Non è raro sentir dire che
«la Bibbia parla poco della Madonna». Effettivamente,
su circa 150.000 parole che compongono l'intero Nuovo Testamento,
i versetti riferiti (o riferibili) alla Madre di Gesú si aggirano
attorno a 150.
Tenendo conto di una successione
cronologica abbastanza accettata, ecco quali sono gli autori neotestamentari
che scrivono su Maria.
* PAOLO,
Lettera ai Galati 4,4 (l'epistola, per alcuni, è databile
a poco dopo il 49 d.C.; per altri tra il 53 e il 57).
* MARCO
(64 ca.), Vangelo: 3,20-21.31-35; 6,3.
* MATTEO
(verso il 70), Vangelo: 1,16.18-25 (cita Is 7,14); 2,11.13.14.20.21;
12,46-50. * LUCA
(70 ca.), Vangelo: 1.26-38.39-56; 2,1-52 (cita indirettamente
Mt 5,2 nei vv. 8-20); 8,19-21; 11,27-28; Atti degli Apostoli:
1,14.
* GIOVANNI
(tra il 90 e il 100), Vangelo: 1,13 (letto al singolare);
2,1-12; 6,42; 19,25-27; Apocalisse: 12,1-18 (echeggia Gen
3,15). L'intero libro ha notevoli contatti con la tradizione giovannea;
ma non è certo se ne sia autore Giovanni l'apostolo ed evangelista).
Tuttavia, limitarsi al solo
computo delle cifre sarebbe un criterio troppo meccanico e superficiale.
È assai più proficuo leggere questi versetti (anche se relativamente
scarsi) alla luce dell'Antico Testamento, della primitiva letteratura
giudaica che lo commenta e attualizza; poi di tutto il Nuovo Testamento,
con particolare attenzione alla sintesi dottrinale degli autori
che ci hanno trasmesso i passi mariani suelencati.
Tale era il metodo dei Padri
e degli Scrittori ecclesiastici. Oggi va ripreso, utilizzando le
copiose risorse messe a nostra disposizione dalle scienze teologiche
e umanistiche (ad es.: storia delle religioni, filologia, letterature
semitiche, archeologia, antropologia culturale...).
Per il nostro convegno, non
pretendo davvero mettere in pratica una grammatica tanto esigente,
se pur esemplare. Mi contento di offrire tre brevi saggi, che interessano
il vangelo di Luca: 1,26-28 (l'annunciazione); 2,34-35 (la profezia
di Simeone); 2,19.51b (la riflessione sapienziale di Maria).
Cercheremo di leggere questi
brani, tenendo conto (almeno per cenni essenziali) del criterio
globale delineato qui sopra.
I . L'ANNUNCIAZIONE A MARIA
Raramente, si dice, un genere
letterario è allo stato puro. Sovente, infatti, ad un genere predominante
sono frammisti scorci minori derivati da altri generi. Il tutto
che ne risulta, pur qualificandosi secondo un determinato schema
di fondo, appare in definitiva di natura composita. Questo
rilievo vale anche per l'annunciazione dell'angelo a Maria (Lc 1,26-38).
Si tratta di un quadro riccamente elaborato. Vi sono tracce del
genere letterario degli «annunci»1;
molti autori sono propensi a riconoscere nelle parole dell'angelo
l'eco degli oracoli che i profeti indirizzavano alla «figlia
di Sion»2; vi confluiscono
reminiscenze di testi messianici3...
E così via.
Presa tuttavia da un estremo
all'altro -cioè dal v. 26: «... l'angelo Gabriele fu mandato
da Dio...» al v. 38b: «E l'angelo partì da lei»
- la scena è stilata secondo un genere letterario di alleanza, all'interno
del quale sono organizzati vari segmenti mutuati da altre forme.
Questo, mi sembra, è il genere più comprensivo, sotteso alla narrazione
nel suo insieme.
A. Ratifica dell'Alleanza
al Sinai e sue rinnovazioni susseguenti
Il suggerimento per la proposizione
della tesi enunciata sopra4,
viene dall'Antico Testamento. Percorrendo quei libri, risulta che
vi sono undici brani circa in cui tutto il popolo d'Israele promette
obbedienza a Iahvè, suo Signore, nella stipulazione del patto ai
piedi del monte Sinai, oppure quando il patto o qualcuno dei suoi
impegni maggiori veniva rinnovato. La legge di Mosè è sempre il
termine di riferimento attorno al quale si esercita l'obbedienza-servizio
del popolo eletto.
In questa categoria di testi,
almeno due elementi sono costanti: il discorso del mediatore e la
risposta del popolo.
1. Il discorso del mediatore
A seconda delle circostanze,
il mediatore può essere un profeta5,
un re6, un capo del popolo7,
un sacerdote8. In quanto
messaggero di Iahvè, egli sta fra Dio e i suoi fratelli (cfr Dt
5,5), per annunciare loro qual è la volontà divina in questa o quella
contingenza. Ma non è affatto un portavoce neutro. Al contrario,
egli fa sue, per primo ed esemplarmente, le istanze di colui che
rappresenta9.
Il mediatore, di solito, ricorda
i benefici concessi da Dio al suo popolo. Parlando in questo modo,
egli cerca di illuminare la mente dei fratelli, perché siano in
grado di comprendere nei giusti termini la volontà del Signore,
espressa nella legge di Mosè. Solo così potranno esprimere un atto
di fede intelligente e consapevole.
Attraverso il ministero del
mediatore, Dio propone ma non impone. Se Dio ha creato liberi i
suoi figli, egli - più di ogni altro - ne rispetta la libertà.
2. La risposta del popolo
Dopo che il mediatore ha istruito
l'assemblea di Israele circa il progetto di Dio, il popolo dichiara
unanime il proprio assenso con formule differenziate quanto ai termini,
ma identiche nel contenuto. Ad esempio: «Quanto il Signore
ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo»10;
oppure: «Noi serviremo il Signore Dio nostro e obbediremo
alla sua voce»11;
o anche: «Faremo come tu dici»12,
cioè secondo la parola del mediatore, che è poi quella di Dio stesso.
La risposta del popolo è di
grande importanza, perché la relazione che Dio vuole stabilire con
Israele è di natura dialogica. Dio chiama e l'uomo risponde. Se
l'uomo declina l'offerta divina, il dialogo è rotto. Dio non può
agire finché l'uomo non si converte.
Nelle pagine dell'Antico Testamento,
dicevamo, s'incontrano perlomeno undici brani in cui si adopera
il suddetto schema letterario, nella sua articolazione binaria (discorso
del mediatore -risposta del popolo). Essi riguardano la ratifica
dell'alleanza fra lahvè e Israele al monte Sinai13,
oppure il rinnovamento degli impegni che essa comportava 14.
Vediamone due, a titolo di esempio.
Al Sinai, Mosè è chiamato
dal Signore sulla vetta del monte. Ricevuto l'oracolo da parte di
lahvè, egli «... venne, chiamò gli anziani del popolo ed espose
loro quello che il Signore gli aveva ordinato. Allora tutto il popolo
rispose unanime e disse: «Tutto quello che Iahvè ha detto,
noi lo faremo» (Es 19,3-6. 7-8). La risposta del popolo, provocata
dal discorso di Mosè, è ripetuta per ben tre volte nel racconto
della teofania sinaitica (Es 19,8; 24,3.7).
A Sichem, quando Giosuè radunò
tutte le tribù presso il santuario locale per rinnovare l'alleanza,
prima ricorda gli interventi di Dio in favore del suo popolo (Gs
24,1-13). Quindi esorta le tribù a confermare la propria volontà
di servire il Signore, con sincerità e fedeltà (vv. 14.15). Il popolo
acclama prontamente: «Lungi da noi l'abbandonare il Signore,
per servire divinità straniere!» (v. 16).
Non contento di questo primo
assenso, Giosuè obietta: «Voi non potete servire il Signore,
poiché egli è un Dio santo, un Dio assai geloso, che non sopporterà
le vostre prevaricazioni, né i vostri peccati» (v. 19). Ma
il popolo, stavolta ancora più consapevole, esclama: «Non
sia mai! ... Noi serviremo il Signore Dio nostro e obbediremo alla
sua voce» (vv. 21.24).
Come si può rilevare anche
da questi soli due esempi, la frase «quanto Iahvè ha detto,
noi lo faremo», è innanzitutto una professione di fede incondizionata,
emessa dall'intero popolo d'Israele ai piedi del Sinai. Il dono
della legge fu reso possibile da quell'assenso totale alla volontà
di Dio. Questa solenne promessa
di fedeltà (nelle sue differenti espressioni ricordate sopra) veniva
ripetuta ogni volta che il popolo rinnovava l'alleanza come tale
o qualcuna delle sue clausole di fondo. Quelle parole - commenta
già Dt 5,27-29 - meritarono la compiacenza di Dio stesso: «Ho
udito le parole che questo popolo ti ha rivolto: quanto hanno detto
va bene. Oh, se avessero sempre un tal cuore, da temermi e da osservare
tutti i miei comandi, per essere felici loro e i loro figli, per
sempre».
Non solo. Dobbiamo inoltre
osservare che la risposta riferita in Es 19,8 e 24,3.7 («Tutto
quello che il Signore ha detto, lo faremo e lo ascolteremo»),
è celebrata da Filone15,
dal Targum16, dagli scritti
di Qumran17, e - con
singolare frequenza - da tutta la letteratura rabbinica18.
Era quello il «sì» della Sposa (Israele) allo Sposo
(Iahvè). Si comprende, pertanto, come la comunità del popolo eletto
ne conservasse memoria vigile nello scrigno delle sue meditazioni
sapienziali.
B. L'annuncio a Maria, aurora della nuova Alleanza
Sulla falsariga di questi modelli
veterotestamentari, credo, va letto l'episodio dell'annunciazione
a Maria. Esso riflette il formulario del rituale dell'alleanza,
secondo i due momenti descritti sopra.
1. Gabriele, il mediatore
del messaggio
Il mediatore, stavolta, è l'angelo
Gabriele, che entra in scena come l'inviato di Dio (Lc 1,26). Anch'egli,
per così dire, pronuncia un «discorso», in cui si fa
portavoce del piano divino. Maria è invitata all'esultanza, perché
il Signore ha posato lo sguardo su di lei (v. 28). La «grazia»
(cioè la missione) cui la chiama è questa: dare alla luce un figlio,
al quale porrà nome Gesù (vv. 30-31). «Egli - prosegue l'angelo
- sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore
Dio darà a lui il trono di Davide suo padre, e regnerà sulla casa
di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (vv. 32-33).
In questo piccolo «credo»
cristologico è compendiato il contenuto essenziale del messaggio
celeste, che è un messaggio di alleanza. Difatti l'angelo offre
a Maria, quale segno dell'onnipotenza divina, il concepimento di
Giovanni da parte di Elisabetta (1, 36). E quando Giovanni è circonciso,
Zaccaria dice che il Signore, nella sua misericordia, si è ricordato
del «suo patto santo» (1,72), del giuramento, cioè,
fatto ad Abramo e alla sua discendenza, ai padri del popolo eletto
(1,73.55). Tale promessa si
attua nell'ambito della dinastia regale di Davide, secondo la profezia
di Natan, così chiaramente echeggiata nelle parole dell'angelo19.
Il nascituro, avendo come padre legale Giuseppe, un discendente
della casa di Davide (v. 27), sarà anch'egli figlio di Davide, erediterà
anzi per sempre il trono di lui e regnerà senza fine nella casa
di Giacobbe (vv. 32-33). Attraverso questa salvezza potente accordata
alla casa di Davide, Dio opera la redenzione del suo popolo (1,68-69),
soccorre tutto Israele, suo servitore (1,54).
Ecco, dunque, ciò che Dio intende
fare. L'alleanza sancita coi padri, avrà il compimento definitivo
nella persona e nell'opera di Gesù.
Maria, da creatura libera e
sapiente nella sua fede, muove un'obiezione: «Come avverrà
questo, poiché non conosco uomo?» (v. 34). E l'angelo, a questo
punto, espleta uno dei compiti che spettavano ai mediatori dell'alleanza,
quello cioè di illuminare i contraenti umani del patto, perché la
loro adesione fosse consapevole: «Lo Spirito Santo scenderà
su di te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà. Perciò il bambino
che nascerà sarà Santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta,
tua parente, anch'essa ha concepito un figlio nella sua vecchiaia,
ed è questo il sesto mese per lei, che era detta sterile, poiché
nulla è impossibile a Dio» (vv. 35-37).
Con tali parole, l'angelo ha
esaurito il suo ufficio di rivelatore del disegno divino.
2. La risposta di Maria
Ora si attende che la vergine
si pronunci. Lei è la persona chiamata a collaborare per l'attuazione
di simile progetto. Maria risponde: «Ecco la serva del Signore.
Avvenga di me secondo la tua parola» (v. 38a). E l'evangelista
dà l'ultimo tocco al quadro, dicendo che l'angelo si partì da lei
(v. 38b), quasi per recare a Dio l'accettazione di Maria, allo stesso
modo che Mosè riferiva a Iahvè la risposta del popolo (Es 19,8.9).
Alla luce dell'inchiesta condotta
sopra, siamo in grado di riconoscere la matrice originaria del «fiat»
di Maria. Esso trova l'equivalente nelle parole di fede con le quali
il popolo di Dio, in risposta al discorso del mediatore, dava il
proprio consenso al patto sinaitico oppure alle successive rinnovazioni
periodiche del medesimo. Siccome il mediatore era il portavoce della
volontà di Dio, era praticamente la stessa cosa impegnarsi ad obbedire
a lahvè20, o a quanto
diceva il mediatore21.
E così Maria acconsente alla parola dell'angelo, in quanto latore
di un messaggio che veniva da Dio.
Giunti a questo punto nodale
della storia della salvezza, non è più l'assemblea del popolo
eletto ad essere interpellata in ordine all'alleanza. È, invece,
una persona individua, la vergine di Nazaret, nel cui grembo
Dio ha stabilito di rivestire la nostra carne, quale segno iniziale
della nuova ed eterna alleanza. E la risposta di fede che era tipica
del popolo d'Israele in ordine all'alleanza con lahvè, è ora trasposta
sulle labbra di Maria.
* * *
Sostituendo Maria
ad Israele, l'evangelista vuol dirci che Israele si concentra in
Maria. Posando lo sguardo sulla povertà della vergine (Lc 1,48)
e operando in lei grandi cose (1,49) 22,
Dio gratifica Israele, secondo la promessa fatta ai padri del popolo
eletto, Abramo e la sua
discendenza (1,55).
Maria-Israele-Abramo; Abramo-Israele-Maria:
ecco i legami organici della vergine col suo popolo. Se Abramo è
la personificazione originale della nazione che da lui discende,
Maria ne rappresenta la personificazione escatologica23.
Questa «donna» sintetizza il popolo d'Israele in cammino
verso il Cristo redentore. Realmente ella è «figlia di Sion».
II. LA PROFEZIA DI SIMEONE
Quando Giuseppe e Maria presentarono
il Bambino al tempio di Gerusalemme, Simeone li benedisse, e quindi,
sotto l'impulso dello spirito profetico, si rivolgeva alla Vergine
con queste gravi parole: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione
di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati
i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima»
(Lc 2,34-35). Prima di venire
a una disamina immediata di tale profezia, ascoltiamo altre voci
della tradizione neotestamentaria che si accordano con Lc 2,34-35
nel presentare Gesù come uno che provoca divisione, che suscita
consensi e rifiuto.
Sembra di udire negli accenti
di Simeone quanto diceva Is 8,14: «Egli [ = il Signore degli
eserciti] sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere
per le due case d'Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in
Gerusalemme» (cfr anche 1 Pt 2,6-8 e 1 Cor 1,23-24).
La realtà è che Gesù non fu
un qualunquista che desse ragione a tutti; le sue parole e i suoi
gesti obbligavano a delle scelte precise, pro o contro di lui.
Matteo pone queste parole sulle
labbra di Gesù: «Non crediate che io sia venuto a portare
pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.
Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla
madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli
della sua casa» (Mt 10, 34-36).
La predicazione di Cristo -
annota Giovanni per ben tre volte (7,43; 9,16; 10,19) - era motivo
di «scisma» fra la gente, poiché dava luogo a pareri
discordi circa la sua Persona. Gesù medesimo (secondo Gv 9,39) lo
riconosce senza mezzi termini, là dove afferma: «Io sono venuto
in questo mondo perché si operi una divisione: affinché coloro
che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi».
L'elemento discriminante di questo giudizio è il Cristo-Luce, è
la sua parola che rivela il Padre (Gv 12,44-50). Essa scruta i cuori:
«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla
luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità
viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono
state fatte in Dio» (Gv 3,20-21).
L'autore della lettera agli
Ebrei (12,3) definisce la morte di Gesù come una «contraddizione»
che i peccatori hanno riversato contro di lui. Israele - commenta
Paolo, citando Is 65,2 - è stato «... un popolo disobbediente
e ribelle» (Rom 10,21).
Venendo poi a Luca, ricordiamo
in primo luogo l'aforisma di Gesù: «Chi non è con me, è contro
di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23). Passando
inoltre al libro degli Atti, ci è presentata una chiesa che sperimenta
la contraddizione già patita dal suo Signore. A Iconio, dopo la
predicazione di Paolo e Barnaba confortata da segni e prodigi (At
14,1-3), «... la popolazione della città si divise,
schierandosi gli uni dalla parte dei Giudei, gli altri dalla parte
degli apostoli» (v. 4). E verso la fine del libro, Luca fa
dire agli ebrei convocati da Paolo: «Di questa setta [ = il
cristianesimo] sappiamo che trova dovunque opposizione»
(28,22: «pantachoû antiléghetai»).
Dal complesso di queste citazioni
si deduce che gli evangelisti e la tradizione paolina, pur nella
differenza dei termini usati, convengono nella sostanza. Il vangelo
di Gesù, quale soffio carezzevole e impetuoso al tempo stesso, scuote
l'uomo dal di dentro, lo provoca a dichiararsi. Si, inquietudine
salutare è la fede!
Lc 2,34-35a recepisce il tema
delineato da questo rapido giro d'orizzonte sul NT. Lo accoglie,
anticipandolo all'infanzia di Gesù, mediante l'oracolo di Simeone,
il santo vegliardo del tempio. Esso ha due aspetti: l'uno riguarda
il popolo d'Israele, l'altro Maria. Vediamoli singolarmente.
1. Israele di fronte a
Cristo
Nei riguardi di «tutti»
i membri del popolo eletto (tale, a norma di filologia biblica,
è il senso di «molti» nel v. 34), Gesù è destinato ad
essere causa di «caduta e resurrezione». Con questo
binomio antitetico, Simeone profetizza quale sarà l'esito complessivo
della missione di Gesù. Per quelli che lo respingono, per coloro
cioè che credono di reggersi, di stare in piedi fidandosi delle
proprie sicurezze (cfr Lc 14,9), egli sarà pietra di inciampo: vedi,
ad es., gli scribi e i farisei, orgogliosi della loro scienza (Lc
11,52-54); il fariseo della parabola (Lc 14,9-13.14b); gli invitati
a nozze, che declinano di prendervi parte perché intenti ad altri
interessi (Lc 14,16-21a-b.24)... Invece, Cristo sarà occasione di
salvezza per quanti si trovano in uno stato di miseria, di peccato,
e accolgono la sua parola: vedi, allora, il pubblicano (Lc 14,13-14);
Zaccheo (Lc 19,2-10); i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi
che subentrano ai primi chiamati al convito nuziale (Lc 14,21-23)...
Oltre all'accoglienza, quindi,
Gesù conoscerà l'amarezza e la tragedia del ripudio: sarà un «segno
di contraddizione», dice Simeone.
«Segno», anzitutto:
infatti nella sua Persona Dio si rende manifesto e vicino al suo
popolo (cfr Lc 1,68; 7,16), specialmente nella grande rivelazione
pasquale: «Come Gloria fu un segno per i Niniviti,
così anche il Figlio dell'Uomo lo sarà per questa generazione»
(Lc 11,30).
Ma «di contraddizione»:
oggetto, cioè, di rifiuto da parte di Gerusalemme e dell'ebraismo
ufficiale, che non ha riconosciuto il tempo della visita di Dio
(cfr Lc 19,44b-47; 20,9-18...). È, dunque, un sentiero irto di spine
quello che si profila per Gesù.
«... Perché siano svelati
i pensieri di molti cuori», soggiunge il santo profeta. La
presenza di Cristo avrà questo effetto: rivelare quali siano le
attese di tutti a suo riguardo; chi lo accoglie e chi lo respinge.
Il termine «pensieri» (greco dialoghismoí è ancora
generico, senza qualifica positiva o negativa. Occorre un aggettivo,
oppure il contesto, per determinare se si tratti di intenzioni rette
o biasimevoli (cfr Lc 5,22; 6,8; 9,46.47; 24,38; poi Mc 7,21; Mt
15,19; Gc 2,4...).
In Lc 2,35, il sostantivo suindicato
sembra avere una funzione bivalente: designa, cioè, i diversi atteggiamenti,
favorevoli od ostili, di fronte a Cristo. Ci ricolleghiamo così
al v. 34, ove si dice che Gesù è motivo sia di «caduta»
che di «risurrezione».
2. L'anima di Maria, trafitta
da una spada
La persona e il messaggio di
Gesù, dicevamo, opera un discernimento in seno ad Israele. Ma quanto
avviene di Israele come popolo, ha una ripercussione in Maria come
persona: «... anche a te una spada trafiggerà l'anima»
(Lc 2,35a).
Come già nel «Magnificat»
si aveva un passaggio dall'individuale ( = Maria; Lc 1,46-49) al
collettivo ( = Israele; Lc 1,54), allo stesso modo vi è qui un'alternanza
fra una comunità (Israele) e una persona singola (Maria). II che
è sufficiente per concludere che anche in questo brano Luca associa
la Vergine al suo popolo: ella è «figlia di Sion».
Resta ora da chiedersi quale
sia il significato più pertinente del termine «spada».
Percorrendo la letteratura
biblico-giudaica, si rileva che la «spada» è uno dei
simboli più frequenti per designare la Parola di Dio. Nell'AT
si hanno due casi (Is 49,2 e Sap 18,15). Lo stesso tipo di simbolismo
ricorre spesso nei commenti giudaici ai testi biblici. Anche il
NT, per sette volte, eredita questo linguaggio: la Parola di Dio,
che si identifica adesso con la Parola di Gesù, è paragonata ad
una spada acuta, a doppio taglio. Le referenze più copiose sono
offerte dall'Apocalisse (1,16: «. . . dalla bocca gli
usciva una spada affilata a doppio taglio»; 2,12.16;
19,15.21). Poi la lettera agli Efesini (6,17: «... prendete
anche... la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio»).
Speciale attenzione va riservata a Eb 4,12: «Infatti la parola
di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio;
essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito,
delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri
del cuore».
Si noterà facilmente la forte
analogia che passa tra Le 2,35 ed Eb 4,12. Nell'uno come nell'altro
brano si parla di «spada» che «penetra l'anima»
e «rivela - scruta i pensieri del cuore». Tale richiamo
non sfuggiva, per es., a s. Ambrogio24.
Premessa questa equazione simbolica
«spada» = «Parola di Dio», si affaccia l'ipotesi
che la spada cui accenna Simeone sia figura della Parola di Dio,
quale si esprime nell'insegnamento di Gesù.
In effetti, questa decodificazione
del simbolo «spada» si armonizza bene col contesto precedente.
Poco prima, Simeone aveva celebrato Gesù come luce delle genti e
gloria d'Israele (v. 32). Le sue parole fanno eco ai carmi isaiani
del Servo di Iahvè (Is 42,6; 49,6). Ora, proprio uno dei suddetti
carmi (49,2) presenta il Servo di Iahvè come un profeta della cui
bocca Dio ha fatto una spada affilata. L'immagine, abbiamo visto,
sarà ripresa più volte, con riferimento a Cristo, dall'Apocalisse
(1,16; 2,12.16; 19,15.21). Ma anche Simeone, preconizzando in Gesù
il Servo di Iahvè per eccellenza, sembra voler dire che la parola
di Lui è simile ad una spada.
Scegliendo questo indirizzo
di esegesi (che, lungi dall'escludere gli altri, può felicemente
integrarli), 1' immagine di Maria sarebbe quella di una credente
che, al pari di tutto Israele suo popolo, dovrà confrontarsi con
la Parola del Figlio, misticamente simboleggiata dalla «spada».
La sua anima ne sarà profondamente penetrata. Sempre dal terzo vangelo
apprendiamo infatti che lei accoglieva e custodiva eventi e parole
di Gesù (Lc 2,19. 51b; cfr 8,19-21 e 11, 27-28). Con indole sapienziale
si studiava di sondarne la portata, anche quando le procuravano
sofferenza e non ne capiva il senso (Lc 2,48-51b).
Maria, dunque, fece sì che
i suoi pensieri fossero rischiarati e giudicati dalla luce di quella
Parola, e vi si adeguava con crescita costante. Ciò comportava per
lei gaudio e dolore. Gaudio: nel vedere i frutti copiosi che il
seme della parola evangelica produceva in se stessa e in quanti
1'accoghevano in un cuore «buono e perfetto» (cfr Lc
8,15). Dolore: allorquando, angosciata, cerca Gesù a Gerusalemme
e non ne comprende la risposta: «'Perché mi cercavate? Non
sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?'. Ma essi
non compresero le sue parole» (Lc 2,49-50). Conservando in
cuor suo anche l'enigma di quella frase, ella «... avanza]
nella peregrinazione della fede» (Lumen Gentium,
58), non senza oscurità e prove. Ma il colmo dell'afflizione inondò
il suo spirito quando vide il Figlio ripudiato e crocifisso. Obbedire
alla volontà del Padre (lei, la madre del suppliziato!), rimanere
fedele alle parole del Figlio soprattutto in quel momento di tenebra:
ecco il sommo della trasfissione che questa Parola produsse nelle
fibre di Maria.
Secondo questa esegesi, non
sarebbe lecito pertanto restringere alla sola compassione della
Vergine accanto alla croce la profezia di Simeone. Essa, piuttosto,
abbraccia tutto l'arco della sua missione di Madre del Redentore,
e particolarmente il dramma del Calvario. Non diceva forse Gesù:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua»- (Lc 9,23).
Contemplata in questa dimensione,
Maria, oltreché «madre», ci é anche «sorella»
nel condividere la gioiosa fatica del credere.
III. «E SUA MADRE CONSERVAVA
TUTTE QUESTE COSE NEL SUO CUORE» (Lc 2 , 51 b; cfr 2 ,19)
Così Luca testimonia della
meditazione di Maria, rivelandoci in tal modo l'indole «sapienziale»
della figura di lei.
Lungo tutto l'AT, infatti,
si fa obbligo al popolo eletto di ricordare e meditare nel proprio
cuore quanto Dio ha fatto in suo favore: «Guardati e guardati
bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti
sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai
anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Ricordati... interroga
i tempi antichi... Guardatevi dal dimenticare l'Alleanza del Signore
vostro Dio...» (Dt 4,9-10.23.32).
1. «Memoria»
e «Sapienza»
La tradizione biblica definisce
come esercizio «sapienziale» quello di «ricordare»,
«custodire nel cuore» gli interventi molteplici che
il Signore ha operato per salvare il suo popolo in ogni tempo, e
gli ammaestramenti normativi che da essi derivano.
Prendiamo il salmo 107. Prima
vi sono elencati numerosi prodigi coi quali Yahwéh ha protetto Israele
in diverse circostanze (vv. 1-42). E al termine - riprendendo un
motivo di Os 14,10 - dichiara «sapiente» chi «custodisce
il ricordo» di questi eventi di grazia, i quali fanno comprendere
la bontà del Signore (v. 43).
Il Siracide dà prova di questa
sapienza. Fra l'altro, egli rievoca luci e ombre della storia dei
padri d'Israele, da Enoch fino al sommo sacerdote Simone (Eccli
44,1-50,21). Questa memoria degli antenati del popolo eletto esprime
quella sapienza del cuore che il Siracide ha voluto condensare nel
suo libro, per riversarla come pioggia (50,27). E beato colui che,
seguendo tale esempio, medita queste cose: «fissandole bene
nel cuorev, diventerà «saggio» (50,28).
Giuditta è presentata come
un modello ben riuscito di questa spiritualità. Parlando ai suoi
fratelli mentre Oloferne è alle porte, ella - fra le altre cose
- li esorta a «ricordare» le prove che il Signore fece
passare ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Gdt 8,26). E Ozia le rispose:
«Quanto hai detto, l'hai proferito con cuore retto e nessuno
può contraddire alle tue parole. Poiché non da oggi soltanto è manifesta
la tua sapienza, ma dall'inizio dei tuoi giorni tutto il
popolo conosce anche la tua prudenza, così come l'ottima indole
del tuo cuore» (v. 29).
Tale si rivela anche lo scriba,
il quale, stando sempre a contatto coi Libri Sacri in virtù della
sua professione, «.. . medita la legge dell'Altissimo, indaga
la sapienza di tutti gli antichi, si dedica allo studio delle profezie...
sarà ricolmato dello spirito di intelligenza, come pioggia effonderà
parole di sapienza».
2. «Ricordare» tutta la storia salvifica
Il memoriale cui deve applicarsi
la contemplazione di Israele, come popolo sapiente, comprende la
sua storia tutta quanta: i giorni del tempo antico (Dt 32,7a; 4,32a);
gli anni lontani (Dt 32,7b); i tempi passati, fin dall'inizio (Sal
78,2; Is 46,9), dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra (Dt
4,32b).
Da queste enunciazioni complessive,
i testi scendono a determinazioni più puntuali. Israele dovrà custodire
nel cuore fatti quali: l'alleanza dei Patriarchi (Sal 105,12-15);
la storia di Giuseppe (Sal 105,16-23); la schiavitù in Egitto (Sal
105,24-25; Dt 5,15; 15,15; 24,18.20c nei LXX.22); la liberazione
del primo esodo, quello egiziano, con tutte le meraviglie che lo
punteggiarono (Sal 105,26-39; Dt 4,32-34; 5,15; 15,15; 24,18); la
teofania del Sinai (Dt 4,10-19.32.36); l'itinerario compiuto dall'Egitto
in Palestina, fino all'elezione di Davide (Sal 78,12-72); i quarant'anni
nel deserto (Dt 8,2); le quaglie, la manna, l'acqua (Sal 105,40-42);
l'episodio di Beelfegor (Dt 4,3); i fatti di Balak, Balam e quelli
avvenuti da Sittim a Galgala (Mi 6,5); l'installazione in Palestina
(Sal 105,44-45; Dt 4,38); i peccati commessi dal giorno in cui Israele
lasciò l'Egitto fino all'arrivo in Palestina (Dt 9,7), e poi quelli
che causarono l'esilio (Ez 20,43; 36,31; Bar 2,33).
Ciascuna di queste memorie
ha sempre uno scopo attualizzante. Non si tratta di una reminiscenza
astratta. È piuttosto la rilettura del passato in funzione del presente.
Stimolata dalle contingenze del proprio tempo, la riflessione sulle
fasi trascorse della storia santa scopre insegnamenti nuovi nei
fatti antichi. Tutto scaturisce da questa convinzione: ciò che il
Signore ha operato in passato per i suoi eletti, è garanzia che
egli farà altrettanto nelle circostanze presenti e in quelle future,
poiché immutabile è il suo amore. Filone ( + 45 ca.d.C.) aveva ragione
di scrivere: «La fede nell'avvenire proviene da quanto si
verificò nei tempi che furono»25
.
L'anamnesi permanente dei fatti
salvifici fa sì che il popolo conosca meglio chi è il suo Dio e,
di conseguenza, che si converta ai suoi comandamenti. Per esempio:
dalle vicende occorse nei quarant'anni del deserto, Israele potrà
effettivamente riconoscere che Dio lo corregge come un padre (Dt
8,2.5), di cui bisognerà imitare la misericordia. Difatti, come
il Signore è stato compassionevole con Israele riscattandolo dalla
servitù del Faraone, così Israele dovrà a sua volta nutrire sentimenti
benigni verso lo schiavo, il forestiero, l'orfano, la vedova (Dt
5,14-15; 15,12-15; 24,17-22). Perfino il ricordo delle tante infedeltà
verso il Signore può ravvivare la fede nel suo dono gratuito e preveniente:
egli ama per primo, per pura grazia, e non per i nostri meriti (Dt
9,7.4-6; Mi 6,3-4.5; Ez 20,43-44; 36,31-32).
Israele, dunque, diviene il
popolo dell'«ascolto», della «memoria».
Ritenere nel cuore gli avvenimenti della storia salvifica, «ascoltare-accogliere»
i comandi, le leggi e le norme che il Signore ha dato rivelandosi
in quei fatti, è questione di vita per lui. Lì sta la sua «sapienza».
3. «Ricordare»
i fatti salvifici soprattutto nell'ora della prova
Nell'AT, in particolare nei
libri più tardivi, e nel giudaismo contemporaneo al NT, troviamo
numerosi passi che documentano il modo col quale il popolo eletto
alimentava la propria fede nei momenti di grave tribolazione, individuale
e collettiva. In queste circostanze, apparentemente senza via d'uscita,
la fede di Israele si volge al passato, per ricordare le tante liberazioni
che Dio ha concesso ai Padri (Sal 22,5-6), nei tempi antichi (Sal
44,2; 77,6.12; 143,5; Is 63,11), nelle generazioni passate, fin
dall'eternità (Eccli 2,10; 51,8; 1 Mac 2,61).
In capo a tutto, sta sempre
la memoria dell'esodo egiziano, archetipo di tutte le successive
redenzioni d'Israele. Leggiamo bene Dt 7,17-19: «Forse penserai:
queste nazioni sono più numerose di me; come potrò scacciarle? Non
temerle! Ricordati di tutto quello che il Signore tuo Dio
fece al Faraone e a tutti gli Egiziani; ricordati delle grandi
prove che hai visto con gli occhi, dei segni, dei prodigi, della
mano potente, del braccio teso, con cui il Signore tuo Dio ti
ha fatto uscire: così farà il Signore tuo Dio a tutti
i popoli, dei quali hai timore».
Dalla memoria dei fatti, si
passa quindi alla memoria dei Padri, cioè delle persone che ne furono
protagonisti. Il Signore li sottopose a molte prove, ma furono da
lui salvati e glorificati, in premio della loro costanza nella fede.
Dice il Sal 22,5-6 (è il salmo che Gesù pregò in croce): «In
te hanno sperato i nostri Padri, hanno sperato e tu li hai liberati;
a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi».
Ecco, allora, i nomi di: Abele
(IV Mac 18,11; Eb 11,4), Enoc e Noè (Eb 11,5-7), Abramo (Gdt 8,26;
1 Mac 2,52; IV Mac 16,20; Eb 11,8-10.17-19), Sara (Eb 11,11-12),
Isacco (Gdt 8,26; IV Mac 16,20; 18,11; Eb 11,20), Giacobbe (Gdt
8,26; Eb 11,21), Giuseppe (1 Mac 2,53; IV Mac 18,11;~b 11,22), Mosè
(Eb 11,23-28), Giosuè (1 Mac 2,25), Gedeone, Barak, Sansone, Iefte,
Samuele, i profeti (Eb 11,32), Caleb (1 Mac 2,50), Pinecas (1 Mac
2,54; IV Mac 18,12), Elia (1 Mac 2,58), Davide (1 Mac 2,57; 4,30;
Eb 11,32), Gionata (1 Mac 4,30), Daniele (1 Mac 2,60; IV Mac 16,21;
18,13), Anania, Azaria, Misaele (1 Mac 2,59; IV Mac 16,21). Dalla
meditazione di queste pagine, Israele ridestava la fiamma della
propria speranza nella salvezza definitiva che Dio avrebbe concesso
nei «tempi ultimi». Le numerose liberazioni operate
da Dio in passato, erano il pegno che egli avrebbe visitato e redento
il suo popolo, mediante il Messia. Questo filone della riflessione
sapienziale d'Israele preparava lentamente la fede nella risurrezione
di Gesù, come l'intervento decisivo del «Dio di Abramo, di
Isacco, di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri» (At 3,13; 5,30).
Cioè: quel Dio che strinse alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe,
soccorrendoli in tanti modi, è lo stesso Dio che ha liberato dal
regno dei morti il suo servo Gesù, il Santo e il Giusto, messo a
morte dagli empi (At 2,22-24.27-28.31-32; 3,14-15; 7,52; 10,38;
13,28.35.37).
4. Attualizzazione mariana
Ora, quella che fu la riflessione
sapienziale di tutto Israele e di ogni israelita, diviene adesso
eredità di Maria.
A. Con il «fiat»
dell'annunciazione, Maria accetta di «servire» il disegno
di Dio Salvatore. Da quel giorno, la storia di Gesù diventa anche
la sua storia. Fatti e parole di Gesù saranno il motivo immediato
che sollecita la sua contemplazione sapienziale. La vicenda di quel
Figlio è il suo «oggi». Gli eventi che lo riguardano,
le parole che pronuncia, i gesti che compie sono l'attualizzazione
delle Scritture.
Per comprendere allora chi
è Gesù, per fare 1'esegesi di ciò che egli dice e opera al momento
presente, Maria dovrà ripetere in sé l'itinerario sapienziale
che fu già del popolo di cui è figlia. Dovrà, cioè, interpellare
le Scritture che parlano del passato d'Israele come popolo di Dio
e del futuro verso il quale lo dirigeva il suo Signore, nella penombra
della fede.
La Vergine mostra di aver assimilato
questa fede dei suoi Padri. Anch'essa, infatti, ha un duplice atteggiamento
di fronte agli eventi e alle parole di Gesù, «Sapienza di
Dio» (cfr 1 Cor 1,24.30). Da una parte, infatti, ne conserva
il ricordo (Lc 2,19a.51b); ma non in maniera statica, poiché - dall'altra
- si studia di approfondirne l'intelligenza, «ponendoli
a confronto» (Lc 2,19b). Luca,
nel passo appena citato (2,19a), usa il verbo symbállô, che
significa «interpretare», «dare la retta spiegazione»,
«fare 1'esegesi». Questo è il senso tecnico di symbállô,
come risulta ineccepibilmente dalla letteratura greca, soprattutto
quella oracolare: quando, cioè, un responso dato dalla divinità
contiene qualcosa di oscuro, a chi spetta chiarirlo? Spetta al «cresmologo»,
ossia all'interprete di oracoli. La sua funzione, in tal caso, è
designata abitualmente col verbo symbállô, lo stesso impiegato
da Lc 2,19a.
Ecco, dunque, la fase dinamica
della fede di Maria: ricordare per approfondire, per attualizzare,
per interpretare. Mano a mano che il Figlio cresceva, poneva nuovi
interrogativi all'occhio vigile della Madre. In questo processo
di crescita, è da supporre che Maria guardasse anche all'AT, che
ella manifesta di aver ben fatto proprio nel «Magnificat»:
l'inno in cui la Vergine, a somiglianza dello scriba sapiente, «fa
piovere i detti della sua sapienza e loda il Signore nella preghiera»
(Eccli 39,6)26.
Così Maria maturava la propria
fede nella Parola di Dio. Non procedendo da una affermazione a una
negazione («credo» - «non credo»), ma da
un meno a un più, da una luce minore a una luce maggiore, dall'alba
al meriggio. Si tratta di un progresso nell'identità. Dei parenti
di Gesù, Giovanni dice che neppure essi credevano in lui (Gv 7,5).
Della Vergine, al contrario, mai si dice che non credette. Di lei
si afferma (almeno una volta: Lc 2,50) che non comprese, e che superava
- lo diremo subito appresso - queste oscurità della fede mediante
il ricordo e la penetrazione assidua di ciò che Gesù diceva e operava.
A norma dunque dell'insegnamento
di Cristo medesimo, la grandezza di Maria non consiste tanto nell'aver
dato alla luce Gesù in senso carnale-biologico, quanto nell'aver
accolto e messo in pratica la Parola di Dio27.
Difatti la stessa maternità divina fu già conseguenza del «fiat»,
ossia della sua pronta obbedienza al volere del Padre. Ella, diceva
Agostino, portò Gesù più nel cuore che nel grembo28.
Lo Spirito Santo che plasmò in lei l'umanità del Verbo, era lo stesso
Spirito che imprimeva nel suo animo le parole di lui (cfr Gv 14,26;
16,13).
B. Se ripensiamo ai
canoni di pensiero elaborati dai saggi dell'AT, potremo intuire
qualcosa del modo col quale Maria si addentrava nelle profondità
nascoste del Figlio che cresceva sotto il suo sguardo. Esse
riguardano la persona e la missione di Gesù in genere, e - in particolare
- il suo destino sofferente.
1. Gesù, un «enigma»
permanente - Ben presto Maria e Giuseppe avvertirono di trovarsi
in presenza di fenomeni che andavano oltre la loro capacità di comprensione
immediata. Essi «si meravigliavano» delle parole profetiche
di Simeone (Lc 2,33); quando ritrovano Gesù al Tempio, rimangono
oltremodo colpiti a quella vista (Lc 2,48). Eloquente, soprattutto,
è la domanda di Maria, umanissima: «Figlio, perché
ci hai fatto questo? Vedi: tuo padre e io, addolorati, ti
cercavamo» (Lc 2,48). È un lamento, indice di sofferenza intensa.
Ma tanto lei che Giuseppe non comprendono la risposta di Gesù (v.
50).
Questi brevi squarci sull'infanzia
del Signore mostrano a sufficienza che la Vergine, assieme a Giuseppe,
non tutto e non subito potevano capire del Bambino. Quel Figlio,
la sua missione, il suo comportamento, era più grande di loro; non
riuscivano, per così dire, ad abbracciarla interamente. Un'aura
di mistero aleggia intorno a lui.
A somiglianza allora dei saggi
che si raccolgono in meditazione sugli enigmi del Libro Sacro29,
Maria conserva tutto nel suo cuore, anche le parole che, sul momento,
le sono incomprensibili (Lc 2,50.51b).
Per chi si pone alla scuola
della Sapienza, è cosa normale imbattersi in zone lì per lì impervie
all'intelligenza umana. La Sapienza, in effetti, proviene da Dio;
quindi, al pari di Dio medesimo, è un oceano senza confini: «Figlio
- ammonisce l'Ecclesiastico (2,1) - se ti presenti per servire il
Signore, preparati alla tentazione». Agli inizi di questo
discepolato, la Sapienza conduce i suoi per vie tortuose, li saggia
con la sua disciplina, li mette alla prova con i suoi dettami, ma
infine manifesta loro i suoi segreti (Eccli 4,17-18).
Anche secondo la tradizione
lucana, Gesù riveste le sembianze della Sapienza (Lc 2,40-52; 7,35;
8,19-21; 11, 31)30.
Maria, nei confronti del Figlio, appare come discepola della Sapienza
incarnata; al suo magistero si affida docilmente, poiché conserva
tutto nel cuore. Neppure lei, che ne era la madre, andò esente da
quel vaglio, da quelle «tentazioni» cui la Sapienza
sottopone i suoi seguaci (cfr Eccli 4,17). Se è sorpresa da meraviglia
al sentire il santo vegliardo del Tempio (Lc 2,33), se addirittura
osa chiedere un «perché», è legittimo concludere, come
fa il Vaticano II, che lei pure «.. . avanzò nella peregrinazione
della fede» (Lumen Gentium, 58).
Insomma: non è irriverente
supporre che a volte perfino Maria - come Giovanni Battista31
e gli apostoli32 - abbia
dovuto rivedere le proprie attese e i propri schemi sul Messia.
Motivo non ultimo della sua beatitudine è il fatto che lei non si
è scandalizzata del Figlio! (cfr Lc 7,23; Mt 11,6).
2. L'enigma degli enigmi:
un Messia .sofferente! - Maria è Madre di un Figlio sul quale
ben presto si distende l'ombra della croce.
Dalle labbra di Simeone le
viene il primo annuncio della missione dolorosa cui egli è chiamato
(Lc 2,34-35). Il «lòghion» stesso di Gesù dodicenne
al Tempio (Lc 2,49), abbiamo visto, con molta probabilità è una
profezia anticipata sul mistero pasquale. Maria e Giuseppe non comprendono
(v. 50). Nonostante questo, Maria impegna la propria riflessione
anche su quella parola oscura (v. 51b).
Più tardi, nel corso della
sua predicazione pubblica in Galilea, Gesù per tre volte preannuncia
che avrebbe dovuto soffrire, morire e risorgere il terzo giorno
(Lc 9,22.43-44; 18,31-33; cfr 24,6-7.26-27.44-46). E Luca, sia pure
in forma indiretta, ci fa sapere che Maria era attenta uditrice
della parola di Dio, annunciata da Gesù (Lc 8,19-21; 11,27-28).
Ascoltando gli oracoli di Gesù
sulla passione-risurrezione, è da presumere che ella - come i discepoli
= abbia tenuto per sé quelle parole, «... domandandosi che
cosa volesse dire 'risuscitare dai morti'» (cfr Mc 9,10).
Facendo memoria di quegli annunci, Maria avrà guardato alla missione
sofferente del Figlio con le risorse che le venivano dalla fede
del suo popolo e dei suoi Padri. Veramente ella è «Figlia
di Sion!».
Abbiamo detto poco sopra che
quando Israele o il singolo israelita sono afflitti, si volgono
al proprio passato per diradare le tenebre del momento che stanno
vivendo. Maria accanto alla croce, allora, avrà ripensato i momenti
bui della storia del suo popolo e di quanti ne furono protagonisti:
quella storia le era divenuta familiare grazie alla catechesi domestica
(cfr Dt 6,20-25; Est 4,17m; 2 Tm 3,15; IV Mac 18,18-19) e alla contemplazione
assidua delle Scritture. Gesù, in croce, prega col salmo 22, ove
si dice: «In te sperarono i nostri Padri, hanno sperato e
tu li hai liberati...». Anche Maria aveva imparato che Dio
sciolse le catene dei giusti innumerevoli volte. Lui depone i potenti
dai troni ed esalta i poveri (Lc 1,52). La fede di Maria è quella
di Giuditta, quando esortava i fratelli a sperare contro ogni evidenza,
memore di quanto il Signore fece con Abramo, Isacco e Giacobbe (Gdt
8,25-26). Se Dio operò così nei tempi andati, anche ora può dare
compimento alla promessa che il Cristo deve risuscitare dai morti33.
Vedendo il Figlio agonizzare e morire, Maria avrà fatto rivivere
in se stessa la fede di Abramo, il quale credette che «...
Dio è capace di far risorgere anche dai morti» (Eb 11,19;
cfr Rom 4,17). Come la madre dei Maccabei, ella assiste all'assassinio
del Figlio, sorretta dalle «... speranze poste nel Signore»
(2 Mac 7,20).
La Scrittura non ci offre notizia
di un'apparizione di Gesù risorto a sua Madre. Maria, però, realizzò
un altro tipo di visione nella fede. Ella aveva imparato a percorrete
il suo itinerario di fede pasquale già dal giorno in cui Simeone
le aveva preannunciato il destino sofferente del Figlio. Poi dal
«terzo giorno» del ritrovamento al tempio, al «terzo
giorno» della risurrezione, la Vergine andava compiendo la
sua Pasqua34. Fin dal
sec. X il sabato è dedicato a Maria, perché dalla sera del Venerdì
di passione al mattino di Pasqua, la fede della Chiesa si concentrò
in lei35.
5. Maria, «vergine
sapiente», immagine della Chiesa
Come «Donna sapiente»,
intenta ad accogliere e approfondite la Parola di Dio fatta carne
in Gesù, Maria si converte in proposta per tutta la comunità dei
credenti.
Anche la Chiesa, infatti, è
chiamata ad ascoltare e penetrare incessantemente il senso delle
Scritture. I segni dei tempi, le vicende del mondo in mezzo al quale
vive e opera, specialmente quando soffiano le tempeste e tutto sembra
naufragare; ogni evento, sia nella grande storia della Chiesa e
del mondo, come nella piccola storia dei singoli credenti: tutto
ci è di richiamo per confrontarci con la Parola profetica di Gesù:
«Io sono con voi, sempre ...» (Mt 28,20) - «Vi
ho detto queste cose prima che avvengano, affinché... quando sarà
giunta la loro ora, vi ricordiate che io ve ne avevo parlato...
e crediate» (Gv 14,29; 16,4).
È in grazia appunto di questa
apertura alla Parola del Cristo-Sapienza che ogni suo discepolo
(a somiglianza di Maria) diviene sede della Presenza Divina: «Se
uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
CONCLUSIONE
La Scrittura è un libro solo,
afferma una perseverante e intensa tradizione cristiana, che risale
ai Padri della Chiesa36.
Pertanto un tema, un'affermazione singola, un versetto non dischiudono
la loro ricchezza, finché non siano armonizzati con l'intero complesso
dei Libri Sacri.
«Tutta la Scrittura -
scriveva s. Bonaventura ( + 1274) - potrebbe paragonarsi ad una
cetra: la corda inferiore, da sola, non fa armonia; ma con le altre,
sì. La stessa cosa avviene della Scrittura: un brano dipende da
un altro; anzi, un passo dice ordine a mille altri»37.
Questa regola aurea vale anche
per la mariologia biblica. Ai nostri giorni, il noto esegeta francese
André Feuillet ha ragione di scrivere : «Chiunque voglia approfondire
la dottrina mariana dal punto di vista biblico, non può farlo che
attraverso un'esplorazione più estesa della storia della salvezza.
Viceversa, chiunque voglia comprendere più a fondo la storia della
salvezza, s'imbatte necessariamente nella Madre del Redentore, unita
con vincoli indissolubili al centro stesso della storia salvifica»38.
Proprio così. Nel Cristianesimo,
Maria non è il centro, ma è centrale. Ce lo ricordava, con tocco
singolarmente felice, papa Montini, nel discorso tenuto al santuario
di N. S. di Bonaria (Cagliari), il 24 aprile 1970: «Se vogliamo
essere cristiani - diceva Paolo VI in quell'occasione - dobbiamo
essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale,
vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre
a noi la via che a Lui conduce»39.
NOTE
1
S. MUNOZ-IGLESIAS, El
Evangelio de la Infancia en San Luca y las infancias de los héroes
bíblicos, in «Estudios Bíblicos» 16 (1957)
329-382; ORTENSIO DA SPINETOLI, Introduzione
ai Vangeli dell'Infanzia, Brescia 1967, pp. 78-79, nota 38.
2
Di solito si fa riferimento a Sof 3,14-18; GI 2,21-27; Zc 2,14-15;
9,9-10. Per un compendio bibliografico su «Maria, figlia di
Sion», mi permetto rinviare ai miei Contributi dell'antica
letteratura giudaica per l'esegesi di Gv 2,1-12 e 19,25-27,
Roma 1977, p. 172 nota 84. Articoli e monografie sono elencati in
ordine cronologico, dal 1939 (Lyonnet) al 1971 (Rigaux). Si aggiunga
la recente opera di R.E. BROWN, The Birth
of the Messiah. A commentaty on the infancy narratives in Matthew
and Luke, London 1977, pp. 319-327, con bibliografia alle pp.
327-329. Brown si dichiara alquanto restio nell'ammettere questi
contatti con 1'AT: «Yet it is difficult to be certain that
Luke intended all these symbolic hints, discovered only with great
effort; and so other scholars have classified these efforts as eisegesis»
(p. 320). Quanto diremo in queste righe (per quanto sintetiche),
mi sembra un ulteriore indizio per concludere che Luca voglia effettivamente
improntare la scena dell'annunciazione anche ai testi profetici
della «figlia di Sion».
3
Per es., 2 Sam 7,9-16; Is 11,1-2... Cfr R. LAURENTIN,
Strutture et Théologie de Lc I-II, Paris 41964,
pp. 71-73; R. E. BxoWmr, Op. cit., pp. 310-312.
4
Ho cercato di esporla, in forma tecnica, in Contributi dell'antica
letteratura giudaica .... pp. 139-173; più brevemente, nel mio
opuscolo Maria a Cana e presso la Croce. Saggio di Mariologia
giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Roma 1978, pp. 30-34.
Nel presente articolo riprendo (spesso alla lettera) i risultati
essenziali della ricerca.
5
Es 19,3-8; 24,3-8 (Mosè); Ger 42-43,4 (Geremia).
6
2 Re 23,1-3 (Giosia); 2 Cr 15,9-15 (Asa).
7
Gs 1; 24,1-28 (Giosuè); Ne 5,1-13 (Neemia); 1 Mac 13,1-9 (Simeone).
8
Esci 10,10-12; Ne 9-10 (Esdra).
9
Gs 24,15; Ne 5,10.
10
Es 19,8; 24,3.7; Ger 42,20.
11
Gs 24,21.24.
12
Esd 10,12; Ne 5,12; 1 Mac 13,9.
13
Es 19,3-7 (discorso del mediatore, Mosè); v. 8 (risposta del popolo).
Es 24,3-7 (discorso di Mosè, che spiega la legge); vv. 3.7 (risposta
del popolo).
14
Gs 1,1-13 (Dio parla a Giosuè e Giosuè al popolo); vv. 16-18 (risposta
del popolo). Gs 24,1-15 (Giosuè parla al popolo); vv. 16.21.22-24
(risposta del popolo, seguita dalle obiezioni di Giosuè che mirano
a illuminate l'assemblea). 2 Re 23,1-8 (Giosia legge il libro dell'alleanza
davanti al popolo); v. 3 («... E tutto il popolo entrò nell'alleanza»).
Ger 42,7-22 (discorso di Geremia); vv. 5.6.20 (risposta del popolo).
Esd 10,9-11 (discorso di Esdra); vv. 12.16 (risposta del popolo).
Ne 5,7-11 (discorso di Neemia); v. 12 (risposta del popolo). Ne
9 (discorso di Neemia, in forma di preghiera); 10,29-30 (risposta
del popolo). Cr 15,1-7.9-11 (Asa, esortato dal profeta Azaria, induce
il popolo a rinnovare l'alleanza). 1 Mac 13,2-6 (Simone parla al
popolo); vv. 7-9 (risposta del popolo).
15
De confusione linguarum, pp. 58-59.
16
Targum Cant 2,4; 6,9; Targum Dt 33,2; Targum Is
49,14-15.
17
1QS (Regola della comunità) I,16-17
e V,8 (si confrontino questi brani con Es 19,8 e 24,3.7). In particolare,
4Q Testimonia, righe 1-8, unisce Dt 5,28-29 con Dt 18,18-19.
La connessione di questi due passi ha un implicito valore di voto.
Ossia: come al Sinai il popolo mostrò obbedienza totale alla voce
di Dio trasmessa mediante Mosè (cft Dt 5,28-29), così ci si augura
che Israele, nella pienezza dei tempi, presti la stessa docilità
alla voce di Dio, quale essa risuonerà in quella del profeta escatologico,
il Messia (cfr Dt 18,18-19).
18
A. SERRA, Contributi dell'antica letteratura
giudaica .... pp. 197-214; del medesimo, Maria, segno operante
di unità dei «dispersi figli di Dio» (Gv 11,52),
in Il ruolo di Maria nell'oggi della Chiesa e del mondo.
Simposio Mariologico (Roma, ottobre 1978), Roma-Bologna 1979, pp.
73-79; K. HRUBY, Le concept de Révélation
dans la théologie rabbinique..., in «L'Orient Syrien»
11 (1966) 17-50; 168-198; del medesimo, Begriffe und Funktion
des Gottesvolker in der rabbinischen Tradition, in «Judaica»
21 (1965) 230-256; 22 (1966) 167-191; 23 (1967) 30-4s.
19
R. LAURENTIN, Structure et Théologie de
Lc I-II..., pp. 71-72; R. E. BROWN, The
Birth of the Messiah..., pp. 310-311.
20
Cfr nota 10 e 11.
21
Cfr nota 12.
22
A. SERRA, «Fecit mihi magna»
(Lc 1,49a). Una formula comunitaria-, in «Marianum»
40 (1978) 305-343.
23
R. LAURENTIN, Op. cit., p. 85.
24
In Lucam 11,61; cfr PL 15,1656, oppure CCL XIV/IV, p. 57.
25
De Vita Mosis II,288.
26
Sulla natura «sapienziale» della fede di Maria, cfr
l'allocuzione di Giovanni Paolo II all'«Angelus», del
24 luglio 1983 (L'Osservatore Romano 123 [25-26 luglio 1983],
p. 1).
27
Anche secondo la dottrina sapienziale dell'AT, Israele godeva la
stretta familiarità col suo Dio non per un privilegio razziale,
ma piuttosto per la ricerca della Sapienza, di cui il pio fedele
diveniva «sposo» (Eccli 15,2b; Pv 7,4 [sorella o sposa?];
Sap 8,9.16), «figlio» (Eccli 15,2a), «fratello»
(Pv 7,4). L'eco di questo insegnamento è percepibile nel detto di
Gesù: «Mia Madre e i miei fratelli sono coloro
che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Le
8,21 e paralleli di Mc 3,34-35; Mt 12,48-50).
28
De sancta virginate 3; Cfr PL 40,398.
29
A. SERRA, Sapienza e contemplazione
.... p. 111-119, 72-88.
30
Cfr SERRA, Op. cit., p. 250-255.
31
La sorpresa che provoca nel Battista la predicazione di Gesù è l'oggetto
di un noto articolo di J. DUPONT, L'ambassade
de Jean-Baptiste (Matthieu 11,2-5; Luc 7,18-23), in Nouvelle
Revue Théologique 83 (1961), p. 805-921, 943-959.
32
Per la reazione degli apostoli in varie occasioni, Cfr: Mc 8,32-33;
9,32;14,47; Mt 16,22-23; 17,23;26,51-54; Lc 9,45.52-55; 18,34;22,49-51;
Gv 13,G-9; 18,10-11. Si ricordi, inoltre, l'atteggiamento dei parenti
di Gesù, della folla, dei capi...: Mc 3,20-35; 15,29-32; Mt 27,
39-44; Le 23,35-37; Gv 6,14-15; 7,3-10...
33
Mc 8,31; 9,30-31; 10,32-34 (Cfr 14,28; 16,7); Mt 16,21-23; 17,22-23;
20,17-19 (Cfr 28,G); Le 9,22.43-44; 18,31-33 (Cfr 24,G-7.26-27.44-46).
34
Cfr l'allocuzione di Giovanni Paolo II all'«Angelus»
del 31 luglio 1983 (L'Osservatore Romano 123 [1-2 agosto
1983], p. 1).
35
D. SARTOR, Santa Maria in Sabato. Memoria
facoltativa, in Riparazione Mariana 63 (5/1978), p. 191-194.
36
H. DE LUBAC, Esegesi Medievale. I
quattro sensi della Scrittura, [Roma 1962], p. 549-657.
37
In Hexaëmeron, coll. 19,7.
38
A. FEUILLET, L'heure de la femme (Jn
16,21) et l'heure de la Mère de Jésus (Jn 19,25-27), in Biblica
47 (1966), p. 572.
39
Acta Apostolicae Sedis 62 (1970), p. 300-301.
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