di Giacomo M. Medica
Il Concilio ha rinnovato la
Liturgia ed ogni forma del culto, affinché siano realtà viva oggi,
qui. Ha cosl inteso «far crescere ogni giorno di più la vita
cristiana tra i fedeli». E la vita è la base del culto; per
questo ha voluto «meglio adattare alle esigenze del nostro
tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti» (SC
1). Tutto ciò che è dell'uomo, ha storia; e la storia cammina.
Ciò significa: riesprimere il
mistero perché entri nella vita; esprimere la vita del mistero.
Un ciclo che tende alla pienezza della vita esterna.
In tale rinnovamento, operato
entro «Ia sana tradizione», e «per aprire la via
a un legittimo progresso», il Concilio ha previsto anche delle
«forme nuove», purché esse «scaturiscano in qualche
modo organicamente da quelle già esistenti» (SC 23).
Rinnovamento dall'interno e non per sovrapposizione.
Infatti la Chiesa, in vista
di un adattamento all'indole e alle tradizioni dei popoli, «quando
non è in questione la fede e il bene comune generale, non intende
imporre, neppure nella Liturgia, una rigida uniformità». Pertanto,
essa non è aliena dall'armonizzare nella Liturgia ciò che corrisponde
a gusti, costumi, tradizioni, arte, mentalità, cultura dei popoli,
purché sia sano ed espressivo, concreto ed efficace (SC 37-40;
112ss; e Musicam sacram, 46; 63).
Quindi: rispetto del mistero,
rispetto degli uomini: atteggiamenti rispondenti al «propter
nos homines et propter nostram salutem... ».
Questo l'ampio terreno di fondo
su cui vanno considerate le «nuove forme» di pietà mariana,
alle quali il Concilio ha riconosciuto un notevole spazio (LG
66; 67), che Paolo VI ha più chiaramente delineato e ampliato.
Ma sorge qui un primo problema,
quello della «base comune» su cui sembrano poste dal
Concilio queste nuove forme e la Liturgia.
AZIONI SACRE: LITURGICHE E NON LITURGICHE
Va rilevato che né per la Liturgia,
né per le forme non liturgiche il Concilio ha propriamente dato
delle definizioni preci5C, ma solo delle descrizioni. Copiose e
ricche per le azioni liturgiche, abbastanza individuanti per quelle
non liturgiche, di più varia natura, .he tuttavia rientrano nell'espresSione
sacra del culto religioso.
Innanzitutto il Concilio afferma
in modi vari che queste «forme non liturgiche sono anch'esse,
come la Liturgia, «azione della Chiesa» e specificamente
sono «opere di pietà» (SC 9), che esprimono esse
pure entro la vita la fede, e quindi sono «attività della
Chiesa» convergenti, insieme con la Liturgia, alla «santificazione
degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo» (SC
10). Sintetícamente' queste
«forme non liturgiche» sono manifestazioni della «vita
spirituale», e la v-ita spirituale «non si esaurisce
nella partecipazione alla sola sacra Liturgia» (SC
12; cf 10 e 11). In realtà, la vita spirituale coinvolge tutta l'esistenza
in Cristo.
Si ha nel Concilio una terminologia
varia per queste forme extraliturgiche. Sulla base di una loro comune
natura, si parla di azioni non liturgiche, di pii esercizi, di sacri
esercizi di chiese particolari, di pratiche di pietà (SC
13 `> 3 17), e di pie pratiche spirituali e corporali in rapporto
ai:. tempi liturgici (SC 105), di pii e sacri esercizi (SC
118).
Venendo al nostro oggetto, a
riguardo di Maria Vergine,: si parla di varie forme di devozione,
di pratiche ed esercizi di pietà verso di Lei (LG
66; 67), che «la Chiesa ha approvato entro i confini della
sana e ortodossa dottrina e secondo le circostanze di tempo e di
luogo e l'indole e: carattere proprio dei fedeli» (LG
66). Penso che intra limites venga meglio tradotto
con «entro i confini», «entro l'ampia cerchia»,
più aderente al latino nel senso positivo, che non «entro
i limiti» che risuona piuttosto negativamente in italiano.
È questione di spazio e non di costrinzione.
D'altra parte, questa terminologia
fa un pò una categoria unica di cose molto diverse tra loro, anche
se tutte assai belle. Non è infatti paragonabile 1'Angelus
a una celebrazione della parola, a una veglia di preghiera; e i
affinché il Rosario-così caro-divenga celebrazione della
parola e supplica ad essa aderente, ha da fare molta strada, lodevolmente
già aperta e ben percorribile. costrizione.
In questo ampio spazio si innesta
e da qui prende le mosse la Marialis Cultus di Paolo
VI, per dare incremento al culto mariano liturgico ed extraliturgico.
Il Papa rileva che «da più parti si cercano nuove forme espressive
dell'immutabile rapporto delle creature con il loro Creatore, dei
figli con il loro Padre», e pertanto che «chi, con animo
fiducioso in Dio, riflette su tali fenomeni, scopre che molte tendenze
della pietà contemporanea-la interiorizzazione del sentimento religioso,
per esempio-sono chiamate a concorrere allo sviluppo della pietà
cristiana, in generale, e della pietà verso la Vergine, in particolare»
(Introd. ).
E qui nasce un secondo problem,
quello delle relazionifra Liturgia e non Liturgia, tanto per ridurre
la questione all'essenziale.
RAPPORTI DI FONDO TRA AZIONI LITURGICHE
E NON LITURGICHE
Non si qualificano questi «pii
esercizi» dicendo semplicemente e sbrigativamente: non sono
Liturgia; perché, sebbene di grado e di valore diversi, azioni liturgiche
e azioni non liturgiche sono in maggior parte adiacenti. Queste
derivano dalla Liturgia e vi conducono: la contornano, come le falde
una montagna.
In forme e modi differenti,
Liturgia e Pii Esercizi hanno una loro sacralità: attuano la presenza
di Cristo, esprimono la Chiesa (SC 2; 7; 9). SI, è certo
che «la Liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della
Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù»
(SC 10), e per questo bisogna che i Pii Esercizi, cioè tutte
le azioni extraliturgiche, «tenendo conto dei tempi ilturgici,
siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia,
da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la
natura sua di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano»
(SC 13c; cf Inter Oecumenici, 17).
Allora, sintetizzando ciò che
abbiamo fin qui rilevato, diciamo che i Pii Esercizi, e tanto più
tutte le forme nuove, devono essere espressione di spiritualità,
espressioni di culto e non di folclorismo; in essi bisogna sentire
la presenza di Gesù, garantita dove due o tre sono riuniti ne] suo
Nome (Mt 18,20).
Devono essere manifestazioni
di Chiesa, anche se in forma non ufficiale ma non meno vera; devono
rivelare la loro parentela con la Liturgia da cui attingono tanti
elementi, e devono mostrarsi autentica azione con dinamismo vitale,
animato da fede speranza carità, da pietà filiale verso il Padre,
Gesù e Maria, nello Spirito Santo.
Devono in ogni loro mossa mirare
alla glorificazione di Dio e alla santificazione delle persone,
armonizzandosi con le azioni liturgiche sia riguardo ai tempi, sia
riguardo ai modi fondamentali loro propri.
Inoltre, rilevo che originariamente-almeno
entro un'area che andrebbe meglio individuata e studiata-queste
azioni extraliturgiche derivano dalla Liturgia. Quando dopo il Mille
il popolo non riusciva più a comprendere con una certa facilità
la Liturgia, il buon popolo che sentiva bisogno del culto cercò
di sviluppare le azioni liturgiche integrandole con altre forme,
per pregare insieme, sentendole più rispondenti alla sua mentalità,
alla sua lingua e cultura, ai suoi bisogni, ai suoi intenti. Si
accrebbero così le «devozioni» a Gesù e Maria: Via Crucis,
Rosario, pellegrinaggi, processioni extraliturgiche, celebrazioni
innodiche e drammatiche, e poi tridui, ottavari, novene, mesi...
Un ricco patrimonio cultuale giunto fino a noi, da non respingere
ma da rinnovare come la Liturgia e con la Liturgia, in una chiara
convergenza di intenti (MC 24; 40).
Pertanto ai Pii Esercizi in
auspicate «nuove forme» va riservato il loro spazio,
come va rispettato quello della Liturgia. Non possono le azioni
extraliturgiche sostituire quelle liturgiche, e nemmeno vanno frammiste
in queste in un'unica celebrazione: sono abusi che Paolo VI ha denunciato
(MC 31). Possono invece, e devono, introdurre alla Liturgia e prolungarla.
Potrà ancora avvenire che tali
«nuove forme», fino ad un dato momento «extraliturgiche»,
entrino poi a far parte della Liturgia. Così è avvenuto, ad esempio,
per la Processione del Corpus Domini nel XIV secolo, e per
la Rinnovazione delle Promesse Battesimali nel 1951; ed è
pure avvenuto, almeno parzialmente, per i Piccoli Uffici
E qui nasce un secondo problema, quello delle relazioni ; fra Liturgia
e non Liturgia, tanto per ridurre la questione all'essenziale.
RAPPORTI DI FONDO TRA AZIONI LITURGICHE
E NON LITURGICHE
Non si qualificano questi «pii
esercizi» dicendo semplicemente e sbrigativamente: non sono
Liturgia; perché, sebbene di grado e di valore diversi, azioni liturgiche
e azioni non liturgiche sono in maggior parte adiacenti. Queste
derivano dalla Liturgia e vi conducono: la contornano, come le falde
una montagna.
In forme e modi differenti,
Liturgia e Pii Esercizi hanno una loro sacralità: attuano la presenza
di Cristo, esprimono la Chiesa (SC 2; 7; 9). Sì, è certo
che «la Liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della
Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù»
(SC 10), e per questo bisogna che i Pii Esercizi, cioè tutte
le azioni extraliturgiche, «tenendo conto dei tempi iiturgici,
siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia,
da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la
natura sua di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano»
(SC 13c; cf Inter Oecumenici, 17).
Allora, sintetizzando ciò che
abbiamo fin qui rilevato, diciamo che i Pii Esercizi, e tanto più
tutte le forme nuove, devono essere espressione di spiritualità,
espressioni di culto e non di folclorismo; in essi bisogna sentire
la presenza di Gesù, garantita dove due o tre sono riuniti ne] suo
Nome (Mt 18,20). Devono essere manifestazioni di Chiesa,
anche se in forma non ufficiale ma non meno vera; devono rivelare
la loro parentela con la Liturgia da cui attingono tanti elementi,
e devono mostrarsi autentica azione con dinamismo vitale, animato
da fede speranza carità, da pietà filiale verso il Padre, Gesù e
Maria, nello Spirito Santo.
Devono in ogni loro mossa mirare
alla glorificazione di Dio e alla santificazione delle persone,
armonizzandosi con le azioni liturgiche sia riguardo ai tempi, sia
riguardo ai modi fondamentali loro propri.
Inoltre, rilevo che originariamente-almeno
entro un'area che andrebbe meglio individuata e studiata-queste
azioni extraliturgiche derivano dalla Liturgia. Quando dopo il Mille
il popolo non riusciva più a comprendere con una certa facilità
la Liturgia, il buon popolo che sentiva bisogno del culto cercò
di sviluppare le azioni liturgiche integrandole con altre forme,
per pregare insieme, sentendole più rispondenti alla sua mentalità,
alla sua lingua e cultura, ai suoi bisogni, ai suoi intenti. Si
accrebbero così le «devozioni» a Gesù e Maria: Via
Crucis, Rosario, pellegrinaggi, processioni extraliturgiche,
celebrazioni innodiche e drammatiche, e poi tridui, ottavari, novene,
mesi... Un ricco patrimonio cultuale giunto fino a noi, da non respingere
ma da rinnovare come la Liturgia e con la Liturgia, in una chiara
convergenza di intenti (MC 24; 40).
Pertanto ai Pii Esercizi in
auspicate «nuove forme» va riservato il loro spazio,
come va rispettato quello della Liturgia. Non possono le azioni
extraliturgiche sostituire quelle liturgiche, e nemmeno vanno frammiste
in queste in un'unica celebrazione: sono aLusi che Paolo VI ha denunciato
(MC 31). Possono invece, e devono, introdurre alla Liturgia
e prolungarla.
Potrà ancora avvenire che tali
«nuove forme», fino ad un dato momento «extraliturgiche»,
entrino poi a far parte della Liturgia. Così è avvenuto, ad esempio,
per la Processione del Corpus Domini nel XIV secolo, e per
la Rinnovazione delle Promesse Battesimali nel 1951; ed è
pure avvenuto, almeno parzialmente, per i Piccoli Uffici
modellati sulla Liturgia delle Ore, usati da famiglie religiose
in forza delle loro Costituzioni (SC 98; Inter Oecumenici,
80-81).
E sorge qui un terzo problema
a cui accenno brevemente.
PERCHÉ CERTI PII ESERCIZI IN NUOVE FORME
NON SONO LITURGICI ?
Detto in altri termini: Che
cosa manca a particolari azioni sacre, celebrazioni ecclesiali,
per essere autentiche azioni liturgiche?
È la sola «ufficialità»,
data dall'approvazione ecclesiastica, che le assume come proprie,
a renderle Liturgia?
Vi sono delle celebrazioni della
Parola, delle veglie di preghiera, che sono talmente simili a celebrazioni
riconosciute liturgiche da porre il problema con una certa urgenza.
È auspicabile che lo si possa vedere presto risolto.
A parte la Celebrazione dell'Eucaristia
e dei Sacramenti - per non toccare che i vertici della Liturgia
- se confrontiamo le molte Liturgie storiche e non poche Celebrazioni
ext~raliturgiche, l'interrogativo si fa pressante. Vediamo ora quale
spazio è aperto alle forme nuove dei Pii Esercizi.
GENUINA ATTIVITÀ CREATRICE DI «NUOVE FORME»
Dopo aver parlato della viva
presenza di Maria nel complesso dell'Anno Liturgico e in tutti i
libri liturgici (MC 1-15) e dopo aver mostrato Maria quale
modello nell'esercizio del culto e come autentica «Maestra
di vita spirituale» (MC 16-20; 21-23), Paolo VI offre
alcuni «orientamenti per il rinnovamento della pietà mariana»
in armonia con l'opera del Concilio (MC 24-39; LG
67; SC 13; 17; 118).
Innanzitutto afferma che sonó
da rinnovare le «forme molteplici» della pietà mariana
trasmesse dal passato, curando di «sostituire in esse gli
elementi caduchi, di dar valore a quelli perenni, e di incorporare
i dati dottrinali, acquisiti dalla riflessione teologica e proposti
dal Magistero ecclesiastico» (MC 24; cf. 40-55). Ne
può venire un rinnovamento splendido.
Ma evidentemente non basta.
Paolo VI punta in avanti con grande apertura. La complessa realtà
del momento presente-un autentico kairòs-impone, scrive il Papa,
«la necessità che le Conferenze episcopali, le Chiese locali,
le Famiglie religiose e le Comunità di fedeli favoriscano una genuina
attività creatrice» (MC 24). Si tratta di fare genuinamente
del «nuovo», nel senso più vivo e vero della fede che
germina in culto al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito, e
che celebra Maria come Dio l'ha scelta e l'ha collocata nel mistero
della salvezza.
E dopo aver riaffermato che
«è compito delle Conferenze episcopali, dei responsabili delle
comunità locali, delle varie Famiglie religiose, restaurare sapientemente
pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine»,
Paolo VI li sprona affinché sappiano «assecondare l'impulso
creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità
pastorale, desiderano dare vita a nuove forme» (MC
40).
Allora, è necessario, è un compito
di tutti: bisogna operare con genuina creatività su salde basi dottrinali,
mossi da vera ispirazione religiosa e pastorale sensibilità. Come
fare?
PROMUOVERE UNA GERMINAZIONE AUTENTICA
DI NUOVE FORME
Paolo VI ha dato «alcuni
princìpi» affinché la creatività rinnovatrice e innovatrice
sia genuina, aderente alla fede e alla Liturgia, «rispettosa
della sana tradizione e aperta ad accogliere le legittime istanze
degli uomini del nostro tempo» (MC 24; 40). Sono due
aree di norme importanti, precise, che indicano i contenuti e le
modalità in cui devono essere attinti e impiegati nel creare nuove
forme. Qui è necessaria e sufficiente una indicazione tematica sommaria.
Contenuto trinitario-cristologico-ecclesiale
dei Pii Esercizi (MC 25; 28)
Bisogna mettere in luce che
un'autentica venerazione a Maria mostra che «il culto cristiano
è, per sua natura,... culto al Padre per Cristo nello Spirito»
(MC 25). Maria è tutta dono del Padre e come tale va riconosciuta,
venerata, celebrata; la pietà mariana dev'essere «uno strumento
efficace per giungere alla 'piena conoscenza del Figlio di Dio'...
»(ivi), e deve dare un luminoso risalto alla persona e all'opera
dello Spirito Santo in tutto il mistero di Maria (MC 26).
Tutta l'essenziale grandezza
di Maria sta in questa triplice relazione al Padre, al Figlio, allo
Spirito; relazione che la configura e la caratterizza in maniera
inequivocabile. Non capirlo, non vederlo, non mostrarlo sminuisce
Maria, non in sé ma nella nostra comprensione, nella nostra capacità
di celebrarla.
E tutto ciò che Maria è di fronte
alla Trinità, lo è per la Chiesa, per noi. È quindi necessario
che le nuove forme facciano chiaramente emergere «l'arcano
rapporto tra lo Spirito Santo e la Vergine di Nazaret, e la loro
azione sulla Chiesa» (MC 27), e perciò il posto che
Maria occupa nella Chiesa; e questo affinché «la venerazione
rivolta alla beata Vergine renda esplicito il suo intrinseco contenuto
ecclesiologico» (MC 28).
Ed ecco i grandi temi della
Chiesa come Famiglia e Popolo di Dio, Regno di Dio e Corpo Mistico
di Cristo (LG 6-17), per non accennare che ai maggiori, indicati
da Paolo VI, temi che mostrano quali profonde relazioni la Chiesa
ha con Maria (MC 28). Temi atti a qualificare splendide,
autentiche nuove forme celebrative.
Orientamento biblico, liturgico, ecumenico,
antropologico (MC 29-30).
Questo quadruplice orientamento,
questa quadriforme sorgente, daranno concreta ampiezza ai contenuti,
li faranno penetrare nella vita, affratelleranno insieme i cristiani
a venerare Maria, Madre cosl divina e tanto umana.
Quanto al contenuto biblico
il Concilio ne ha dato un modello nei riguardi della Vergine Maria
(LG 55-59; e tutto il cap. VIII), e tale da offrire diretti
suggerimenti per elaborare in base ad esso nuove forme di celebrazioni
di Lei. La Marialis Cultus, da parte sua, intenta a mostrare la
ricchezza del contenuto liturgico in cui è in vario modo coinvolta
Maria, presenta l'ampia scelta di letture bibliche cke la manifestano
(MC 2-10; 12), e la sua meravigliosa esemplarità nell'esercizio
del culto (MC 16-12), individuando pure i «grandi temi
mariani della eucologia romana», atti a incarnare una tipologia
mariana suggestiva per ànimare le nuove forme di celebrazioni extraliturgiche
(MC 11).
L'orientamento ecumenico
apre alle stupende ricchezze de]le liturgie e della pietà dell'Oriente
cristiano (UR 14-18; OE 5-ó), dalle quali le nuove
forme possono trarre ispirazione e cogliere composizioni. Ecumenicamente
siamo resi sensibili a vedere con gli Anglicani il chiaro posto
di Maria nella vita cristiana, e a glorificare Dio con le parole
di Maria, secondo la tendenia protestante (MC 32-33; UR
19-23). In tale orientamento è particolarmente urgente evitare ad
un tempo «esagerazioni e grettezze», eccessi e difetti
(LG 67; MC 38).
All'orientamento antropologico
va data attenta considerazione, perché con esso Paolo VI porta avanti
le direttive del Concilio, colmando ciò che era mancante. Non l'ambiente
e le condizioni di vita di Maria hanno importanza, ma tutto ciò
che Lei è ed opera: i suoi atteggiamenti e comportamenti di fronte
alla volontà del Padre, la disponibilità e docilità allo Spirito
Santo, l'adesione e dedizione totali al Figlio Redentore. Tutto
ciò che questo comprende, in un approfondimento che le scienze dell'uomo
oggi rendono possibile e ricco, è ciò che viene proposto a modello
e a stimolo di imitazione: la sua meravigliosa umanità protesa a
donarsi, il suo spirito di servizio, il suo essere la prima credente,
la prima e perfetta cristiana, il suo posto e il suo ruolo di donna,
di vergine, di madre nel piano della salvezza (MC 34-37).
Tali contenuti e modalità
di espressione, già presenti nei testi biblici e liturgici,
devono essere ripresi ed esplicitati, resi più intelligibili e comprensibili
oggi, qui - nelle concrete celebrazioni in atto-particolarmente
negli inni, nei canti, nelle preghiere, nelle intercessioni, nell'omelia,
e in ogni altra espressione artistica, auditiva e visiva, gestuale
e coreografica. Tutto deve concorrere ad armonizzare nel suo insieme
ogni celebrazione.
Ma si presenta, allora, un quarto
problema: si possono preordinare schemi esemplari di nuovi Pii Esercizi?
SI POSSONO PROGRAMMARE LE «NUOVE FORME»?
Intendiamoci: creare degli
schemi modello? Direi di no, nel senso che sarebbe bloccare un'autentica
creatività. Se invece si creano «nuove forme» che siano
suggestivamente «esemplari», è ciò che nell'arte è da
sempre avvenuto Il «bello» ha una sua prodigiosa «contagiosità»:
stimola al bello.
Si possono quindi individuare
alcune indicazioni di fondo, che servano a impostare le nuove forme
su buon terreno, evitando squilibri ed errori.
* Occorre impostare e sviluppare
il tutto di ogni cele brazione attorno a una idea-tema chiara, avvincente,
significativa, che presenti una «figura» di Maria.
* L'insieme deve avere a base
la Parola di Dio, scegliendo il testo o i testi biblici più appropriati,
armonizzandovi tutti gli altri elementi: inni, canti, salmi, intercessioni,
preghiere, acclamazioni, omelia,... ricercando una certa omogeneità
nei contenuti, nei modi, creando in bellezza di fede e di forme
un rito.
* Il tema, la collocazione e
proporzione di tutti gli elementi, il loro «dosaggio»,
vanno studiati anche e in particolare in rapporto ai destinatari
per i quali si elabora quella data celebrazione, e-caso mai-riadattati
agli effettivi partecipanti convenuti a realizzarla, a viverla.
In tali celebrazioni, appunto perché vi è maggiore libertà che nella
Liturgia, bisogna servirsene.
* Il tutto deve avere verità,
bellezza, fascino, comunicativa gioiosa: deve attrarre, piacere,
alimentare l'autentico spirito religioso, la genuina espressione
di culto, la crescita di vita cristiana, ispirandosi a Maria.
* Non è il «diverso»
che crea di per sé una «forma nuova»: è la «originalità»
di una composizione, mi ver rebbe da dire: la sua «personalità».
Troppo spesso ci si contenta dei «diverso» che non ha
in sé verità, bellezza, espressività di fede.
* Bisogna rendersi ben conto
di che cosa celebriamo, o meglio: Chi celebriamo. Ma viene
da farci una domanda, forse urtante. Quale Madonna? Si dice: Ci
sono tante Madonne!... Un aspetto puramente esteriore maschera una
realtà irrepetibile. Una celebrazione autentica non può che celebrare
il vero profondo mistero di Maria. Non, lasciatemi dire, la Madonna
dei titoli spiccioli. Semmai, da essi si deve risalire ai grandi
valori che danno loro un vero significato. Certo, vi sono titoli
che danno lirismo alla celebrazione, e la Liturgia sa servirsene,
come ha fatto traendo figure e immagini dall'Antico Testamento:
Hortus conclusus Fons signatus (Cant 4, 12 ); ma non
sono la «realtà Maria». Solo questa si può celebrare;
quei titoli, quelle figure e immagini danno colore, espressività,
luci.
Ma la domanda: Che cosa celebriamo?
può avere un altro senso, però derivato, secondario: la forma globale
della celebrazione. Così Sancta Maria Ancilla Domini può
assumere la forma di una celebrazione della parola o quella di una
veglia di preghiera, e, forse, forme ancor più nuove in cui la sua
realtà sia vista, celebrata, esaltata come modello di vita in impegni
concreti dei partecipanti. Sorge
qui ancora un problema, e non il minore: l'adattamento alle persone,
ai tempi, cioè alla loro effettiva maturazione. Lo tocco brevemente.
L'ADATTAMENTO HA MOLTLEPLICI ESIGENZE
Posti gli intenti enunciati
fin dall'inizio: crescita di vita cristiana, riesprimere il mistero
perché entri nella vita, esprimere la vita nel mistero; per adeguarsi
e adattarsi all'effettiva maturazione dei fedeli e promuoverla ulte
riormente, ogni autentica programmazione non può essere che a tre
tempi.
* Fare subito ciò che si
può realizzare subito: questo potrà sembrare limitato, condizionato,
ma è il reale passo avanti possibile. i? preparare il domani.
* Programmare intanto ciò
che si paò fare a medio termine. Ad esempio, se sto celebrando
Maria nell'Avvento e nel Natale, prevedo e preordino ciò che di
meglio potrò fare nel tempo pasquale o a maggio. Quelle di ora saranno
forme di avvio, ma produrranno maturazione, sensibilizzazione, creeranno
un nuovo gusto. Ed è così un preparare il dopodomani, i passi ulteriori.
* L'anno venturo, l'Avvento,
il Natale ci permetteranno di celebrare Maria in modo più completo,
più profondo nel mistero dell'Incarnazione. E proprio il guardare
lontano ci farà creare delle forme intermedie valide e orientative.
Non volere il frutto maturo
prima del frutto acerbo, né il frutto incipiente prima del fiore,
né il fiore prima delle gemme: Natura non facit saltus.
* Tutto questo perché un autentico
«adattamento» alle persone, alla loro maturità di fede,
alla loro sensibilità spirituale, ha molteplici esigenze concrete.
L'età, l'ambiente, la cultura,
le condizioni di vita, il sesso, i gruppi... sono realtà che è imprescindibile
rispettare. «Il sabato è per l'uomo...» (Mc 2,27).
Non possiamo assolutamente rinunciare
alla pienezza del mistero di Dio Amore-Trinità, del mistero di Cristo
e di Maria, ma non ogni aspetto-per questo è mistero-è comprensibile
subito a tutti, celebrabile subito da tutti. Non si tratta di omettere,
di velare, ma di presentare in maniera adeguata, ponendo in primo
piano ciò che può esservi posto per quei destinatari. Ci vuole una
gradualità di maturazione di fede. Lungo la storia il mistero di
Maria è progredito così, approfondito per secoli. Oggi v'è accelerazione
della storia, ma è sempre condizionata dal tempo; non da quello
puramente cronometrico, ma da quello umano. Siamo noi che dobbiamo
tenere il passo dei più deboli nella fede, non essi il nostro passo.
Ma bisogna impegnarci per farli progredire.
E allora, l'ultimo problema
è quello che più intimamente riguarda che cosa è un'autentica celebrazione.
CELEBRARE ESULTANTI NELLO SPIRITO SANTO
LE FORME NUOVE
Innanzitutto partecipare in
maniera viva alla celebrazione. Il Concilio qualifica con dodici
aggettivi questo «prendere parte» nella Liturgia. Vuole
una partecipazione consapevole e intelligente, attiva, fruttuosa
(SC 11; 14; 17; 21; 27; 30; 41; 48; 50; 79; 113; 124), quindi
formata, piena, comunitaria, ecclesiale, davvero attuale (SC
14; 21; 26; 27; 41), che non può essere se non di tutto l'animo,
pia e allo stesso tempo facile (SC 17; 48; 50; 79). Credo
che tutto ciò si possa e debba applicare qui: ncn si tratta di «recita»,
ma di «azione di vita».
Partecipare per celebrare,
e celebrare in un'assemblea aperta ad esaltare, magnificare, glorificare
Dio per «le grandi cose» operate in Maria. Celebrare
è penetrare l'infinita poesia creatrice-redentrice che ci ha donato
questo capolavoro di grazia che è Maria; vedere in Lei il grandioso
nel piccolo, l'eccelso nell'umile, il sublime nell'ordinario, il
divino nell'umano; sentire Maria «nostra Sorella e Madre»,
come amava dire Paolo VI.
Celebrare per festeggiare,
per gustare la festa della fede come «festa della vita x>,
nell'esultanza perenne delia Visitazione: è sempre Maria che per
prima viene a noi. Allora, «sia in ciascuno l'anima di Maria
per magnificare il Signo re, sia in ciascuno lo spirito di Maria
per esultare in Dio «scome già auspicava sant'Ambrogio (cf
Liturgia delle Ore, 21 Dc, 2a lettura).
E soprattutto amare,
perché solo l'amore è sapienza che sa ammirare, intuire, esaltare,
contemplare ciò che ama, ch' ama (cf SC 36; GS 56c;
57d; 59a). L'amore celebrativo penetra nel mistero e in esso si
muove con esultanza, in Osanna, in Alleluia! Di più,
l'amore ci fa assimilare a Maria, la Vergine in ascolto e in preghiera,
la Vergine Madre e offerente (MC 16-20; LG 62-65;
57-58). E l'amore ci fa rivolgere a Lei con atteggiamenti di profonda
venerazione, di invocazione fiduciosa, in spirito di servizio, in
operosa imitazione, con commosso stupore (MC, 21-22).
Amare e pregare come
insegna san Paolo in cinque tipici brani delle sue lettere: Ricolmi
dello Spirito Santo, intrattenersi fraternamente con salmi, inni,
cantici, in ascolto della Parola di Cristo, cantando a Dio Padre
di cuore e con gratitudine, pregando incessantemente con ogni sorta
di preghiere e suppliche, vegliando con perseveranza, nella pace
di Dio, perché la vita sia calma, tranquilla, con tutta pietà e
digmtà (cf Ef 5, 18ss; 6,18; Col 3,16s; Fil 4,ós;
1 Tim 2,1s). Non vi sembrano qui idealizzate le «nuove
forme» dei Pii Esercizi?
Agendo così nello Spirito, venerare
la Madre farà in modo che «sia debitamente conosciuto, amato,
glorificato» suo Figlio Gesù (LG 66), perché Maria,
«mentre viene predicata e onorata, chiama i credenti al Figlio
suo, al suo sacrificio, e all'amore del Padre» (LG,
65).
Appendice
* Auspico da tempo, accanto
all'Angelus e al Regina coeli, saluti a Maria
gaudiosa e gloriosa, un saluto a Lei Addolorata, per
venerdi, la Ouaresima. Così?...
Simeone disse a Maria:
«A te una spada trafiggerà
l'anima».
Figlio, perché ci hai
fatto così?
Ecco, tuo padre ed io angosciati
ti cercavamo».
«Donna, ecco il tuo figlio!
Ecco la tua madre»!
Ottienici
la salvezza, Madre del Redentore.
Per
la passione di Cristo tuo Figlio.
O Dio, tu hai voluto
che accanto al tuo Figlio,
innalzato sulla croce, fosse
presente la sua
Madre Addolorata: fai che la
tua Chiesa,
associata con Lei alla passione
del Cristo,
partecipi alla gloria della
risurrezione. Per Cristo
nostro Signore. Amen.
* Il Rosario vissuto
con Maria è il titolo di un mio libretto in cui la cara preghiera
è concepita tutta come un «dialogo» con Maria su Gesù
nei suoi vari misteri, come faceva Maria, la «meditabonda»
(LG 57; MC 46). Le letture bibliche, una preghiera
introduttoria del gruppo di misteri, un'enunciazione attualizzante,
pure in colloquio con Maria, formano le linee essenziali di questo
«rosario meditato».
* Il Mese di Maggio è
stato pensato da Don Bosco in un suo libretto del 1858 sulla linea
di quella che oggi chiamiamo «storia della salvezza».
Interamente dedicati a Maria solo il primo e gli ultimi tre dei
33 giorni (30 Aprile, 1 Giugno), negli altri è presente nelle laudi,
nei fioretti, negli esempi, nelle preghiere; le meditazioni svolgono
il grande piano di Dio e in esso è pur presente Maria.
* La Novena di Maria,
concepita come attesa del promesso Messia, ebbe un primo avvio a
Roma nel 1618' per opera del domenicano padre Cotta, col titolo
di «novena dei versetti»; nel 1720, a Torino il vincenziano
padre Antonio Vacchetta, che era stato in contatto con il filippino
beato Sebastiano Valfré, le diede la forma che Don Bosco divulgò.
Un invitatorio: Regem venturum Dominum venite adoremus scandisce
una serie di profezie messianiche; poi una specie di cantico: laetenter
coeli et exultet terra è composto di versetti di salmi. Un inno,
le antifone «O», il Magnificat, formano il tutto. Recentemente
sono state introdotte letture bibliche e intercessioni. C'è da dire
che Maria potrebbe esservi più presente, particolarmente in relazione
al Prefazic secondo. Rielaborata, questa novena potrebbe essere
una splendida celebraz~one messianico-mariana nell'Avvento.
* Celebrazioni della presenza
di Maria nella vita cristiana potrebbero essere opportune nel
tempo «per annum» anche in rapporto alle letture del
Messale
*
Quanto al «gesto», alla «gestualità» nelle
celebrazioni, si può giungere-almeno in certi ambienti e con gruppi
particolari- al puro gesto, come avviene nelle «danze sacre»
dell'India e di altri paesi orientali. Ho visto un «Annuncio
a Maria», e una «Visitazione» veramente stupendi.
Nel 1971, a Rocca di
Papa, in un convegno biblico-pastorale-catechistico, la concelebrazione
organizzata dai partecipanti indiani ci ha fatto vedere una processione
offertoriale bellissima a passo di danza con movenze quanto mai
dignitose, mentre sulle patene c'erano pure corolle di fiori e minuscoli
ceri accesi.
Anni fa, nella Vigilia Pasquale,
un gruppetto di ragazzini e ragazzine ha sottolineato le Letture
con sobri gesti mimati. L'attenzione fu vivissima, e penso sia stata
maggiore la comprensione.
* Un elemento che, penso, debba
essere molto curato è la introduzione, o l'invitatorio,
perché dovrebbe contenere il tema della celebrazione, o almeno suscitare
il clima celebrativo.
* L'ínno deve avere in
ogni celebrazione un'importanza tutta sua, sia come portatore di
contenuto, sia come forr. di esultanza. Dev'essere quindi scelto
per la sua verità e la sua bellezza verbale e musicale.
* Le antifone, i responsori,
le intercessioni hanno ia loro importanza in quanto possono
supplire ciò che verrebbe a mancare in altri elementi, e presentarsi
quasi come equlibratori in tutta la celebrazione. |