IL PENSIERO DEI PADRI
NELLO SVILUPPO DELLA DOTTRINA MARIANA

     Le dimensioni e la profondità che gli studi e le ricerche intorno al pensiero dei Padri della Chiesa hanno assunto nel nostro tempo, si presentano con le caratteristiche di un fenomeno grandioso che conferisce impostazioni nuove e basi più sicure a tutte la discipline teologiche. È noto come negli anni successivi alla seconda guerra mondiale questi studi abbiano sperimentato una vera e totale rinascita. Si pensi al moltiplicarsi delle iniziative editoriali in questo settore e al successo che le pubblicazioni sui Padri riscuotono un po' dappertutto; e non si tratta di successi superficiali o provvisori. Alcuni anni fa un noto patrologo, Ch. Kannengiesser S. J., pubblicando un bilancio esaustivo degli ultimi cinquant'anni di studi patristici ~, constatava che il bisogno di riscoprire il cristianesimo nei suoi fondamenti storici; di guardare ai Padri come a dei testimoni privilegiati di una tradizione culturale e religiosa capace di offrire risposte e soluzioni anche al mondo di oggi; di riscoprire il carisma dei Padri per una lettura e una comprensione più spirituale della parola di Dio; infine di avere dei paradigmi imitabili nell'affrontare il problema oggi fondamentale dell' inculturazione della fede; tutte queste istanze del cristianesimo contemporaneo hanno suscitato un fervore tale per lo studio dei Padri della Chiesa che talvolta si è quasi tentati di scambiare il fenomeno per una forma di vero e proprio accanimento
      2. Due sono gli aspetti principali che il Kannengiesser, in un articolo successivo, identifica nella rinascita patristica del nostro secolo. Innanzitutto lo studio degli antichi autori cristiani viene condotto con metodo e competenza scientifica; in secondo luogo esso è straripato dal suo alveo tradizio I. Fifty Years of Patristics, in «Theological Studies», 50, I989, pp. 633-656. 2. Ibld., 656. 6 nale, che era solitamente quello teologico e clericale, per coinvolgere anche le categorie degli studiosi laici 3. Oggi infatti l'insegnamento della dottrina dei Padri sta entrando in molte scuole di livello universitario, sia pure con denominazioni diverse: letteratura cristiana antica, storia del cristianesimo, filosofia patristica, patrologia; e la patristica stessa viene applicata alle varie branche della teologia.
      Forti sollecitazioni in questo senso sono venute dal magistero ordinario della Chiesa. Per limitarci ad interventi piuttosto recenti, basti ricordare la lettera apostolica Patres Ecclesiae di Giovanni Paolo II, inviata in occasione del XVI centenario della morte di S. Basilio4; l'istruzione della Congregazione per l'educazione Cattolica sullo studio dei Padri nella formazione sacerdotale5; una breve allocuzione del medesimo pontefice rivolta ai collaboratori dell'Institut des Sources Chrétiennes, in occasione del cinquantesimo di fondazione della prestigiosa collana6.
      L'insistenza del magistero è ispirata dalla consapevolezza del valore perenne dell'insegnamento dei Padri. Giovanni Paolo II lo ha ripetuto ancora recentemente:
     
      Ce développement des études patristiques me tient à coeur, car il n'existe pas de formation véritable de l'intelligence chrétienne sans un recours constant à la tradition de nos Pères dans la foi

      7. In sintesi possiamo asserire che la cultura cristiana del nostro tempo appare avida di letture e di studi patristici. E non ci troviamo di fronte ad un fenomeno superficiale o effimero. La rinascita patristica, iniziata nella seconda metà del secolo scorso, ha assunto dimensioni sempre più ampie ed importanti e ha fatto esplodere una specie di primavera in tutti i campi della ricerca e della riflessione teologica. Non sembrerà strano che questo ritorno ai Padri si riveli come un fattore di freschezza e di novità, se si comprende che Cristo stesso è la primavera perpetua della Chiesa e che ogni ritorno autentico alle sorgenti del suo messaggio salvifico agisce nella Chiesa stessa come un potente farmaco di giovinezza.
      In questo ordine di idee, appare sintomatico un dettaglio autobiografico raccontato da Hans Urs von Balthasar durante un'intervista rilasciata pochi anni fa. Parlando del periodo della sua formazione allo scolasticato gesuita 3. The Future of Patristics, in «Theological Studies», 52, I991, p. I28. 4. AAS 72, Ig80, 5-23. 5. AAS 82, I990, 607-636. 6. «L'Osservatore Romano», domenica 3I ottobre I993, p. 5. 7. Ibid., n. I.7 di Fourvière, dove, insieme a lui, studiavano allora uomini divenuti in seguito famosi, come Daniélou, Fessard, Bouillard, Varillon e altri, il grande teologo svizzero ricordava come la teologia che vi si insegnava fosse di indirizzo piuttosto scolastico e abbastanza tradizionale; e aggiungeva testualmente: «Per ritrovare una teologia viva, abbiamo letto i Padri della Chiesa e i poeti, Claudel, Bernanos, Péguy. Testi che aprissero lo sguardo del cristiano sul mondo intero»8.
      È stupenda questa qualifica attribuita dal celebre teologo e studioso svizzero alla dottrina dei Padri: «Una teologia viva».


PATR1STICA E TEOLOGTA

      È owio che, per comprendere l'importanza della patristica nello studio della dottrina mariana, occorre riconoscere innanzitutto il suo ruolo nella teologia in generale. Lo studio dei Padri stabilisce il contatto con uomini della Chiesa che hanno fatto da tramite fra la tradizione apostolica e le successive generazioni cristiane, trasmettendo a queste ultime il deposito della fede che essi stessi avevano ricevuto. Attingendo direttamente alle sorgenti della parola di Dio, con una mentalità e una capacità di comprensione potenziate dalla luce e dalla grazia dello Spirito Santo, essi hanno fornito le basi alla prima riflessione teologica ed hanno sostenuto la Chiesa nelle prime dichiarazioni conciliari sulle grandi verità dogmatiche. Lo conferma il magistero di Giovanni Paolo II:

lls furent les premiers théologiens, car ils surent scruter le mystère du Christ en recourant à des notions empruntées à la pensée de leur temps, n'hésitant pas à les remodeler, le cas échéant, pour leur donner un contenue universel9.

      Con il rinnovamento odierno degli studi patristici, anche il metodo di approccio agli scritti dei Padri è cambiato. Non ci si limita più a ricorrere ai Padri per attingere dai loro scritti dei testi che possano essere prodotti quali argomenti di autorità nelle dimostrazioni dogmatiche. Si studia la dottrina stessa dei Padri nei suoi specifici contenuti, nelle sue reciproche dipendenze, nel suo contesto storico e culturale, nei suoi sviluppi, nelle sue finalità e anche nei suoi limiti. Inoltre si affrontano con impegno e con rigore critico i problemi vari legati all'autenticità e all'attribuzione delle loro opere, alle edizioni dei testi e alle loro traduzioni in lingue moderne. 8. L'intervista è apparsa in un supplemento del mensile «Trenta Giorni», pubblicato nel novembre 1985. Vedi in particolare p. 33. 9. «L'Osservatore Romano», domen~ca 31 ottobre I993, p. 5, n. 5

PATRISTICA E MARIOLOGIA

      Evidentemente questo metodo nuovo di accostarsi allo studio dei Padri non solo ha portato un profondo mutamento nel modo di trattare le questioni della teologia in generale; ma ha introdotto un radicale cambiamento anche nello studio della mariologia. Sembra tuttavia opportuno fare una premessa fin troppo nota, che non vuole affatto essere negativa, ma una semplice constatazione: la dottrina mariana non ha un carattere di centralità nell'insegnamento dei Padri della Chiesa. I temi fondamentali della tradizione cristiana, dalla Scrittura ai Padri, dal magistero agli approfondimenti della teologia, sono il Dio uno e trino e l'economia salvifica del Verbo Incarnato.
      I Padri si occupano della Vergine con una frequenza relativamente scarsa; e probabilmente ella non era neppure al centro della devozione dei fedeli. Questa situazione durò almeno fino verso gli ultimi anni del IV secolo o gli inizi del V. Maria era vista e considerata unicamente in funzione del Cristo; e solo in epoca più tardiva i Padri incominciarono ad intravedere le questioni che pongono la Vergine in rapporto con gli esseri umani. È comprensibile che le cose siano andate in questo modo, perché il rapporto MariaCristo è fondante rispetto al rapporto Maria-uomini o Maria-Chiesa; e senza un approfondimento del primo binomio, sarebbe stato difficile intuire l'esistenza degli altri due. Cos~ l'insegnamento dei Padri, in linea con la Scrittura, presenta la Vergine Maria nella giusta prospettiva di creatura legata in modo particolare ed unico al Figlio di Dio che si è fatto uomo in lei; e pertanto il ricorso ai Padri favorisce il ricupero del filone più genuino della tradizione: quello che porta direttamente alla parola di Dio, dalla quale la persona e il ruolo di Maria nell'opera della salvezza ricevono la più autorevole legittimazione. La due dimensioni patristiche principali della mariologia, quella cristologica e quella ecclesiologica, sono state recuperate in pieno dal Concilio Vaticano II che, nel capitolo VIII della L~men gentiam, ha voluto presentare la santa Vergine nel contesto del mistero di Cristo e della Chiesa. Questo modo di procedere rappresenta un indubbio richiamo ai Padri della Chiesa i quali per primi hanno dovuto cercare delle soluzioni ai problemi sorti dalla riflessione teologica su questi due misteri. Per cercare di comprendere l'apporto fondamentale che la dottrina dei Padri può recare alla riflessione mariologica oggi, è opportuno seguire l'itinerario teologico che essi hanno percorso per giungere a dei chiarimenti sulle due predette questioni dottrinali, che toccano il cuore stesso della fede . . crlstlana. CRISTO E MARIA Il più importante e decisivo contributo alla soluzione del problema cristologico della Chiesa antica viene dall'Oriente ed è a questo problema che si ricollega il discorso su Maria; discorso che i Padri hanno fissato in due punti: la sua maternità e la sua verginità. Questi due aspetti erano da loro strettamente collegati con l'Incarnazione e ritenuti un servizio unico reso al mistero. I1 primo autore che formulò i termini esatti della questione cristologica è stato Apollinare di Laodicea. Nel tentativo di evitare i rischi della cristologia antiochena, che tendeva a vedere due soggetti o persone nel Cristo, Apollinare intese l'Incarnazione come una discesa del Verbo nel corpo concepito nel seno di Maria, spstituendo in esso l'anima razionale ed esercitando le funzioni proprie di quest'ultima. Quindi, secondo questa dottrina, il Verbo Incarnato avrebbe posseduto una natura umana incompleta. La soluzione apollinarista, se da una parte pretendeva di salvaguardare l'unità della persona del Cristo, dall'altra gli negava una umanità completa e perfetta. Non solo. In qualche suo testo, Apollinare sembra perfino insinuare che la carne di Cristo, gestita nel seno di Maria, abbia avuto un'origine celeste i°; e con questa premessa naturalmente gli era facile difendere la sua nascita verginale. Quali conseguenze derivino per il rapporto tra Maria e il Figlio da questa concezione cristologica, Apollinare non lo dice chiaramente. È vero che egli non esita ad attribuire a Maria il termine (3£010Ko~; però, in base alla sua cristologia, è il concetto stesso di maternità che viene messo in discussione. Infatti che specie di funzione materna avrebbe esercitato Maria, se avesse trasmesso al Figlio suo una natura umana incompleta? Se poi il vescovo di Laodicea avesse realmente sostenuto che la carne di Cristo sarebbe discesa dal cielo, il seno della Vergine si ridurrebbe ad una sorta di semplice contenitore nel quale sarebbe stata condotta a termine la gestazione di un corpo che in realtà non avrebbe avuto origine da lei. IO. De anione corporis et divinitatis I-~, H. Lietzmann, Apollinaris von Laodicca and seine Sclale, TU I, I 85 - I 86. Anche Gregorio di Nissa attribuisce ad Apollinare questo errore (Contra Apollinarem, PG 45, II73 B). Il problema di Apollinare dimostra chiaramente, fin dall'inizio del dibattito cristologico, quanto sia inscindibile il legame tra mariologia e cristologia e aiuta a capire meglio l'insegnamento dei Padri che hanno reugito alla cristologia apollinarista. È stata una reazione che ha visto impegnati i massimi autori cristiani della seconda metà del IV secolo. Siano menzionati alcuni tra i più prestigiosi. Basilio di Cesarea (t 379), pur non avendo sviluppato una psicologia della persona del Cristo, quando parla della sua Incarnazione, intende riferirsi ad un uomo perfetto e completo e lo fa accostando il Figlio alla Madre. Infatti commentando Gal 4, 4, si dimostra convinto che l'Apostolo «indichi con sufficiente chiarezza la comunione di natura tra il Figlio e sua Madre» i~. Se dunque la Madre era un essere umano completo, tale doveva essere anche il Figlio da lei nato. Contro il rischio apollinarista di fare del seno di Maria il semplice contenitore di un corpo che ha avuto origine altrove, Basilio ricorre ad una metafora molto espressiva, quella dell'officina (ep~aoT~p~ov), con cui indica nel seno della Vergine la causa materiale dell'umanità di Cristo, unitamente allo Spirito Santo che ne è la causa efficiente soprannaturale~2. Chiaramente la mariologia del vescovo di Cesarea è saldamente radicata nella cristologia. Nella Vergine santa egli scorge la madre dell'Emannele preannunciata da Is 7, I4. Nel suo seno si è attuato l'evento meraviglioso dell'Incarnazione del Figlio di Dio, il quale non solo è venuto tra noi, ma ha assunto una natura umana e si è fatto nostro consanguineo. Anche Basilio chiama Maria GeoTóKo~ e la presenta nell'esercizio delle sue funzioni materne verso il Figlio. Una vigorosa confutazione della cristologia apollinarista la troviamo nella lettera a Cledonio di Gregorio di Nazianzo (t 390). Questa lettera è un documento di notevole rilievo, perché in essa l'autore usa il termine GeOTÓKO~ e ne difende la legittimità. I1 Nazianzeno, dopo aver ribadito che il Verbo Incarnato è totalmente Dio e totalmente uomo e che proprio in quanto tale ha potuto salvare la creatura umana intera, caduta nel peccato, aggiunge a proposito di Maria: Se qualcuno non crede che santa Maria è (3£0~róKos, si separa dalla divinità. Se qualcuno asserisce che Cristo è soltanro passato artraverso la Vergine come attraverso un I I. DeSpiritu Sancto 5, I2, PG 32, 85 C; 8C I7, I25. I2. Ho~nil. in sanctarn Christi generationen~ 3, PG 3I, I646A; cfr. L. Gambero, L'on~elia salla generazione di Cristo di Basilio di Cesarea. llposto della Vergine Maria, Marian Libraq Studies, A New Series I3-I4, Dayton I98I-I982, pp. I I7 Sgg. canale, ma nega che sia stato plasmato dentro di lei in modo divino, perché senza intervento d'uomo, e in modo umano, ossia secondo la legge della concezione, è ugualmente ateo. Se qualcuno dice che dapprima si è formato l'uomo, il quale solo in seguito sarebbe stato rivestito della divinità, è condannato. Questa infatti non sarebbe la generazione di Dio, ma una negazione della generazione stessa. Se uno introduce la nozione di due figli, uno da Dio Padre e l'altro dalla madre, e non di un solo e identico Figlio, sia privato dell'adozione a figlio, promessa a coloro che credono rettamentel3. I1 Nazianzeno sembra essere il primo Padre che, quasi anticipando di mezzo secolo la solenne dichiarazione di Efeso, attribuisce al termine 43£0TÓKOS il valore di una formula dogmatica. Egli lo propone come un vero e proprio criterio di ortodossia. Negare questo termine significa per lui negare la realtà dell'incarnazione, l'unità e la divinità della persona di Cristo. Egli dà a questo termine il suo pieno significato, al contrario di Apollinare che lo usava in un senso piuttosto dubbio. Evidentemente la diversità delle loro posizioni su questo punto derivava dalla diversità delle loro cristologie. Anche Gregorio di Nissa (t 392), in polemica con Apollinare, afferma la vera e reale maternità divina di Maria e difende l'umanità completa del Verbo Incarnato~4. Precisa che la natura umana di Gesù non era preesistente, ma è stata assunta nel seno della Madre e possiede tutti i requisiti . , . . . . . . . .. '. ae. . uomo: corpo, aníma materla .e 0 prloclplo c .1 vlta, splrlto c .otato dl libera volontà. I1 Nisseno ricorre pure al termine ~eoTóKoc. Nei suoi scritti lo usa cinque volte ed egli pure lo considera un criterio di ortodossia cristologica. Lo afferma apertamente in una lettera indirizzata alla comunità cristiana di Gerusalemme: Qualcuno di noi ha forse osato chiamare dcvep~mo~óKos la vergine 43eo~ó~coc, come noi stessi abbiamo sentito che alcuni di loro irriverentemente fanno? 15. I due termini propri, avEp~otóKo~ e BeotóKoc, opposti l'uno all'altro in questo testo, dimostrano che la polemica, che sfocerà nel concilio di Efeso, incominciava già a serpeggiare nelle cristianità orientale almeno a partire dalla fine del IV secolo. Su questa circostanza cronologica abbiamo le preziose testimonianze convergenti dei due Gregorio. Anche Epifanio di Salamina (t 403) si lasciò coinvolgere nella controversia apollinarista, pur esprimendo un profondo rincrescimento che un uomo così degno, stimato e amato come il vescovo di Laodicea, fosse potuto cadere I3. Epist. IOI, PG 37, 180 A. I 4. Cfr. Adversus Apollinarefn 6, PG 45, I 1 36 C-D. 15. Epist. 3, PG 46, 10~4 A. in gravi errori. La sua difesa dell'ortodossia può essere sintetizzata in pochi punti: Gesù ha assunto un corpo vero e reale, come il nostro; questo corpo fu preso dalla carne della Vergine Maria, realmente e non solo in apparenza. Per conseguenza, come uomo, Gesù ha condotto sulla terra una vita normale durante la sua dimora in mezzo a noi, dal momento della sua concezione fino alla morte in croce. Applicando queste premesse alla soteriologia, Epifanio precisa che Gesù si incarnò per operare la salvezza di tutti gli esseri umani; e che, se il suo corpo fosse stato una pura apparenza, tale sarebbe stata anche la salvezza~ó. Inoltre, argomentando più direttamente contro Apollinare, Epifanio ribadisce che, se Cristo assunse una natura umana completa, doveva esservi compresa anche l'anima umana. Maria quindi divenne madre di un essere umano dotato di una natura perfetta: Se dunque si deve attribuire il comprendere al Cristo, disceso dal cielo per assumere la carne da Maria e, come dice la Scrittura, per dimorare tra noi (Cfr. Gv I, I4) da vero uomo, deve aver assunto una natura umana tutta intera, inclusa la mentel7. ! Epifanio introduce un ulteriore chiarimento. I1 fatto che nella generazione verginale di Gesù sia mancato il seme virile, non comporta in lui alcuna menomazione o difetto: Secondo la carne fu generato dalla sola Maria in modo perfetto e non difettoso 18, Ribadendo l'unità divino-umana della persona del Verbo Incarnato, il vescovo di Salamina difende anche la maternità reale e divina di Maria. Questo fruttuoso dibattito cristologico sviluppatosi intorno alle tesi di Apollinare di Laodicea, costituisce una interessante anticipazione delle proclamazioni di Efeso e di Calcedonia; e ci consente di valutare in tutta la sua rilevanza il contributo essenziale che i Padri hanno recato al chiarimento della dottrina della fede su Cristo e su Maria. MARIA E EA CHIESA Se nella riflessione mariana dei primi secoli si è dimostrato caratterizzante il tema cristologico, con una presenza prevalente dei Padri della Chiesa greca, possiamo anche riconoscere che il contesto ecclesiologico ha ó. Cfr. Panarion 3, 2, 8, PG 42, 652-653. 17. Ancoratus 78, PG 43, I65 A; GCS 25, 98. I8. Panarion 2, 2, 25, PG 42, 244 A-C. APPUNTI PATRISTICI PER Lo STUDIo DELLA MARIOLOGIA 13 iniziato ad emergere gradualmente a partire dalla seconda metà del IV secolo, soprattutto nell'ambito della Chiesa latina. Tale contesto ha visto il contributo di eminenti personalità ecclesiastiche come Ambrogio e Agostino. Maria, nel mistero della sua maternità verginale, appare come archetipo della Chiesa, la quale si presenta pure come vergine e madre; vergine perché conserva intatta la fede nel suo Signore e madre perché genera le membra del corpo mistico di Cristo attraverso l'amministrazione dei sacramenti. Ambrogio di Milano (t 397) è stato il primo autore a definire Maria typ~s Ecelesiae precisamente a causa della sua sponsalità e maternità verginale: È bene che (Maria) sia stata sposata ma vergine, perché ella è figura della Chiesa, che è senza macchia ma sposata e che, vergine, ci ha concepito dallo Spirito e, vergine, ci ha partorito senza doglie. Forse santa Maria è stata fecondata da un alrro, diverso dal suo sposo, perché anche le singole chiese, pur essendo fecondate dallo Spirito e dalla grazia, sono visibilmente unite ad un sacerdote temporale 19. I1 pensiero di Ambrogio è chiaro: Maria è tipo della Chiesa in quanto vergine, sposa e madre; e come ella ha dato alla luce corporalmente il Cristo senza perdere la sua verginità, così la Chiesa, mediante i sacramenti, dà alla luce spiritualmente le membra del corpo mistico di Cristo. Inoltre il vescovo di Milano prospetta una certa subordinazione di Maria al mistero della Chiesa, perché è in funzione della Chiesa che la Madre di Cristo è stata chiamata ad essere sposa, madre e vergine. E come ella ha nutrito con il suo latte il Cristo fisico, allo stesso modo la Chiesa nutre con il latte della parola di Dio il Cristo mistico20. Tuttavia la relazione della Vergine con la Chiesa non è di carattere unicamente tipologico. Esiste anche un rapporto operativo, reso possibile dall'unità tra il Cristo e il suo corpo mistico. Infatti, concependo il Redentore, la Vergine santa ha virtualmente concepito anche i credenti nella Chiesa. Ambrogio lo asserisce invocando la testimonianza della Scrittura: Dal seno di Maria fu messo al mondo quel mucchio d: ~ ~' ' (cfr. Ct 7, I), allorché da lei nacque Cristo21. Evidentemente il mocchio di grano vuole significare la schiera dei credenti che, nel Verbo Incarnato, nascono dal seno di Maria. I 9. Expositio in l-~~~m 2, 7, PL r 5, 1 63 5 - 1 636; SC 45, 74. 20. Cfr. De virgini/~~s I, 3 1, PL 16, 208; Exp. in J~nc. 3, 38, PL 1 5, 1 688; SC 45, I41. 21. De instit~tione Virginis 94, PL 16, 342. Possiamo affermare che la tipologia mariana di S. Ambrogio, applicata alla Chiesa, sebbene non ancora perfetta, sarà destinata a degli sviluppi fecondi nei secoli successivi, sia nella riflessione teologica che in quella ascetica, recando un notevole arricchimento, soprattutto nell'ambito della spiritualità monastica e della liturgia. Agostino di Ippona (t 430) è convinto che il rapporto Chiesa-Maria non si riduce a mera casualità, conseguenza del modo con cui si sono svolti certi eventi nella storia della salvezza, ma che è stato disposto dalla sapienza e dalla prowidenza divina. Esso si fonda sul mistero dell'Incarnazione che è allo stesso tempo mistero cristologico e mistero ecclesiale, dal momento che Cristo, rivestendo la nostra carne, ha unito a sé non solo la natura umana ma anche la Chiesa, suo corpo mistico. Pur esaltando la sublime dignità e santità della Madre di Dio, Agostino non esita a considerarla un membro della Chiesa e quindi ad insistere che il suo posto è all'interno della Chiesa stessa: È santa Maria; è beata Maria; ma la Chiesa è migliore della Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una porzione della Chiesa, un membro santo, un membro supereminente, ma tuttavia un membro dell'intero corpo. Orbene, se (è parte) del corpo intero, certamente il corpo è superiore ad un membro22. Partendo dalla teologia paolina del corpo mistico di Cristo, Agostino esclude che un cristiano veramente tale possa essere fuori di questo corpo e quindi fuori dalla Chiesa. Pertanto neppure la Vergine Madre può fare eccezione a questa regola. Certamente ella è madre del Capo del corpo sul piano della carne; ma nell'ordine dello spirito appartiene anche lei, come membro, al Cristo totale, cioè alla Chiesa, dal momento che lei pure fu salvata come tutte le altre membra del corpo di Cristo. Sotto l'aspetto dell'appartenenza alla Chiesa, Agostino asserisce che questa è migliore di Maria, la quale è solo un membro del corpo; però non bisogna sottovalutare il fatto che si tratta del membro più santo e più elevato in dignità23. Agostino condivideva con entusiasmo la dottrina paolina del corpo mistico, la quale mette in luce l'aspetto più profondo della realtà della Chiesa e la sua intima bellezza. Si comprende allora come egli non avesse alcuna intenzione di escludere la Vergine santa da questa meravi 22. Sermo Denis 25, 7, Miscellanea Agostiniana, vol. I, p. I63. 2 3. L'idea agostiniana di considerate Maria inserita nella Chiesa, è stata recepita in pieno dal Vaticano 11, che riporta 1'espressione del vescovo di Ippona: ss~pereminens membrum senza citarne il nome (L?'men gentium 63). APPUNTI PATRISTICI PER LO STUDIO DELLA MARIOLOGIA gliosa realtà; anzi, rispetto alla totalità del corpo, la colloca in una posizione di eccezionale singolarità e prestigio24. È interessante notare come la visione della Vergine santa, collocata all'interno del corpo della Chiesa, abbia contribuito all'elaborazione di una mariologia cosiddetta dal basso, che ama cioè contemplare la Madre del Signore in una posizione di vicinanza e di solidarietà con il genere umano. Questa posizione non esclude il rapporto materno che Maria ha con le altre membra del corpo mistico, dal momento che queste sono unite al Capo di cui ella è la genitrice secondo la carne. Scrive: E veramente madre delle sue membra, che siamo noi, perché, con la sua carità, ha cooperato affinché nascessero nella Chiesa i fedeli che sono membra di quel Capo25. Però Agostino non esprime mai la maternità di Maria nei nostri confronti con termini come: «madre della Chiesa» o «madre del corpo mistico», forse perché li riteneva pregiudizievoli alla comprensione del fatto che ella pure appartiene alla Chiesa come membro. Comunque egli colloca sia la Chiesa che Maria, nello svolgimento della loro funzione materna, su un piano di somiglianza, perché ambedue sono madri delle membra del corpo di Cristo; ambedue sono diventate madri per opera dello Spirito Santo. Sono queste le ragioni per cui Agostino ha preferito considerare la maternità spirituale della Vergine in relazione alla molteplicità dei fedeli, piuttosto che all'unità del corpo mistico, al di fuori della quale tuttavia i cristiani non possono esistere come tali. Pur non attribuendo a Maria un ruolo diretto nella nascita dei credenti alla vita soprannaturale, dal momento che questi vengono rigenerati direttamente dalla Chiesa nel battesimo, il vescovo di Ippona sembra pensare che la Vergine eserciti la sua maternità verso i cristiani nella Chiesa e tramite la Chiesa stessa. Questo parallelo analogico tra Maria e la Chiesa potrebbe essere confermato da un criterio esegetico interessante, che trova esplicita formulazione in una antica biografia della Vergine, attribuita a Massimo il Confessore (t 662). L'autore, dopo aver riferito alla Vergine santa una profezia del Salmo 45, fa la seguente considerazione: Anche se alcuni commentatori hanno inteso queste parole come se si riferissero al;" Chiesa, non c'è nessuna difficoltà ad interpretarle come riguardanti la santa Madre di ~4. Cfr. S. Folgado Flores, El /9ino~nio Maria-lglesia en la tradición patristica del siglo IV-V (S Ambrosio-S. Ag~stin), in Maria e la Chiesa, Ath del V Siinposio Mariologico Internazionale, Roma 1985; pp. I32-I35. ~ 5. Cfr. De saneta virginitate 6, 6, PL 40, 399. T6 EUIGI GAMBERO Dio; perché le parole che vengono dallo Spirito Santo non devono mai essere intese in senso univoco, ma secondo diverse sfumature. Esse infatti sono tesori di beni e i Padri che le hanno commentate in senso ecclesiale hanno detto bene. Ma interpretare la profezia come riguardante la Madre di Dio, è pure vero e senza errore26. Queste poche testimonianze dimostrano con sufficiente chiarezza che l'orientamento ecclesiologico della moderna mariologia è di origine patristica27; e che l'ecclesiologia costituisce il secondo polo di attrazione per una dottrina mariologica che intende procedere in sintonia con la Scrittura e la Tradizione. EVA-MARIA I1 celebre parallelismo Eva-Maria, ispirato al parallelismo paolino Adamo-Cristo, è stato il tentativo meglio riuscito di penetrare nel mistero del duplice rapporto tra Maria e Cristo: rapporto di maternità e rapporto di cooperazione. Infatti il.carattere di strumentalità salvifica, proprio della natura umana del Redentore, ha aiutato i Padri a comprendere che colei che aveva generato questa natura doveva essere stata ammessa ad una collaborazione particolare nella medesima opera di salvezza. Pertanto il ruolo di Maria come cooperatrice del Redentore spiega anche la sua funzione materna nella Chiesa. Questa intuizione risale alla più antica riflessione patristica ed è passata alla tradizione quale punto costante di riferimento per la teologia di tutti i tempi. Come nell'economia del peccato, Eva era stata partoer di Adamo nel procurare la rovina dell'umanità con la sua incredolità e la sua disobbedienza, così Maria, con la sua fede e obbedienza, è stata una collaboratrice tutta speciale di Cristo nell'economia della salvezza. Sono ben noti i famosi testi di Giustino28, Ireneo29, Tertulliano30, che contengono le versioni più antiche del parallelismo. Dopo di loro la dottrina di Maria nuova Eva è diventata un luogo comune nell'insegnamento della Chiesa e, in virtù del principio di ricapitolazione che la giustifica, 26. Vita di Maria 6, in G. Gharib, E. Toniolo, L. Gambero, G. Di Nola, TeJti Mariani del Pri~no Millennio, vol. II, Roma I989, p. I89 27. Cfr. D. Fernández, Actr~alidad y valores de la ~nanologta de los Padres, «Marianum» 4I, I979, pp- I4I-I42, 28. Dialogo con Trifone 100, 4-ó, PG 6, 709-7I2. 29. Haer. 3, 22, 4, PG 7, 958-960; 5, I9, I, I I75-I I76; Di~nostrazione della predicazione apostolica 33, SC 62, 83-86. 30. De carne Christi I7, PL 2, 782. 17 costituisce un punto di forza per la dottrina teologica della cooperazione della Vergine santa al mistero della redenzione. CONCLUSIONE I limiti di questa esposizione ci h