« NON È COSTUI IL FIGLIO DI MARIA? »
Lectio su Marco 6,1-6

Enrico dal Covolo

      Introduzione

      Mi sono domandato quale testo dovessi proporvi per una lectio divina nel primo "sabato mariano" del nuovo anno.
      La risposta non è stata difficile da trovare.
      Conviene rivolgerci ad un testo che ci aiuti a "tornare nel quotidiano", dopo i grandi eventi del Natale di Gesù; un testo che ci aiuti ad accogliere e interiorizzare una raccomandazione del Papa: "Dobbiamo imitare insieme", scrive Giovanni Paolo II nella conclusione della Novo Millennio Ineunte, "dobbiamo imitare insieme la contemplazione di Maria, che, dopo il pellegrinaggio alla città santa di Gerusalemme, ritornava alla casa di Nazaret, meditando nel suo cuore il mistero del Figlio" (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte 59: Acta Apostolicae Sedis 93 (2001), p. 309).

      Così mi è parso opportuno proporvi una lectio tratta dal capitolo sesto di Marco.
      Sappiamo che il vangelo di Marco - probabilmente il più antico dei vangeli - è molto sobrio nei suoi riferimenti alla Madre di Gesù. Per di più, i due soli testi che se ne occupano (Mc 3,31-35 e 6,1-6) tendono a relativizzare i legami di "parentela di sangue con Gesù". E' più importante la "parentela di fede" di chi compie la volontà di Dio. In ogni caso, il solo fatto che Gesù venga chiamato "il figlio di Maria", quando di solito il figlio era chiamato con il nome del padre, segnala la straordinaria importanza che Marco attribuisce alla maternità di Maria.
      All'inizio del sesto capitolo, dunque, si accenna - sia pure di passaggio - a Maria di Nazaret e alle cosiddette "sorelle" di Gesù.
      Il contesto è interessante. Marco racconta dello scandalo dei Nazaretani, che non si rassegnavano a riconoscere il Messia in Gesù, un loro compaesano. "Non è costui il figlio di Maria", si domandavano increduli, "e le sue sorelle non stanno qui da noi?". Il Messia è uno come noi; Maria, sua Madre, è una del nostro popolo. Come accettare questa proposta di salvezza?

      Anche noi oggi vogliamo porci le medesime domande dei Nazaretani, e contemplando la Madre e le "sorelle" di Gesù intendiamo verificare la nostra disponibilità ai doni di Dio.
      Il metodo che seguiremo - lo abbiamo già detto - è quello della lectio divina. Lo richiamiamo brevemente.

      Un monaco certosino del secolo XII, contemporaneo di Bernardo, ha sintetizzato in maniera molto felice le tappe fondamentali della lectio patristica e monastica.
      "Un giorno, occupato in un lavoro manuale", scrive appunto Guigo II, priore della Grande Certosa, "mi trovai a pensare all'attività spirituale dell'uomo".
      Dunque, proprio mentre sta eseguendo un'attività manuale, Guigo si rende conto che ogni manufatto, per riuscire soddisfacente, richiede tempi e ritmi precisi, o più esattamente una serie di operazioni scalari. Allora si domanda se per caso non succeda la stessa cosa anche per le attività dello spirito, e scrive: "Si presentarono improvvisamente alla mia riflessione quattro gradini spirituali, ossia la lettura, la meditazione, la preghiera, la contemplazione. Questa è la scala che si eleva dalla terra al cielo, composta di pochi gradini, e tuttavia di immensa e incredibile altezza, la cui base è poggiata a terra, mentre la cima penetra le nubi e scruta i segreti del cielo" (La scala dei monaci. Trattato sul modo di pregare, 1).

      La riflessione di Guigo sollecita la nostra attenzione. Certamente anche noi, come Guigo, ci siamo posti il problema del nostro rapporto con la Parola di Dio. Come l'abbiamo risolto? Di fatto, qual è il posto della Parola nella nostra vita?
      Certamente il posto della Parola dovrebbe essere al centro della nostra vita di credenti...
       ... come Maria: nel Vangelo dell'infanzia Luca ripete due volte che Maria "conservava nel cuore tutte queste parole" (2,19.51). L'evangelista intende dire che nella teca preziosa del suo cuore la vergine madre "custodiva insieme con grande cura" (sunetérei) ogni reliquia del mistero di Gesù. Ma una delle due volte Luca aggiunge: "E le confrontava..." (2,19). Qui viene usato un altro verbo molto significativo: è il verbo greco sumballein, imparentato fra l'altro con il sostantivo italiano simbolo. In questo modo si vuole dire che Maria non soltanto custodiva gelosamente nel suo cuore il Verbo di Dio: di più, essa cercava di confrontare le parole della rivelazione con la propria vita, evidentemente per rendersi sempre più disponibile al progetto di Dio.
      Si può notare che i due verbi impiegati da Luca rappresentano una progressione di impegni nei confronti della Parola. Di più, essi sembrano evocare il duplice movimento che caratterizza l'antica lectio patristica e monastica.

      Il primo movimento (il custodire di Maria) è come un "viaggio di andata" (da me al testo): leggo e medito la Parola per farla scendere in profondità nel mio cuore. La domanda-guida è la seguente: "Che cosa mi dice questo testo?".

      Il secondo movimento (il confrontare di Maria) implica un "viaggio di ritorno" (dal testo a me). La domanda-guida diventa questa: "Che cosa dico io al testo? Come lo faccio fruttificare nella preghiera e nella contemplazione, vale a dire nella testimonianza della vita, "faccia a faccia" con quel Dio che è tutto Carità?".

      Abbiamo descritto così, in modo molto rapido, le tappe fondamentali della lectio tradizionale.
      Aggiungo solo che il Papa nella già citata Novo Millennio Ineunte (la Lettera apostolica che - come ben sapete - ispira i programmi pastorali di ogni comunità cristiana all'inizio del terzo millennio) scrive così: il "primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio... In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva, che interpella, orienta, plasma l'esistenza" (n. 39).
      Anche questa successione di verbi allude alle tappe caratteristiche della lectio divina.

      Ora è opportuno approfondire sistematicamente le quattro tappe (ovvero i due fondamentali movimenti) della lectio divina, in riferimento al brano che abbiamo scelto.

      1. Lettura

      Bisogna dissipare subito un equivoco. Molte volte, quando noi diciamo: "Ho letto...", intendiamo dire che abbiamo dato alla pagina uno sguardo più o meno attento. Diciamo: "Ho letto il giornale", quando in realtà ne abbiamo scorso i titoli più importanti. Del resto, è anche questo un modo per difendersi dall'inflazione della carta stampata.
      Ma se vogliamo salire il primo gradino della lectio, bisogna che cambiamo radicalmente il nostro modo di pensare.
      L'atteggiamento nel quale dobbiamo metterci è quello di Salomone, all'inizio del suo regno: "Dammi o Signore", chiese allora il giovane re, "dammi un cuore docile, un cuore in ascolto..." (1 Re 3,9).
      La vera lettura è il "docile ascolto" di una Parola che oggi si rivolge personalmente a me.
      È come se, prima del brano che leggo, avessi scoperto l'intestazione di una lettera: "Carissimo/a ...", e alla fine una firma: "Tuo aff.mo Dio". E la data di oggi, in calce.
      Era questa la persuasione di fede del grande papa Gregorio (+ 604). Un suo amico, di nome Teodoro, aveva fatto carriera: era diventato medico personale dell'imperatore, incarico di grande prestigio a corte. E Gregorio, da quell'uomo squisito che era, non mancò d'inviargli un biglietto di congratulazioni: "Sento che stai facendo cose molto belle, importanti...", gli scrisse. "Ma mi dicono che non trovi il tempo per leggere la Bibbia. Ascolta, Teodoro: se l'imperatore ti scrivesse una lettera, avresti il coraggio di cestinarla, prima di averla letta tutta intera? Certamente no! E che altro è la Bibbia, se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura?" (Epistolario 5,46).

      La grande consegna biblica è: "Ascolta, Israele!". E la Regola di Benedetto inizia così: "Obsculta, fili...". Così anche la lectio, fondata sulla Bibbia e sui Padri, pone al suo primo gradino questo medesimo atteggiamento di ascolto: leggere la Bibbia è anzitutto ascoltare Uno che mi ha scritto, e che continua a parlarmi nell'oggi della mia vita.

      Non a caso la Costituzione dogmatica Dei Verbum (n. 25) richiama, citando il vescovo Ambrogio (+ 397), un autentico leit-motiv della tradizione patristica: "Quando preghi, sei tu che parli con Dio; quando leggi, è Dio che ti parla...".
      E il grande discepolo di Ambrogio, Agostino d'Ippona (+ 430), così apostrofava i fedeli nelle sue prediche, richiamando loro l'atteggiamento da assumere dinanzi alla Parola di Dio: "Audiamus quasi praesentem Deum!"; cioè: "Ascoltiamo, perché qui (ecco il senso del quasi latino) è presente Dio".

      Forse - per misurare la nostra fretta e superficialità in questo primo gradino della lectio - non sarà male ascoltare un autore siriaco del IX-X secolo, Yussef Busnaia: "Chiedi con insistenza a Dio", egli raccomandava all'orante, "di illuminare gli occhi della tua anima per essere capace di percepire la forza intima nascosta nella Parola del Signore. Poi mettiti in piedi, prendi il santo Vangelo nelle tue mani, bacialo, posalo affettuosamente sui tuoi occhi e nel tuo cuore, e pieno di sacro rispetto prega... Poi leggi il Vangelo restando in piedi".

      Vibra in queste pagine il senso vivo di una Presenza da ascoltare, che è precisamente la tappa iniziale della lectio divina.
       Certo, per noi non è sempre facile trovare il ritmo giusto, e tirarci fuori dalla spirale del tempo gestito in modo consumistico... Talvolta, sollecitati dalle mille esigenze del servizio, ci chiediamo addirittura - forse nel segreto del nostro cuore - se sia giusto "perdere tempo per Dio"...
      Allora sentiamo come una provocazione ammonizioni simili a quelle di Anselmo d'Aosta: "Leggerai la Scrittura non nel tumulto, ma con calma; non in fretta, ma lentamente, poco alla volta, sostando in attente riflessioni. Il lettore sentirà allora che sono parole capaci di infiammare l'ardore della sua preghiera...".

      Leggiamo a questo punto il nostro testo: Marco 6,1-6.

"Gesù andò nella sua patria, e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?".
       E si scandalizzavano di lui.
       Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". E non vi poté operare nessun miracolo".

Segue un istante di silenzio.

      2. Meditazione

      Saliamo ora il secondo gradino della lectio, cioè la meditazione.
      Lo stesso Guigo II, priore della Grande Certosa, lo descrive così: "La diligente meditazione non si ferma alla superficie", per quanto a noi già il primo gradino sembrasse così impegnativo!... Occorre andare ancora "più in là: occorre penetrare il testo, interrogarlo analiticamente, considerarlo con attenzione".
      Per usare un'immagine cara alla tradizione cristiana, la meditazione deve far scendere fino al cuore la Parola che è stata ascoltata.

      Per la Bibbia e per i Padri il cuore è l'intimità dell'uomo. E' là dove teniamo in mano il nostro destino, dove si giocano le grandi decisioni, dove in qualche modo sono chiamate a raccolta tutte le nostre facoltà. É lì che la Parola deve entrare, per diventare "sangue del mio sangue, vita della mia vita".
      Perché questo avvenga, occorre che la Parola sia "digerita". Forse questa non è un'immagine molto simpatica (Bernardo invitava addirittura i suoi monaci ad essere "animalia pura et ruminantia"), ma essa ha il pregio di ricordarci che la Parola di Dio è vero cibo del nostro spirito: un cibo che va masticato a tal punto, da essere totalmente assimilato.
      Mi limito a due soli esempi. Nella Vita Antonii di sant'Atanasio si legge che Antonio nel deserto era così attento alla lettura e alla meditazione, che nulla andava perduto di ciò che era scritto. "Tutto ricordava, al punto che la memoria sostituiva il libro".
      Del beato Aelredo di Rievaulx, discepolo e biografo di san Bernardo, si legge che parlava "ex biliotheca cordis sui". Il cuore di Aelredo (e a maggior ragione di Bernardo, il suo maestro) era divenuto come una teca, cioè un prezioso scaffale in cui si allineavano ordinati tà biblía, cioè la Sacra Scrittura, "i libri" per eccellenza.

      Nel caso specifico, vi propongo un metodo molto semplice di meditazione, che consiste nel sottolineare tre elementi del racconto: il riferimento alla patria di Gesù, le domande dei Nazaretani e il motivo vero del loro scandalo.

       * Innanzitutto, Marco preferisce il termine patria (patrìs) ad altra indicazione di luogo, come ad esempio paese o villaggio. Così l'episodio di Nazaret non resta circoscritto a un piccolo paese, ma diviene, in un certo senso, la "sigla" del rifiuto di Gesù da parte del mondo: "Venne fra la sua gente", scrive Giovanni nel prologo del quarto Vangelo, "ma i suoi non l'hanno accolto".

      * Di fatto le domande dei Nazaretani non sono domande per crescere nella fede, ma pretesti per legittimare l'incredulità e il rifiuto.

      * Addiritttura, i compaesani di Gesù "si scandalizzavano" di lui: trovavano nella sua persona un inciampo, un ostacolo, anziché un invito alla fede. Perché?
      Perché i Nazaretani, come i farisei, sono radicalmente incapaci di accogliere un Messia che si manifesta senza gloria, attraverso le cose di ogni giorno: essi rifiutano il Messia dell'impegno quotidiano per l'uomo - un Figlio di Dio che è, e che vuole rimanere, vero figlio dell'uomo -. Il modo in cui Dio attua il suo piano di salvezza, cioè la via umile e dimessa dell'incarnazione e della croce, è del tutto incompatibile con le loro attese.

      Entra proprio qui il riferimento alla Madre e alle "sorelle" di Gesù. In ultima analisi, anch'esse sono motivo di scandalo per i Nazaretani.
      Ma anche per noi Maria può essere motivo d'inciampo e di scandalo, se non ci apriamo con disponibilità alla sorprendente metodologia della salvezza, che capovolge le prospettive umane. Certo, l'enuciato ha qualcosa di incredibile, di paradossale, di "scandaloso": Maria, umile donna del nostro popolo, è la Madre di Dio...
      Tanto più che Maria è presentata come una realtà umile, "ordinaria", molto concreta. Marco - come di norma tutti gli evangelisti, a parte i racconti dell'infanzia - non presenta nulla di miracoloso nella sua vicenda, che rimane ancorata agli ambienti popolari palestinesi, e ritmata dalle scadenze proprie della condizione umana.
      Maria nei Vangeli è vista come una donna del popolo, di povere origini, partecipe agli eventi gioiosi o tristi della vita quotidiana del suo tempo: si fidanza, diventa madre, compie i suoi pellegrinaggi a Gerusalemme, è presente a una festa di nozze, assiste alla morte atroce del Figlio e condivide in alcuni momenti la vita dei discepoli. E' una donna vera, che sa riflettere e parlare, ascoltare e prendere l'iniziativa, piangere e gioire...
      Eppure questa donna è la Madre di Dio. Ma il suo essere Madre di Dio non si manifesta attraverso qualche segno di potenza, bensì nella profonda solidarietà con la condizione umana, umile e concreta.
      La fede vera - quella che i Nazaretani non hanno - non si scandalizza di questo, ma accoglie il messaggio implicito nel modo di fare del Figlio di Dio e della sua Madre: chi crede in loro, non potrà mai sottovalutare le vicende umane e le cose di tutti i giorni, ma dovrà assumerle fino in fondo, ben sapendo che l'uomo, la donna, le realtà quotidiane sono la via di Dio, la via della salvezza.

      3. Per la preghiera e per la vita

      La meditazione della Parola plasma il cuore dei credenti.
      E dal cuore parte il secondo movimento della lectio (cioè i suoi ultimi due gradini): perché la Parola - accolta e meditata - esige di trasformare la preghiera e la vita.
      La Parola diventa il veicolo della nostra preghiera. Del resto, quale via più sicura per parlare con Dio, che ripresentargli le parole stesse con cui egli si manifesta a noi?
      "O dolce colloquio", esclama a questo riguardo sant'Agostino, "o soave intrattenimento!".
      Forse per scongiurare l'aridità o il monologo della nostra preghiera ("prego", diciamo spesso, "ma la mia preghiera si arresta contro un muro, e torna indietro come una pallina da tennis...") dovremmo lasciare più spazio alla Parola. Prendi in mano il Vangelo, la Liturgia del giorno, ascolta quello che il Signore ti dice. Lascia che parli lui. Se è un episodio, sentiti coinvolto, entra nel dramma: quel cieco, che chiede di vedere, sei tu. Senti su di te le dita amorose del Maestro, che dona la vista e la parola a chi glielo chiede con fiducia...

      Ed ecco, finalmente, la contemplazione, tenendo conto che la vera contemplazione è il confronto vitale con Dio-Amore, un confronto che deve giungere a trasformare in amore tutta la nostra vita.
      Allora la vita trasformata mi fa tornare alla Parola, e "ci accorgeremo che c'erano ancora tanti panorami da scoprire, che avevamo appena incominciato a sfiorare con i nostri occhi" (card. Newman).
      E la lectio ricomincia, in modo sempre più ricco ed efficace.
      Scrive Carlos Mesters: "Le Parole di Dio sono come il chicco di frumento: rivelano il senso che hanno per noi solo se le facciamo scendere nel terreno della nostra vita".
      La vita è il "banco di prova" della lectio: se la vita ne esce trasformata, allora la lectio è buona.

       Cerchiamo dunque di riferire con coraggio alla nostra vita quello che abbiamo letto e meditato.
      Il fatto che Gesù sia il Figlio di Dio, e che Maria sia la sua Madre, non toglie proprio niente al loro essere pienamente uomo e pienamente donna: solo se accettiamo questa prospettiva, che i Nazaretani rifiutavano, possiamo cogliere il miracolo.
      Allora il mondo appare pieno di miracoli. A partire da questo, straordinario, che non ci stancheremo mai di contemplare: Maria di Nazaret, una di noi, è la Madre di Dio.
      Stando alla stessa logica provvidenziale, la persona che cammina al mio fianco è per me sacramento di salvezza; ogni incontro con l'uomo e con la donna è segno di grazia...
      Tutta la condizione umana, anche la più umile, anche la più sfigurata, porta in sé il germe della salvezza. Essa va liberata, educata, amata. Pensiamo in particolare a quanto è strumentalizzata ancor oggi la condizione femminile, quanto essa è ancora bisognosa di liberazione...

      Concludiamo con un paio di domande per il discernimento.

      * Il mio rapporto con Gesù e con Maria è "scandalo", o è serena disponibilità al modo di fare di Dio, anche quando esso scombina le mie previsioni e i miei piani?
      * Assumo le realtà di ogni giorno, anche le più umili, e le persone di ogni giorno, anche le meno attraenti, come via di salvezza?
      * Posso dire che la generosa valorizzazione degli umili frammenti del quotidiano rispecchia il mio impegno costante di vivere in modo coerente all'incarnazione del Signore?

Enrico dal Covolo

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