Prima di parlare e vedere
come si debba celebrare Maria è doveroso accennare al perché
si celebra Maria: il fine che si intende conseguire precede ed
accompagna la scelta dei mezzi. Il fine, insegna la filosofia,
è la prima cosa che si ha in mente, l'ultima che si raggiunge.
Perché celebrare Maria? Potremmo
rispondere, compendiando tutto in una sola frase: «Perché
Dio lo vuole». Se infatti l'uomo, come insegna il nostro
attuale Pontefice, è la strada della Chiesa, Maria-potremmo dire
noi-è la strada di Dio, del suo eterno disegno ancora in atto
fino alla fine dei tempi: è il nodo di tutte le strade che vengono
da Dio e portano a Diodi Ermanno M. Toniolo. Ciò vale tanto per
la professione di fede, quanto per l'espressione del culto. Insegna
il Concilio: «Ogni salutare influsso della beata Vergine
verso gli uomini non nasce da una necessità obbiettiva, ma dal
beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di
Cristo» (LG 60). E altrove afferma: «Mentre la Chiesa
ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione, con la
quale è senza macchia e senza ruga, i fedeli si sforzano ancora
di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo
innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di
virtù a tutta la comunità degli eletti. La Chiesa, pensando a
lei con pietà e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo,
con venerazione penetra più profondamente nel mistero supremo
dell'Incarnazione e si va ognor più con formando col suo Sposo.
Maria infatti, la quale, per la sua intima partecipazione alla
storia della salvezza, riunisce in qualche modo e riverbera in
sé i massimi dati della lede, mentre viene predicata e onorata,
chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all'amore
del Padre» (LG 65).
Qui abbiamo, in breve, gli
eleinenti costitutivi che riguardano la figura di Maria, la sua
funzione e il culto che la Chiesa le rende.
1. Dio l'ha voluta per sé
e per noi, l'ha data a se stesso e l'ha data a noi, afferma Paolo
VI nella Marialis Cultus, sulla linea del Concilio (MC 56). I1
posto che Maria ha nella fede e nel culto non è invenzione della
Chiesa: è scoperta lenta e stupenda del progetto del Padre su
di lei e su di noi. E' opera dello Spirito Santo, che guida la
Chiesa verso la pienezza della verità e della vita. Per questo,
il più delle volte, il sensus Ecclesiae, il sensus fidelium, occupano,
nella dottrina e nel culto, il primo posto storico: ne sono come
la prima radice, che germinerà poi in definizione precisa di fede
e in più attenta e completa espressione di culto, nella Liturgia.
2. Maria, per esprimerci con
parole diventate ormai comuni tra cattolici ed anche tra alcuni
protestanti, come i Fratelli di Taizé, è l'elemento rivelatore
della vera dottrina:' «Compendia e riverbera-dice il Concilio-i
massimi dati della fede» (LG 65). Rivela infatti Dio: il
suo amore misericordioso, il suo piano storico-escatologico di
salvezza. Rivela Cristo nel suo essere, nel suo agire, nel suo
sovrabbondante influsso di grazia sulla Chiesa e sull'umanità:
Maria è immersa, per così dire, nel mistero di Cristo, da cui
attinge la sua pienezza, di cui esprime le componenti più alte
e la forza operante. Rivela l'uomo nel suo stato di natura e nella
sua vocazione di grazia, nel suo posto voluto dal Padre di partecipe
della salvezza vniversale e di costruttore pacifico e solerte
della città terrena, di discepolo fedele di Cristo (MC 37). Rivela
la Chiesa: ciò che è, ciò che sarà; ciò che deve fare e come lo
deve compiere: Maria non è solo la realizzazione della Chiesa,
che in lei ha raggiunto la perfezione ontologica ed escatologica:
ne è lo specchio vivente, l'immagine conduttrice, il segno certo
della speranza.
Perché allora celebrare Maria?
Perché celebrandola ci immergiamo con lei e attraverso di lei
nella salvezza, ci identifichiamo con Cristo Sacerdote e Vittima,
comprendiamo e viviamo l'amore del Padre. Dice il Concilio: «Mentre
viene predicata e onorata, (Maria) chiama i credenti al Figlio
suo, al suo sacrificio e all'amore del Padre» (LG 65).
Se infatti «celebrare»
vuol dire non solo prendere coscienza, ma più ancora attualizzare
la salvezza, calarla nel vissuto personale e comunitario, nel
tempo e nello spazio, per poi consequenzialmente esprimerla nella
vita, celebrare Maria vuol dire immergerci con lei, quasi portati
per mano dalla Madre, nel flusso traboccante dei meriti di Cristo:
diventa per tutti «via a Cristo: per Mariam ad Iesum».
Vuol dire ancora attualizzare
in forma quasi sensibile quel soave rapporto che il Padre ha voluto
tra lei e noi, che Cristo ha autorevolmente confermato dall'alto
della Croce: il legame indissolubile che ci fa suoi figli e la
fa nostra madre: perché resterà sempre vero che «la maternità
di Maria nell'economia della grazia perdura senza soste dal momento
del consenso fedelmente prestato nella Annunciazione e mantenuto
senza esitazioni sotto la Croce, fino al perpetuo coronamento
di tutti gli eletti. Infatti, assunta in cielo, non ha deposto
questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione
continua ad ottenerci le grazie della salvezza eterna. Con la
sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo
ancora peregrmanti e posti in mezzo a pericoli ed affanni, fino
a che non siano condotti nella patria beata» (LG
62). La sua è dunque una presenza soprannaturalmente operante,
continua, efficace, che ha lo scopo unico di riprodurre nei figli
i lineamenti del Figlio primogenito (MC 57). La Chiesa
lo sa e lo sperimenta continuamente: per questo «raccomanda
il culto di Maria all'amore dei fedeli, perché sostenuti da questo
materno aiuto, siano più intimamente congiunti col Mediatore e
Salvatore» (LG 62). «Non si è cristiani, se
non si è mariani», affermò Paolo VI: e con tali parole volle
sottolineare la funzione intrinseca di Maria nel dogma e nel culto,
come più volte viéne ripetuto dalla Esortazione apostolica Marialis
Cultus. Celebrare Maria significa dunque celebrare in lei e con
lei il mistero di Cristo, il culto cristiano; è vivere più intensamente
la propria immersione battesimale in Cristo e la propria solidarietà
d'amore coi fratelli; è capire la vita ed impegnarci fattivamente
ad essere nel mondo i testimoni della risurrezione e del Regno,
gli artefici della giustizia e della pace. E', in sostanza, capire
e vivere la propna vocazione crlstiana. Purché si celebri Maria
«come si deve»: cioè, come vuole la Chiesa, illuminata
e guidata dallo Spirito Santo; come vuole Cristo, come vuole il
Padre.
Se noi, dunque, vogliamo veramente
essere devoti di Maria, se vogliamo degnamente celebrare il suo
mistero in tutti i giorni della nostra esistenza, dobbiamo perseverare
in questo clima, in questo rapporto, dobbiamo partecipare al suo
spirito, dobbiamo trasfondere in noi la sua santità, la sua virtù.
Come la Chiesa, la quale, come dice il Concilio, continuamente
imita Maria nell'obbedienza, nella fede, nella carità, nella ricerca
della volontà di Dio; e, aggiungiamo noi, nella preghiera, perché
Maria è il tipo della Chiesa orante.
Ecco un altro motivo per creare
questo clima di preghiera, per vivere in questo clima di preghiera.
Non potremo raggiungere la fusione, la compenetrazione con Maria,
con la sua vita, con la sua santità, con la sua grazia, se non
partecipando anche alla sua preghiera.
Solo l'anima che prega si
mette in sintonia con Maria; potrà cantare con lei il suo Magnificat,
il suo spirito esulterà con Lei nel Salvatore, sarà un'anima dell'adorazione;
sarà anche, con Maria, il tempio dello Spirito. Vediamo quindi
quanto è importante vivere un clima profondo di preghiera, una
preghiera raccolta, una preghiera che scaturisca dall'interiorità
profonda delle anime sotto l'azione dello Spirito. Ma anche sotto
l'azione di Maria, che vuole trasfonderci il suo spirito di preghiera
che farà emergere dal nostro cuore e dal nostro labbro anche la
preghiera pubblica, la preghiera liturgica, il canto della Chiesa
che in fondo è ripetizione del suo Magnificat. |