Lectio sul racconto dell'Annunciazione, all'alba del terzo millennio
Introduzione Mi sono domandato quale testo dovessi proporvi per la lectio divina in un "sabato mariano", all'alba del terzo millennio. La risposta non è stata difficile da trovare: noi abbiamo celebrato i duemila anni dall'Incarnazione del Signore, e lo sguardo di tutta la Chiesa rimane fisso su questo evento centrale della nostra salvezza. Ma nei suoi primi inizi l'Incarnazione si è realizzata nel grembo di Maria, quando l'umile ancella del Signore ha formulato liberamente il suo assenso dinanzi al misterioso piano di Dio, che le veniva svelato. Grazie a quel fiat di Maria, scrive san Leone Magno, "il Figlio di Dio fa il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, ma senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova. Nasce in un modo nuovo". Proprio con quel fiat ha avuto inizio la nuova storia dell'umanità, di cui abbiamo celebrato i duemila anni. Con questo racconto Luca in realtà illustra in maniera efficace l'intera storia della vocazione di Maria, utilizzando uno schema a cinque punti, che ritorna di norma nelle storie bibliche di vocazione. I cinque punti sono i seguenti: a) la chiamata-elezione da parte di Dio; b) la risposta di Maria; c) la missione, che Dio stesso le affida; d) il turbamento di Maria; e) infine, la conferma rassicurante da parte di Dio. Dopo aver letto il nostro brano, seguendo l'itinerario tradizionale della lectio divina, mediteremo su ognuno di questi momenti per avviare un confronto - nella preghiera e nell'impegno di conversione della vita - tra la storia della vocazione di Maria e la storia della nostra vocazione: in questo modo potremo renderci sempre più disponibili e generosi alla chiamata del Signore, e conformare più decisamente a Cristo la nostra vita. Scriveva nel XII secolo un monaco famoso, sant'Isacco, abate del Monastero della Stella: "Ciò che la Bibbia dice di Maria, va riferito singolarmente a ogni anima credente". Non è dunque una presunzione confrontare la nostra storia di vocazione con quella di Maria: è invece una precisa esigenza della vita spirituale di ogni cristiano. 1. Lettura Bisogna dissipare subito un equivoco. Molte volte, quando noi diciamo: "Ho letto...", intendiamo dire che abbiamo dato alla pagina uno sguardo più o meno attento. Diciamo: "Ho letto il giornale", quando in realtà ne abbiamo scorso i titoli più importanti. Del resto, è anche questo un modo per difendersi dall'inflazione della carta stampata. Ma se vogliamo salire il primo gradino della lectio, bisogna che cambiamo radicalmente il nostro modo di pensare. L'atteggiamento nel quale dobbiamo metterci è quello di Salomone, all'inizio del suo regno: "Dammi o Signore", chiese allora il giovane re, "dammi un cuore docile, un cuore in ascolto..." (1 Re 3,9). La vera lettura è il "docile ascolto" di una Parola che oggi si rivolge personalmente a me. E' come se, prima del brano che leggo, avessi scoperto l'intestazione di una lettera: "Carissimo/a ...", e alla fine una firma: "Tuo aff.mo Dio". E la data di oggi, in calce. Era questa la persuasione di fede del grande papa Gregorio (+ 604). Un suo amico, di nome Teodoro, aveva fatto carriera: era diventato medico personale dell'imperatore, incarico di grande prestigio a corte. E Gregorio, da quell'uomo squisito che era, non mancò d'inviargli un biglietto di congratulazioni: "Sento che stai facendo cose molto belle, importanti...", gli scrisse. "Ma mi dicono che non trovi il tempo per leggere la Bibbia. Ascolta, Teodoro: se l'imperatore ti scrivesse una lettera, avresti il coraggio di cestinarla, prima di averla letta tutta intera? Certamente no! E che altro è la Bibbia, se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura?" (Epistolario 5,46). La grande consegna biblica è: "Ascolta, Israele!". E la Regola di Benedetto inizia così: "Obsculta, fili...". Così anche la lectio, fondata sulla Bibbia e sui Padri, pone al suo primo gradino questo medesimo atteggiamento di ascolto: leggere la Bibbia è anzitutto ascoltare Uno che mi ha scritto, e che continua a parlarmi nell'oggi della mia vita. Non a caso la Costituzione dogmatica Dei Verbum (n. 25) richiama, citando il vescovo Ambrogio (+ 397), un autentico leit-motiv della tradizione patristica: "Quando preghi, sei tu che parli con Dio; quando leggi, è Dio che ti parla...". E il grande discepolo di Ambrogio, Agostino d'Ippona (+ 430), così apostrofava i fedeli nelle sue prediche, richiamando loro l'atteggiamento da assumere dinanzi alla Parola di Dio: "Audiamus quasi praesentem Deum!"; cioè: "Ascoltiamo, perché qui (ecco il senso del quasi latino) è presente Dio". Forse - per misurare la nostra fretta e superficialità in questo primo gradino della lectio - non sarà male ascoltare un autore siriaco del IX-X secolo, Yussef Busnaia: "Chiedi con insistenza a Dio", egli raccomandava all'orante, "di illuminare gli occhi della tua anima per essere capace di percepire la forza intima nascosta nella Parola del Signore. Poi mettiti in piedi, prendi il santo Vangelo nelle tue mani, bacialo, posalo affettuosamente sui tuoi occhi e nel tuo cuore, e pieno di sacro rispetto prega... Poi leggi il Vangelo restando in piedi". Vibra in queste pagine il senso vivo di una Presenza da ascoltare, che è precisamente la tappa iniziale della lectio divina. Certo, per noi non è sempre facile trovare il ritmo giusto, e tirarci fuori dalla spirale del tempo gestito in modo consumistico... Talvolta, sollecitati dalle mille esigenze del servizio, ci chiediamo addirittura - forse nel segreto del nostro cuore - se sia giusto "perdere tempo per Dio"... Allora sentiamo come una provocazione ammonizioni simili a quelle di Anselmo d'Aosta: "Leggerai la Scrittura non nel tumulto, ma con calma; non in fretta, ma lentamente, poco alla volta, sostando in attente riflessioni. Il lettore sentirà allora che sono parole capaci di infiammare l'ardore della sua preghiera...". Leggiamo a questo punto il nostro testo: Luca 1,26-38 (segue un istante di silenzio). 2. Meditazione Saliamo ora il secondo gradino della lectio, cioè la meditazione. Lo stesso Guigo II, priore della Grande Certosa, lo descrive così: "La diligente meditazione non si ferma alla superficie", per quanto a noi già il primo gradino sembrasse così impegnativo!... Occorre andare ancora "più in là: occorre penetrare il testo, interrogarlo analiticamente, considerarlo con attenzione". Per usare un'immagine cara alla tradizione cristiana, la meditazione deve far scendere fino al cuore la Parola che è stata ascoltata. Per la Bibbia e per i Padri il cuore è l'intimità dell'uomo. E' là dove teniamo in mano il nostro destino, dove si giocano le grandi decisioni, dove in qualche modo sono chiamate a raccolta tutte le nostre facoltà. É lì che la Parola deve entrare, per diventare "sangue del mio sangue, vita della mia vita". Perché questo avvenga, occorre che la Parola sia "digerita". Forse questa non è un'immagine molto simpatica (Bernardo invitava addirittura i suoi monaci ad essere "animalia pura et ruminantia"), ma essa ha il pregio di ricordarci che la Parola di Dio è vero cibo del nostro spirito: un cibo che va masticato a tal punto, da essere totalmente assimilato. Mi limito a due soli esempi. Nella Vita Antonii di sant'Atanasio si legge che Antonio nel deserto era così attento alla lettura e alla meditazione, che nulla andava perduto di ciò che era scritto. "Tutto ricordava, al punto che la memoria sostituiva il libro". Del beato Aelredo di Rievaulx, discepolo e biografo di san Bernardo, si legge che parlava "ex biliotheca cordis sui". Il cuore di Aelredo (e a maggior ragione di Bernardo, il suo maestro) era divenuto come una teca, cioè un prezioso scaffale in cui si allineavano ordinati tà biblía, cioè la Sacra Scrittura, "i libri" per eccellenza.. Nel caso specifico, vi propongo un metodo molto semplice di meditazione, che consiste nel ritornare puntualmente ai cinque tratti caratteristici del nostro racconto: meditando su ciascuno di essi, anticiperemo già alcuni stimoli utili per la preghiera e per la conversione della vita. a) La chiamata-elezione da parte di Dio "L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea di nome Nazaret, da una vergine chiamata Maria". Ecco il primo tratto di questa splendida storia, la storia della vocazione di Maria: è la chiamata-elezione da parte di Dio. E' lui il vero protagonista del racconto. A ben guardare, anche la storia della vocazione di Maria, come ogni storia di vocazione, è anzitutto dono e mistero (per usare una suggestiva espressione del Papa, allorché, nel cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale, ha inteso rileggere con sguardo di fede la storia della sua vocazione). E' Dio che manda Gabriele, è Dio che riempie di grazia... Così l'umile ancella, vuota di sé, è piena di grazia, e in lei si compiono le "grandi cose" di Dio. E' una lezione per tutti noi. Solo alla luce della grazia, solo assicurando il primato di Dio nella nostra vita potremo capire noi stessi, e decifrare la storia della nostra vocazione. "Che io conosca te, che io conosca me", implorava sant'Agostino nei Soliloqui, alla vigilia del suo Battesimo. b) La risposta di Maria Davanti all'intervento gratuito di Dio, Maria conclude il proprio discernimento con una parola di totale disponibilità: "Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto". Ha conosciuto Dio e ha riconosciuto se stessa, umile serva nella quale la grazia viene ad operare grandi cose. Ecco il secondo tratto dei racconti biblici di vocazione: la risposta del chiamato. Si tratta di una risposta che in Maria è totalmente positiva: vuota di sé, la vergine è piena di grazia. Ma la risposta del chiamato può essere anche negativa: si pensi al giovane ricco. Non ha voluto svuotarsi delle sue ricchezze, non ha lasciato spazio alla grazia, e se n'è andato via triste. A ciascuno di noi, in ogni giorno della nostra vita, è data la possibilità di rispondere come Maria o come il giovane ricco. E io, che cosa devo ancora lasciare, per seguire Gesù? c) La missione "Tu hai trovato grazia presso Dio", prosegue l'Angelo. "Avrai un figlio, e gli darai nome Gesù". E' questo il terzo tratto dei racconti biblici di vocazione: la missione. Maria è chiamata ad essere madre, madre di quel Figlio, e in lui di tutti gli uomini. Ma è una missione che essa scoprirà gradualmente nel corso della sua vita, fino ad afferrarne completamente il senso solo ai piedi della croce di Gesù. Sta qui un insegnamento importante per la nostra vita: anche noi dilateremo gli spazi della missione e ne scopriremo i risvolti più fecondi, se ci disporremo - come Maria - a un pellegrinaggio di fede che è insieme via della croce. Solo se siamo disposti ad abbracciare ogni giorno la croce e a seguire Gesù, scopriremo in profondità la missione che ci è affidata. d) Il turbamento di Maria "Maria fu turbata da queste parole... "Come è possibile tutto questo?"". Siamo al quarto tratto dei racconti di vocazione: le resistenze, i turbamenti, le tentazioni del chiamato. Il fatto che perplessità e interrogativi ricorrano di norma nei racconti biblici di vocazione significa che il dubbio in se stesso non è deviazione colpevole, ma è una tappa di discernimento necessaria. Il fatto è che Dio interpella una libertà, e una libertà responsabile. Tuttavia, il dubbio non deve restare la nostra ultima parola: il dubbio permanente finisce per tarpare le ali della fede e paralizza le possibilità di una risposta generosa al Signore. e) La conferma di Dio "Non temere, Maria". Ed ecco finalmente l'ultimo atto della storia: la conferma rassicurante da parte di Dio. Soltanto che, ordinariamente, questa conferma sulla storia di vocazione non la si può sperimentare in forma previa, come una garanzia, un'assicurazione preliminare, mentre ce ne stiamo a braccia incrociate a guardare. La conferma di Dio la si esperimenta all'interno del cammino di un'esistenza donata a Gesù e agli altri. Allora, in un'esistenza impostata così, non verranno a mancare i segni di Dio, e, volgendoci indietro a guardare, scopriremo che, alla fine, tutto è grazia. 3. Per la preghiera e per la vita La meditazione della Parola plasma il cuore del credente. E dal cuore parte il secondo movimento della lectio (cioè i suoi ultimi due gradini): perché la Parola - accolta e meditata - esige di trasformare la preghiera e la vita. La Parola diventa il veicolo della nostra preghiera. Del resto, quale via più sicura per parlare con Dio, che ripresentargli le parole stesse con cui egli si manifesta a noi? "O dolce colloquio", esclama a questo riguardo sant'Agostino, "o soave intrattenimento!". Forse per scongiurare l'aridità o il monologo della nostra preghiera ("prego", diciamo spesso, "ma la mia preghiera si arresta contro un muro, e torna indietro come una pallina da tennis...") dovremmo lasciare più spazio alla Parola. Prendi in mano il Vangelo, la Liturgia del giorno, ascolta quello che il Signore ti dice. Lascia che parli lui. Se è un episodio, sentiti coinvolto, entra nel dramma: quel cieco, che chiede di vedere, sei tu. Senti su di te le dita amorose del Maestro, che dona la vista e la parola a chi glielo chiede con fiducia... Ed ecco, finalmente, la contemplazione, tenendo conto che la vera contemplazione è il confronto vitale con Dio-Amore, un confronto che deve giungere a trasformare in amore tutta la nostra vita. Allora la vita trasformata mi fa tornare alla Parola, e "ci accorgeremo che c'erano ancora tanti panorami da scoprire, che avevamo appena incominciato a sfiorare con i nostri occhi" (card. Newman). E la lectio ricomincia, in modo sempre più ricco ed efficace. Scrive Carlos Mesters: "Le Parole di Dio sono come il chicco di frumento: rivelano il senso che hanno per noi solo se le facciamo scendere nel terreno della nostra vita". La vita è il "banco di prova" della lectio: se la vita ne esce trasformata, allora la lectio è buona. Cerchiamo dunque di riferire con coraggio alla nostra vita la storia di Maria: e se sapremo svuotarci di noi stessi e dei nostri egoismi, ci scopriremo anche noi "pieni di grazia". A questo scopo, vi propongo per ciascun tratto del nostro episodio un "tracciato" di domande, che favorisca il dialogo con il Signore e la revisione di vita. a) La chiamata-elezione da parte di Dio * Riconosco nella mia vita l'assoluto primato di Dio e della sua grazia? * Interpreto gli impegni e i doveri del mio stato come risposta a un amore che mi ha preceduto e garantisce (solo che io lo voglia) la mia risposta? * So accettare l'imprevisto di Dio, il suo modo di intervenire nella mia vita e nella storia? So riconoscerlo nelle modalità in cui egli si svela, senza imporgli le mie? * Per dilatare la mia disponibilità alla grazia curo la dimensione contemplativa della vita (la preghiera e i sacramenti, la continuità tra la preghiera e la vita...)? b) La risposta di Maria * Che cosa nella mia vita devo ancora lasciare per seguire Gesù? * Qual è l'"angolo buio" della mia vita, nel quale la risposta alla chiamata è meno generosa? * Che rapporto ho instaurato tra sacramento della riconciliazione e impegno di conversione, tra celebrazione dell'eucarestia e comunione-solidarietà con i fratelli, tra fede professata e vita vissuta? c) La missione * Che ne è della croce nella mia vita? * La considero come un incidente di percorso, o la considero veramente come il crocevia nell'esercizio della missione che mi è affidata? * Nella mia vita spirituale assomiglio forse a un abile ingegnere stradale, che progetta comode tangenziali, quadrifogli e grandi raccordi, pur di evitare il Calvario? d) Il turbamento di Maria * Succede, nella mia vita, che il dubbio - da reazione costruttiva - degeneri in paralisi distruttiva? * Quali ne sono le cause? e) La conferma rassicurante da parte di Dio * Sento la forza di Dio che prega in me, la sua vittoria sull'angoscia e la paura? Sento che è lui la mia forza e la mia vittoria? * So decidermi per Dio senza riserve, così da riconoscere i segni del suo aiuto nell'esercizio della missione? * E la mia preghiera approda a una decisione coraggiosa, come il fiat di Maria? Conclusione Concludo con un piccolo episodio, realmente accaduto. Alcuni anni fa la teleferica del Monte Bianco andò in blocco. Fu necessario l'intervento degli elicotteri per soccorrere i passeggeri che si trovavano nelle cabine, pericolosamente sospese nel vuoto. A soccorsi avvenuti, i giornalisti intervistarono un bambino. Gli chiesero: "Ma tu, non hai avuto paura?". Il bimbo rispose: "Perché avrei dovuto avere paura? Io tenevo la mia mano in quella del mio papà". E' questa la condizione del vero credente, che esperimenta la conferma di Dio nella sua "storia di vocazione". "Coraggio, sono io...". Cari fratelli e sorelle, rimaniamo nell'amore di Dio, con la nostra mano nella sua, come i tralci legati alla vite. Allora non avremo nulla da temere e, voltandoci indietro a guardare la storia della nostra vita, all'alba del terzo millennio, riconosceremo anche noi che alla fine "tutto è grazia", per l'amore di Dio. |