente umani: una storia, dei personaggi, luci, ombre,
per farci intravedere, indovinare quel mondo soprannaturale che,
ancora per definizione, oltrepassa l'uomo.
«Non si tratta, badate bene, semplicemente
di dirci a parole, o anche con immagini, come può farlo un predicatore
o un catechista, che un tale universo esiste. Non si tratta
semplicemente di farci comprendere intellettualmente le leggi
o le strutture di quel mondo soprannaturale, come può farlo
un trattato di filosofia. L'assunto è molto più delicato. Si
tratta di arrivare ad evocare veramente quel mondo, a realizzarlo,
a farlo per così dire esistere davanti a noi, in maniera concreta.
In altre parole, si tratta di farcelo credere. Intendo, di farcelo
credere esteticamente, e per tutto il tempo della durata della
proiezione. E, da questo punto di vista, credenti e non credenti
sono sullo stesso piano».
Uomini di lettere come Eschilo,
Racine, Greene e Claudel hanno saputo creare dei mondi
«la cui solidità, la cui coerenza, la
cui esistenza s'impongono a ogni lettore e ad ogni spettatore
suscettibile di un minimo di attività estetica. Il problema
che si pone per noi è sdi sapere se il cinema ha saputo creare,
con i mezzi di cui dispone, dei mondi tanto densi sul piano
religioso quanto quelli di Graham Greene o di Claudel e capaci
di imporsi, almeno esteticamente, a ogni spettatore in buona
fede».
In due parole: il cinema ha
anche lui le sue cattedrali? La risposta di Ayfre è piuttosto amara:
il miracolo non si produce. I personaggi non riescono ad apparirci
come «testimoni dell'invisibile». I mezzi sono troppo
esterni, troppo superficiali. Mancano di densità, di spessore per
essere capaci di evocare un mistero nascosto. Si fondano troppo
su ciò che si vede, su ciò che luccica, su concettini ed emozioni
facili per poter far prevedere qualcos'altro dietro di sé.
In realtà il cinema non è che
gioco di luce. Come tale, o si propone di fotografare la realtà
o cerca di aprire spazi alla fantasia. Nel primo caso, il soprannaturale
rimane tendenzialmente lontano, perché luci e ombre sono pur sempre
materia, cioè antitesi rispetto ad esso. Nel secondo caso, il gioco
non funziona per definizione, poiché la realtà soprannaturale è
pur sempre una realtà, e non è da confondersi con la fantasia.
Battaglia perduta in partenza,
dunque? Non completamente, sempre che alla comunicazione per immagini
non si affidino compiti esagerati o comunque al di là del potenziale
naturale dei mezzi. Ed ecco il mezzo cinematografico che, in poco
più di ottant'anni di vita, ci propone il Vangelo e anche il mistero
mariano con una ripetitività singolare, quasi che ogni esperienza
facesse salire uno scalino e ne facesse scendere un altro nello
stesso istante, offrendo nuove risposte alle possibilità espressive
del mezzo nel contesto esaminato e al contempo aprendo il varco
a nuovi interrogativi.
Il primo film ispirato al Vangelo
fu realizzato in Francia, nel 1897, per iniziativa di un religioso
dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Fratel Bazile, da un fotografo
- regista di nome Kirchner, detto Léar. Fu una forma di spettacolo
di derivazione settecentesca, i «quadri viventi». L'idea
di partenza era infatti quella di dare alla gente il «senso
del meraviglioso» come avevano fatto i pittori e i predicatori
del Settecento. Ma alle spalle c'erano anche le Sacre Rappresentazioni,
come quelle di Horitz e di Oberammergau. Praticamente, tutti i padri
del cinematografo si cimentarono in operazioni di questo tipo: Lumière,
Meliés, Gaumont, Pathé, Zecca; addirittura il nostro Fregoli. Maria,
in questi film, aveva la sua tradizionale collocazione pittorica.
Ne «La vita e la Passione di Gesù Cristo» di Ferdinando
Zecca (1902 - 1907), per esempio, compariva in nove dei venticinque
«quadri», come personaggio fisso ma non principale di
altrettanti episodi.
Maggior risalto al «personaggio
Maria» venne dato in film posteriori, come gli italiani Mater
Dolorosa (Caserini, 1912) e Alma Mater (1915), piuttosto
oleografici in verità nel loro rispetto della tradizione iconografica
corrente. «Anche figurativamente - scrive Angelo Lucano5
- essi si rifanno alle statue ricoperte di stoffe ricamate e
con candidi pizzi all'accollatura e ai polsi, numerose nelle chiese
fino dal 1700». II secondo di questi film, comunque, già a
suo modo adombrava una attualizzazione del personaggio speculando
sulla presa emotiva non indifferente sulle madri che soffrivano
per i loro figli impegnati al fronte nella prima guerra mondiale.
La filmografia di film ispirati
direttamente al Vangelo comprende Christus di Giulio Antamoro
(1914), I. N.R.1. di Robert Weine (1923), 1l Re dei Re di
Cecil De Mille (1927), Golgota di Julien Duvivier (1934), ancora
Il Re dei Re di Nicholas Ray (1961), La più grande storia
mai raccontata di George Stevens (1965). Ma i tre episodi più
significativi dal nostro punto di vista sono i recenti film: Il
Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini (1964), Il Messia
di Roberto Rossellini (1975) e Gesù di Nazareth di Franco
Zeffirelli (1977). Ciascuno a suo modo, costituiscono esempi di
uso diverso del mezzo cinematografico (televisivo) per comunicare
«il sacro». Ciascuno a suo modo, rappresentano anche
tre angolazioni differenti nella presentazione del personaggio di
Maria.
I risultati di queste operazioni
culturali sono fin troppo noti, perché le tre opere sono notissime
al pubblico. Riporteremo qui, a titolo indicativo, alcune parole
dei tre registi, che aiutano a capire quelle angolazioni. Scrive
Pasolini nella sceneggiatura del suo film:
«Maria è una giovinetta, ma lo sguardo
è profondamente adulto: vi brilla, vinto, il dolore. Il dolore
che si prova nel mondo contadino (l'ho visto in certe giovanette
friulane, durante la guerra: un dolore quasi precostituito,
uno stato in cui si entra fatalmente, perché si è umili). È
una giovinetta ebrea, bruna, naturalmente, proprio `del popolo',
come si dice; come se ne vedono a migliaia, con le loro vesti
scolorite, con i loro `colori della salute', il loro destino
a non essere altro che umiltà vivente. Tuttavia c'è in esse
qualcosa di regale: e per questo penso alla Madonna incinta
di Piero della Francesca a Sansepolcro: la madre-bambina. II
ventre leggermente gonfio, appuntito, per la miracolosa gravidanza,
dà a quella giovanetta che tace, col suo dolore, una grandezza
sacrale».
E ancora, più avanti, così Pasolini descrive un'altra sequenza
ambientata nella casa di Giuseppe:
«Maria col bambino che le succhia il seno.
Una maternità purissima, ma 'realistica'. Voglio dire che l'immagine
di Maria col Bambino è una di quelle che l'uomo conosce come
l'immagine iconografica, insieme a quella della crocifissione,
più tipica della sua vita; ma, in questa, non ci deve essere
nulla di agiografico o di aprioristicamente sacro. II realismo
consiste nel fatto che intorno alla Madonna ci sono gli oggetti
reali, e perciò stesso commoventi e infine sacri, della sua
reale vita di sposa povera».
Come si vede, preoccupazione
principale del regista era quella di evitare l'agiografia tradizionale,
ma rapportando la realtà di Maria a una visione parziale, popolana,
contadina: uno sforzo tenace di recupero di una realtà concreta
e tangibile di Maria, per reazione alle ripetute e successive idealizzazioni
che avevano rischiato di trasportarla in una sfera troppo lontana
dagli uomini. Non a caso, nelle scene del dolore, nella parte della
Madonna troviamo la mamma del regista, come riferimento diretto
alla concretezza di una condizione umana che si perpetua nel tempo.
Nel Messia di Rossellini,
la Madonna è sempre giovane, fino alla. fine del film. Egli diceva
infatti che non avrebbe mai sopportato l'idea di farla invecchiare
con il ridicolo trucco delle rughe:
«Che bisogno c'era? - diceva -. Maria
è Maria, e basta. Sta lì, è complice di Gesù sempre. Gli unici
due che sanno sono lei e Gesù».
In effetti, Rossellini, anche
se diceva di non essere credente, la sapeva più lunga di tanti altri,
e la raccontava più lunga. Maria non può invecchiare, Maria è sempre
giovane perché il «fiat» dura tutta la vita. E anche
perché gli occhi di Maria che guarda Gesù fra i dottori del tempio
o sul calvario sono in sostanza gli occhi nostri. Guardiamo attraverso
gli occhi di lei, attraverso l'umanità docile di lei. Ed è uno sguardo
che non può invecchiare, perché è lo sguardo pieno di speranza di
chi ha creduto e crede che la Croce non è una sconfitta.
Zeffirelli, infine, secondo
l'opinione certamente non sospetta di Gianni Baget-Bozzo «ha
riscoperto il culto mariano».
«Tutti hanno bisogno della fede - dichiarò
Zeffirelli in un'intervista a L'osservatore Romano -,
meno un personaggio solo, che è Maria. Maria sa, non ha bisogno
della fede. Tutta questa conoscenza e consapevolezza l'accompagna
sempre. Io, in tutta l'episodica evangelica, non ho voluto fare
una Maria disperata; neanche vicino alla Croce. Per quanto anche
visceralmente è una donna che ha sofferto molto nel suo dolore,
lei sa che colui che viene crocifisso è Dio. Ha questa sublime
consolazione. Nell'Annunciazione Maria è l'eletta fra le donne.
Lei risponde a un messaggio, a un invito misterioso. È lei a
comunicarci un fatto misterioso: ed è la notizia che riguarda
Elisabetta. Tu partorirai un figlio, e anche Elisabetta tua
cugina, nella sua vecchiaia, è in attesa di un figlio... Non
vi è limite al potere divino. Questa notizia mette tutti in
uno stato di estrema confusione, non perché dice di essere incinta,
ma perché sua cugina Elisabetta è incinta pur essendo vecchia.
È frutto della mano di Dio. È inquietante come messaggio...
Noi tutti moriremmo ridendo, allegramente, se avessimo la consapevolezza
di Maria, che sa. Noi al massimo abbiamo fede. E la fede ci
conforta sempre. Ma il sapere è qualcosa di più della fede...
E se non si capisce Maria, non si capisce nemmeno Cristo».
In pratica, Zeffirelli cerca
poi di risolvere l'antico dilemma del realismo non riduttivo rispettando
tutta la dimensione umana del personaggio fino a includere nella
sceneggiatura le doglie del parto, ma ricorrendo a magistrali acrobazie
cromatiche e scenografiche per arricchire esteticamente la descrizione
dell'ambiente in cui si collocò l'avventura umana e soprannaturale
della Madonna.
Il cinema, praticamente, è
arrivato fin qui. Altri noti registi si fermarono un passo prima,
come Dreyer, che scrisse una sceneggiatura tratta dal Vangelo
ma non riuscì a realizzare il film (ma il testo è stato ripreso
in teatro), e come Maurice Cloche, autore di Monsieur Vincent,
un film sulla vita di San Vincenzo de' Paoli; egli fu una volta
sollecitato da Don Milani a fare un film su Gesù. È interessante,
in proposito, rileggere una lettera che Don Milani scrisse a Cloche
in quell'occasione, in cui si parla, non marginalmente, del personaggio-
Maria.
«Si potrebbe presentare in scena Maria
- scrive il sacerdote di Barbiana 6.
Qualche episodio della sua vita di orfanella a Nazareth potrebbe
introdurci nell'ambiente ebraico: l'attesa del Cristo, la religiosità
profonda che pervade tutta la vita di questo piccolo popolo
d'altra parte così infelice, forse volgare, primitivo, urtante,
brutale per un'anima come Maria. Ma nello stesso tempo, la tristezza
dei peccatori senza speranza di perdono, dei paralitici senza
speranza di paradiso, qualche invocazione o forse imprecazione
al Cristo che non viene, faranno capire allo spettatore quanto
l'ora fosse matura, urgente la necessità della sua venuta».
Ancora una volta, dunque, sulla
pagina ma non sulla pellicola, l'idea di introdurre il personaggio
di Maria quasi «in soggettiva», in modo che lo spettatore
guardasse con gli occhi di lei, e magari pensasse con la mente disposta
come quella di lei. In realtà, la storia di questi episodi cinematografici
realizzati e non realizzati è appena la storia di tentativi, di
barlumi, di intuizioni. Una messe più abbondante si potrebbe ricavare
esaminando, all'interno della storia del cinema, momenti e occasioni
in cui sofferenze e certezze di Maria si intravvedono in trasparenza
in personaggi di donne comuni del nostro e di altri tempi. Ma anche
una selezione di questo tipo rischia di essere alquanto deludente,
se si pensa, in generale, alla dimensione piuttosto riduttiva della
donna offerta abitualmente dal cinematografo.
Il mezzo televisivo, come si
accennava, ha fatto e continua a fare la sua parte con strumenti
cinematografici. «Gesù di Nazareth», anche se di dimensioni
quantitativamente molto vaste, non è che un film, e come film ha
poi abbondantemente circolato nelle sale in un'edizione ridotta
di circa quattro ore. Parimenti, molti dei film sopra citati sono
trasmessi diverse volte sul video e proprio grazie al video (il
caso è tipico de Il Messia di Rossellini) hanno potuto raggiungere
una platea di milioni di persone.
Ma la televisione va considerata
anche e soprattutto come mezzo per la trasmissione diretta della
realtà del nostro tempo, come specchio della cronaca quotidiana.
E qui si innesta direttamente la testimonianza mariana recata con
tanta frequenza e con tanta intensità dal Santo Padre Giovanni Paolo
II, che fin dall'inizio del suo pontificato ha invitato assiduamente
l'umanità a guardare a Maria per giungere a Cristo, poiché egli
considera l'ottavo capitolo della costituzione conciliare Lumen
Gentium come la magna charta della mariologia per
la nostra epoca. Uno studio dell'Accademia Mariana Salesiana ha
contato, nel primo anno di pontificato di Papa Wojtyla, ben 288
interventi pubblici, quasi uno al giorno, sulla Madonna, e 284 nel
secondo anno. Nel suo percorso attraverso i continenti, il Papa
ha incluso e continua a includere sistematicamente i più noti e
i meno noti santuari mariani, e ogni volta la televisione ce ne
porta in casa le immagini, accompagnate dalla parola del Papa.
Un filo conduttore non occasionale
lega questi pellegrinaggi e questi interventi: l'affidare a Maria,
di volta in volta, le comunità, i popoli, le Chiese, e in particolare
quelli e quelle per cui la vita è più difficile e la sofferenza
è più grande. Uno dei primi discorsi televisivi del Santo Padre,
quello dell'8 dicembre 1978 in Santa Maria Maggiore, fu molto esplicito
sull'argomento:
«Il Papa desidera affidare la Chiesa in
modo particolare a Colei in cui si è compiuta la stupenda e
totale vittoria del bene sul male, dell'amore sull'odio, della
grazia sul peccato. Le affida se stesso, come servo dei servi,
e tutti coloro che egli serve, e tutti coloro che con lui servono».
Se Pio XII prediligeva la parola
«consacrare» e Paolo VI la parola «raccomandare»,
Giovanni Paolo II intende «affidare» a Maria la Chiesa
e gli uomini.
«Mi sembra il verbo più adatto - ha scritto
in proposito Lucas Moreira Neves su L'osservatore Romano
- a tradurre ciò che ritengo più originale nella preghiera di
Giovanni Paolo II, e cioè la consapevolezza delle sfide che
la Chiesa e l'umanità devono affrontare nel peculiare momento
storico che esse vivono, la consapevolezza parimenti delle possibilità
e speranze di cui sono cariche l'una e l'altra e il desiderio
di depositare questo tesoro (di affidarlo) nelle mani di una
Madre, capace di custodirlo».
Il più penetrante e diffuso
degli strumenti di comunicazione sociale, la televisione, si fa
canale di trasmissione di questa tensione permanente del Santo Padre,
e ci fa volgere il pensiero a Maria in una misura di eccezionale
concretezza, in rapporto cioè alle situazioni concrete di spazio
e di tempo in cui i popoli del mondo vivono e vengono visitati dal
Papa, in segno di sollecitudine pastorale e di condivisione diretta
delle loro angosce e delle loro speranze. «L'eterno amore
del Padre- è detto nella Redemptor Hominis - si avvicina
ad ognuno di noi per mezzo di questa Madre ed acquista in tal modo
segni più comprensibili ed accessibili a ciascun uomo. Di conseguenza,
Maria deve trovarsi su tutte le vie della vita quotidiana della
Chiesa», che sono poi le vie realistiche dell'uomo concreto
giunto alle soglie del Terzo Millennio, dell'uomo che vive e convive
con i mass media nei quali si amplificano le sue incertezze e le
sue paure, ma anche le sue sfide e le sue speranze.
Ci sarebbero da citare gli
altri mass media, a cominciare da quelle radio che, come la Radio
Vaticana, trasmettono sistematicamente il Rosario o dedicano alla
Madonna particolari cicli di conversazioni per il mese mariano.
Ma anche per la radio, al di là di queste manifestazioni dirette
di carattere devozionale e culturale, vale il discorso fatto per
la televisione sul significato della presenza costante di Maria
nella storia degli uomini, tanto più vivida quanto più i tempi sono
difficili, perché, come scrisse nel lontano 1931 dal Giappone San
Massimiliano Kolbe al Padre Guardiano della «Città dell'Immacolata»
polacca,
«conformarsi alla volontà dell'Immacolata
non vuol dire coprire con una vernicetta devozionale la pigrizia
umana, o divagare perdendo di vista la realtà, oppure adagiarsi
su una sorta di amaca di fatalismo paracristiano».
Il Santo aggiungeva che la
Volontà di Dio e la Volontà dell'Immacolata non sono la stessa cosa,
poiché «quest'ultima è la Volontà della misericordia di Dio
(e non della giustizia), della quale Ella è la personificazione».
Quanto ciò significhi per gli uomini del nostro tempo, è detto in
modo molto chiaro nell'Enciclica Dives in misericordia, che
completa e storicizza il messaggio contenuto nella Redemptor
Hominis.
La citazione di san Massimiliano
Kolbe fa venire alla mente il peso che ebbe ai suoi tempi, proprio
grazie a lui, la presenza di Maria nella stampa, con le eccezionali
tirature del «Cavaliere dell'Immacolata». In realtà,
anche oggi nel mondo sono diverse centinaia i piccoli bollettini
mariani in circolazione, di portata però quasi sempre appena devozionale,
mentre sulla cosiddetta «grande stampa» si stenta di
solito a riconoscere i segni del messaggio mariano all'umanità del
nostro tempo.
Tuttavia eventuali pessimismi
vanno corretti alla luce della considerazione di fondo su questi
strumenti, che non si sovrappongono dall'esterno sulla nostra vita
e sulla nostra storia, ma ne fanno parte integrante nella sostanza.
Non ha senso perciò demonizzarli o criminalizzarli, come non ha
senso esaltarli miracolisticamente come l'unico modo possibile di
trasformare la comunicazione in vera comunione. Forse è improprio
anche definirli come possibile «via» per la conoscenza
di Maria o di altre realtà soprannaturali. Fanno piuttosto parte
di una via più larga, che è semplicemente la via dell'uomo intesa
in tutta la sua concretezza e in tutta la sua instabilità. Certo,
cinema, televisione, radio, giornali e altri strumenti possono aiutare
e aiutano chi si pone con umiltà in stato di ricerca. E certo, nel
momento della ricerca, guardare a Maria è la fase più spontanea
e più naturale. «La sua maternità -disse Giovanni Paolo II
commentando nell'estate 1980 la rappresentazione a Castel Gandolfo
dell'Interrogatorio a Maria di Giovanni Testori - che l'
ha situata al centro della storia della salvezza ha condizionato
sostanzialmente il mistero dell'Incarnazione non solamente come
fatto storico ma anche come processo permanente, nel quale siamo
tutti coinvolti con la nostra vita umana, con il nostro destino,
tutti, ciascuno e anche tutto il cosmo, tutto il mondo visibile
di cui facciamo parte».
NOTE
1
CONC. VATICANO II, Decreto sui mezzi di
comunicazione sociale, n. 1
2
Ivi, n. 2.
3
Ivi, n. 24.
4
Vedi: Verità e mistero del cinema, ed. Paoline, 1971, pp.
201-207.
5
A. LUCANO, Cultura e religione nel cinema,
ERI, 1975.
6
Lettere di Don Lorenzo Milani, Mondadori, 1970.
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